/* L’autore di questo articolo declina ogni responsabilità riguardo a possibili collassi nervosi, disfunzionamenti dell’idios cosmos, anomalie spazio-temporali ed episodi di autocombustione cerebrale. */

Benvenuto. Tu non puoi saperlo, ma se stai leggendo questo
articolo, hai già compiuto il primo passo verso il
raggiungimento dell’autocoscienza. Sei giunto proprio qui
brancolando tra le migliaia di possibilità che ogni secondo
eccitano e sovraccaricano la corteccia visiva per un motivo.

Lo strano sogno di ieri notte ti ha anticipato il disgusto
inenarrabile provato per il cibo della mensa; sul muro della
toilette un’epigrafe ha evocato il ricordo di un’esperienza che non
hai vissuto; ti svegli sempre alla stessa ora e non sai perché.

 

O forse sì. Ti sei accorto che c’è qualcosa che non va in come va il mondo. La realtà intorno a te mostra delle crepe dalle quali filtra un’aria “diversa”, e finalmente ti rendi conto che hai sempre respirato da un tubo di scarico.

Ti senti in trappola, non è così? Questa angoscia ti ha preso d’assedio e non ti abbandona mai. Non devi preoccuparti, sei nel posto giusto. E no, non sei pazzo. Non ancora.

C’è un gruppo di persone – non si sa quanti siano, né da dove arrivino, né da quando – in lotta contro forze oscure e vecchie quanto le stelle. Pare si facciano chiamare “Gli Invisibili”. Quella che segue è la ricostruzione del loro manifesto, intercettato in una trasmissione a onde theta.

 

