Il western pare essere tornato prepotentemente sugli schermi, specialmente “piccoli”, di questa nuova stagione audiovisiva. E fa piacere perché, che lo si ami o meno, resta un genere fondativo, inesauribile, capace di smarcarsi più di altri dal proprio repertorio per raccontare un presente che cambia nella forma ma non nella sostanza. Il western ritorna sempre, cambia faccia per metterci di fronte alle nostre ataviche debolezze (dure a morire). Lo ha fatto in passato, guardando al futuro e travestendosi da fantascienza, ma anche più recentemente, volgendo lo sguardo indietro nel tempo per mostrarcene tutta l’attualità. Non sono infatti western i film di John Carpenter, il regista che più di tutti ha sfruttato il genere proponendone innumerevoli varianti senza sacrificarne la potenza e il rigore espressivi? E non sono parimenti western gli attuali colossal ispirati a fatti realmente accaduti, così classici e tipizzati da sembrare inverosimili, eppure così vividi e toccanti da apparire assolutamente realistici? Se le sperimentazioni anni Ottanta e Novanta recuperavano i canoni e gli stereotipi del western per declinarli in generi diversi e inasprirne i toni – attraverso l’horror, la fantascienza e il poliziesco – le versioni attuali, al contrario, sembrano più interessate a sbarazzarsi di luoghi, situazioni e figure fortemente circoscritti e codificati per riscoprirne l’essenza. Ogni isolamento emotivo, ogni forma di alienazione può diventare uno scenario western, anche quando questo appare completamente diverso da un deserto americano. Così come ogni spazio limite, anche puramente mentale, può rappresentare un autentico territorio di frontiera.

Approdata da poco su Amazon Prime Video, la serie tv The Terror (D. Kajganich, 2018-) sembra raccogliere entrambe le intuizioni e mettere a frutto le due lezioni: sceglie cioè di trasporre un romanzo ispirato a una vera spedizione – La Scomparsa dell’Erebus (The Terror, D. Simmons, 2007) – fornendone un resoconto dettagliato e verosimile (nella descrizione di luoghi e persone), senza però rinunciare alla creazione di un solido prodotto di genere, assolutamente sopra le righe, morboso, inquietante e violento, in cui sia i personaggi sia gli scenari potrebbero tranquillamente rivelarsi allucinati e allucinazioni, pure trasfigurazioni, metafore. Come in The Thing (La Cosa, J. Carpenter, 1982), The Terror è un western horror-fantascientifico in cui un gruppo di ricercatori si trova alle prese con un parassita in grado di intaccare l’uomo dalla carne allo spirito, fino ad annientarlo, fino ad affrancarsene per mostrarsi in tutta la sua mostruosità. Di diverso, nella serie, c’è che il parassita non è più (almeno figurativamente) un’entità estranea, un alieno nel vero senso del termine, bensì un (mal)essere intrinseco, umano, capace di esternarsi solo in quanto disumanità.

Diversamente da The Thing, in The Terror il parassita è endogeno e l’alieno – rispetto alla natura glaciale dell’