  1. Noi siamo un gruppo di artisti anarchici, terroristi psichici e profeti transdimensionali. Il senso del nostro credo è iscritto nel controsenso. Non hai scelta: libertà senza confini oppure eterno controllo.
  2. Philip K. Dick, Terence McKenna, Timothy Leary, Miguel de Cervantes, i primi cristiani, i sacerdoti maya, i situazionisti, hanno fatto tutti lo stesso sogno.
  3. La nostra realtà è una adulterazione, un apparato di afflizione eterna. Il conformismo, l’assimilazione, l’alienazione, la cancellazione di tutto ciò che è innovativo e rivoluzionario sono i punti del piano che ha il solo fine di portarci verso la meta finale: il mattatoio.
  4. Tra i tanti, l’inganno più grande orchestrato dal nemico è l’averci convinto che questa realtà sia l’unica possibile: perfetta, senza giunture, un monolite inscalfibile. È falso: le fenditure sono ovunque, basta saperle cercare: questa realtà ha delle stanze segrete, il nostro obiettivo è renderle visibili (o comunque meno segrete).
  5. La nostra missione non sarà sottomessa ai limiti dello spazio-tempo. La rivoluzione si riverbera da quest’epoca a quelle passate e alle successive (e alle alternative). La nostra azione sarà retroattiva e post-attiva: una volta messa in moto la cospirazione non ci sarà/non ci sarà stato/non ci sarebbe stato modo di fermarla.
  6. Questa realtà è una architettura ciclopica che si regge sui pilastri già individuati da Guy Debord nel 1967: lo spettacolo, il capitalismo, la borghesia e la burocrazia. Debord ci aveva visto giusto, ma aveva mirato troppo in basso, ignorando l’esistenza dei veri architetti.
  7. Nel fabbricare questa finzione, gli illusionisti hanno commesso un errore: hanno lasciato nella loro opera gli strumenti che sono serviti a plasmarla. Questi strumenti saranno usati come armi contro i nemici dell’umanità.
  8. La deriva, la psicogeografia, il detournement, la situazione costruita sono le strategie di guerriglia psichica che abbiamo ereditato dai situazionisti. Ma ci siamo subito accorti di essere andati a caccia di leoni con uno scacciamosche. L’internazionale invisibile si appropria di questi strumenti ma è costretta ad apportarne dei miglioramenti. Il situazionismo proponeva un rimedio per un nemico pantagruelico, ma pur sempre di questa dimensione. Per una battaglia su scala multidimensionale, gli strumenti devono evolversi verso forme più consone.
  9. Psicogeografia, detournement e deriva sono strumenti che aprono l’accesso ad uno strato del territorio nascosto alla vista. Lo studio topografico-emozionale del paesaggio, la pratica del bighellonare senza meta ma lasciandosi attirare dal “potere emozionale” che scaturisce da luoghi particolari non sono che rituali atti a decifrare e agire direttamente sulla mole di informazioni proveniente dalla matrice. In un’altra era, quest’arte prendeva il nome di magia.
  10. L’arte della magia esiste da millenni. Ma tempo e ignoranza hanno sparigliato la parola dai suoi significati generando confusione. “Magia” è un nome come un altro per descrivere un modo di agire. Per secoli, l’uomo ha associato questa parola a significati sempre più fuorvianti, fino a rigettarne l’esistenza o relegarla a mera superstizione. Non lasciatevi ingannare dall’opera mistificatoria dello Spettacolo: la magia esiste eccome.
  11. Abbiamo appreso che la magia esiste. Essa non è che un modo di agire: è l’atto di hackerare il sistema operativo dell’universo e rivolgere la creazione contro i suoi creatori. La causa per la quale sembra una forza occulta accessibile a pochi è in parte attribuibile all’azione passivante dello Spettacolo e in parte al fatto che sembra una cosa così semplice e pragmatica che la mentalità scettica di quest’epoca ci ha convinti della sua inesistenza.
  12. La parola, l’immagine, il segno, attraverso l’uso di questi strumenti è possibile rompere la superficie della realtà fittizia che abitiamo. È una vera fortuna che gli architetti abbiano dimenticato all’interno della propria creazione gli attrezzi usati per edificarla.
  13. Il poeta si serve dalle parole per plasmare coscienze e sentimenti come il vasaio usa le mani per modellare l’argilla. Il mago prende le parole, le scompone in segni, le ricompone come sigilli. L’operato di entrambi si basa sul produrre effetti a distanza mediante le parole. Arte e magia un tempo erano sinonimi. In una realtà edificata sui segni, ognuno può accedere attivamente alla magia attraverso la produzione e l’alterazione di immagini, parole, suoni. Hackerare la matrice è un gioco aperto a tutti.
  14. Il detournement delle immagini che sommergono il mondo nella sua interezza, ricorrere alla deriva al fine superare i confini di questa dimensione; bighellonare tra diversi piani della realtà. Così combattiamo la nostra guerra psichica.
  15. La nostra è una rilettura debordiana del Don Chisciotte. I suoi nemici non erano i mulini a vento – questa è la versione predigerita dello Spettacolo -, bensì misteriosi incantatori che operavano per scombussolare la realtà. Don Chisciotte girovaga per la Spagna in cerca di avventure, crea situazioni, inventa storie. La sua cultura enciclopedica sulla cavalleria errante lo rende non solo protagonista, ma autore del suo stesso romanzo. I libri diventano un portale per trasfondere il mondo fantastico nel suo mondo ordinario, già “normalizzato” da forze sovrannaturali e dai loro agenti incantatori. Don Chisciotte è uno di noi.
  16. Seguendo le orme di Don Chisciotte, l’autore di fantascienza Philip K. Dick scoprì, tra un ricovero per dipendenze e uno per tentato suicidio, che la sua realtà era artificiosa quanto quelle dei suoi libri. Anzi, di più. Quando apprese della patologia del figlio da un raggio rosa sparato direttamente in mezzo agli occhi, scoprì la verità ultima della sua quest: che se una verità esiste, questa trascende il piano della realtà che abitiamo.
  17. La cospirazione è lo stadio finale di una guerra psichica combattuta ad oltranza. I due poli si attraggono e si confondono nella lotta. Ciò che conta è disobbedire. Sempre.
  18. The Beatles – I Am the Walrus: “Io sono lui come tu sei lui, come tu sei me e noi siamo tutti insieme.”

Morrison, Grant. Altrimenti conosciuto con i nomi di Kirk Morrison, Gideon Starorzewski, Gideon Stargrave, King Mob:

X-dimensional killer, rivoluzionario anarchico, scrittore.

In un’altra vita suona in un gruppo rock (fa schifo). Infine, in quella più improbabile di tutte, è un autore di fumetti completamente folli. In questi, non ha fatto altro che includere se stesso e la sua lotta contro i signori extradimensionali del controllo totale. Forse è solo un modo per nascondere in bella vista la sua guerra segreta contro orribili mostri lovecraftiani, oppure è il detournement sistematico della più popolare delle forme artistiche, anche se il fatto che si tratti del delirio onanistico di un egomaniaco non è un’ipotesi da scartare. E perché non tutte queste cose insieme? Fatto sta che nel fumetto ci mette tutte le personalità, tutti i suoi “pallini narrativi” e le sue fisse, le esperienze vissute e quelle solo sognate (che poi è lo stesso), come in una calza patchwork che poi rivolta e non si sa più quale sia il verso giusto. Morrison è/è stato/sarà tutte queste cose e nessuna. Forse Grant Morrison non esiste, forse si è così tanto impegnato nel tentativo di farci entrare nella dimensione fumetto da esservi stato risucchiato a sua volta. Oppure il pelato che urla alle convention e parla di magia del caos come se fosse un modo per seminare l’orto (pianti qualcosa e qualcos’altro esce) è un attore/un homunculus manovrato dal vero Morrison dell’altro/i mondo/i. Fatto sta che, per quanto ne sappiamo, King Mob è il front-man di una cellula stramboide e particolarmente violenta degli Invisibili. Gli altri membri più o meno stabili di questo gruppo variopinto sono:

Dane McGowan: teppistello di Liverpool abbandonato dal padre e trascurato dalla madre che sfoga la sua insoddisfazione spaccando cose e dando fuoco ad edifici. Ah sì, pare sia anche l’ultima incarnazione di Buddha.

Boy: ex-poliziotta di New York, direttamente coinvolta in una cospirazione fatta di rapimenti, uomini in nero e deportazioni di massa. Apparentemente è il personaggio più ordinario del gruppo, eccetto che potrebbe spezzarti il collo con due dita.

Ragged Robin: agente psionica degli Invisibili, sexy e svitata; sarà che i viaggi nel tempo non sono una cosa da prendere a cuor leggero;

Lord Fanny: sacerdotessa/strega, travestito sudamericano. L’albo a lei dedicato è tra i vertici della serie, col suo mix di stregoneria, religione maya, violenza psichedelica e glamour.

Per i suoi personaggi, Morrison ha scritto parti sopra le righe – quando non del tutto surreali – proprio come ci si aspetterebbe da un autore che ami alla follia gli eroi in calzamaglia. Morrison non è Alan Moore, chi lo conosce lo sa. Per l’autore barbuto di Watchmen scrivere un’opera “matura” sui supereroi significa diluire ogni elemento fantastico, trasportare quei disadattati con la maschera nel nostro mondo desaturato (o in uno simile al nostro), evidenziandone la ridicolezza, finanche l’inutilità. Per Morrison è tutto l’opposto. Con lo scozzese siamo noi a dover entrare nel mondo supercolorato e psichedelico. Ma non credere che questo tolga spessore alle sue caratterizzazioni, tutt’altro. Tanto i protagonisti quanto i comprimari affrontano un percorso psicologico tortuoso, si confrontano con i loro fantasmi, i propri limiti e ne escono trasformati come da un’iniziazione. Nell’arco delle pubblicazioni i caratteri vengono approfonditi e stravolti con colpi di scena e voltafaccia improbabili degni del Philip K. Dick più fuori di testa. Prendi Dane ad esempio: la sua è la figura messianica della situazione, colui che alle brutte prende in mano la scena e pim pum pam tutto risolto, giusto? No. Perché Dane è pur sempre un adolescente (e un cazzone) che si è visto stravolgere una vita già instabile di suo da un gruppo di pazzi. Con lui non assistiamo al classico momento “aspetta un attimo, sono il prescelto!”[1], ma un graduale processo di crescita, che passa attraverso il rifiuto, la ribellione, perdite dolorose, piccole conquiste, fino all’accettazione del suo ruolo. Ma non pensare sia così semplice, perché accettare una condizione significa obbedire a un’imposizione (di qualcuno, di una comunità, di qualcosa), non proprio l’ideale per chi ha scelto come proprio motto “disobbedire, sempre”. Allora torna alla prima tavola del primo numero: lo scarabeo è il simbolo dell’eterno ritorno, trasporta incessantemente la sua palla di sterco come Khepri muove il disco solare nel cielo, giorno dopo giorno. Così la trama di The Invisibles è un continuo rimestarsi di storie su diversi piani temporali e narrativi. “Una vera iniziazione non finisce mai”, parola di Robert Anton Wilson, e siccome tutta l’opera è stata congegnata come un cerimoniale… beh puoi trarne da solo le conclusioni.

Sotto la superficiale iperattività di una narrazione che salta di palo in frasca tra una cospirazione aliena e misteri esoterici degni di un Giacobbo sotto acidi[2], serpeggia una struttura circonvoluta, fatta di segni e indizi che emergono e si inabissano. Spire interminabili stritolano e mischiano pezzi di cultura e controcultura, magia e scienza, disciplina e indisciplina, poli opposti di una filosofia manichea che arrivano a fondersi e confondersi[3]. Certi elementi della trama, per quanto possano sembrare buttati in pista a caso, in realtà emergono dalla stessa matassa che avevamo davanti agli occhi sin dall’inizio. Alla soddisfazione di aver finalmente afferrato il significato di una scena guardandola da una prospettiva ribaltata, segue immancabilmente il dubbio su quante cose siano sfuggite sotto il naso. Quindi che si fa? Niente, rileggilo o lascialo lì, inverti l’ordine di lettura, adotta un approccio totalmente randomico, fa quello che vuoi. Tanto nessuno può cogliere tutti gli aspetti possibili di una cosa, quindi non crucciarti. In fondo l’intera faccenda è sfuggita di mano persino all’autore (ammesso che esista). A seconda di come la si voglia intendere, si direbbe che Morrison ne sia uscito trasformato nella mente e nel corpo, oppure che le sue metamorfosi abbiano ispirato i fatti del fumetto[4], o ancora che sia tutta un’invenzione e/o un modo per raccontare la storia di una persona che esiste solo nella dimensione delle tavole del fumetto e che si fa veicolo di un messaggio. E il destinatario di questo messaggio sei tu. Sì, proprio tu. Credevi di essere capitato qui per caso? Sei tu il dio guardone, colui che fino ad ora ha osservato senza intervenire. Credevi di essere al sicuro nella tua posizione privilegiata sopra le tavole illustrate? Che ingenuo: sappi che ci sei dentro fino al collo. Questo articolo finisce qui. Ma niente finisce senza che qualcos’altro inizi. Allora, hai deciso da che parte stare?

[note]

[1]Sì, so cosa stai pensando.

[2]Già visto, già sentito. Forse non sai però che Grant Morrison aveva pensato The Invisibles come una serie TV e che venne bocciata da tutte le emittenti alle quali era stata proposta. A quanto pare non c’era spazio in TV per storie di cospirazioni aliene. Era il 1993 e quello stesso anno la Fox mandò in onda X-Files.

[3]Questa struttura mostruosa e contorta mi ricorda qualcosa. Giocare con la teoria del multiverso, le dimensioni parallele, i diversi piani della realtà era una cosa ormai abusatissima già nel 1994. Lo stesso giochino di confondere i piani narrativi, creare dei worm-hole tra la nostra cosiddetta realtà e le fictional reality è tutta roba che possiamo ritrovare già nella fantascienza allucinata di Philip K. Dick. E che dire della quarta parete, che, a quanto pare, tutti provano a romperla. Il fatto è che quasi nessuno ci riesce veramente, il massimo che si riesce ad avere è un personaggio che si rivolge al pubblico o che si rende conto della sua natura di personaggio fittizio e comincia a straparlare. Bella forza, è lo stesso giochetto che faceva Don Chisciotte quattrocento e rotti anni fa. Ciò che accade qui, invece, è qualcosa di davvero potente, qualcosa che non si era mai visto prima. L’aver congegnato tutta la serie come un ipersigillo e l’aver smanettato con forze al di là della comprensione umana ha portato conseguenze imprevedibili. Chi si ricorda il mostro alieno di “The Watchmen” (ecco cosa mi ricordavano le spire)? È la creatura che Adrian Veidt trasporta nella sua dimensione per scongiurare il disastro nucleare e unire l’umanità contro una nuova minaccia. Anche al vecchio Ozy l’idea è arrivata dalla cultura popolare (un horror di serie b, mi pare di ricordare), idea poi trasformata in realtà con conseguenze disastrose. Con “The Invisibles”, a pensarci bene, succede la stessa cosa, solo che il “costrutto mostruoso” è il fumetto stesso e la dimensione di sbarco è la nostra. Gli effetti dell’ondata psichica sono tutti ancora da misurare, ma, se c’è una lezione in tutta questa storia, è che bisogna fare molta attenzione a ciò in cui si crede, perché poi va a finire che le cose che si avverano. La si chiami iperstizione, la si chiami magia, la si chiami barbatrucco, ma se si incasina il kernel della realtà non bisogna poi stupirsi delle anomalie che possono saltar fuori (tipo Trump che vince le elezioni, o un governo Lega-Cinque Stelle).

[4]È cosa nota che Grant Morrison abbia subito un grave incidente proprio durante la stesura di una scena che lo vedeva gravemente ferito nei panni di King Mob. “Nel fumetto ho un polmone perforato, non riesco a respirare; mi ritrovai in ospedale con una grave crisi respiratoria. King Mob si ritrova con delle vesciche su tutto il corpo e anche la mia pelle si ricoprì di orribili lesioni. Avevo creato The Invisibles come se fosse un rito magico e a quanto pare è venuto anche troppo bene. Potevo scrivere cose nel fumetto affinché accadessero nella nostra realtà”.



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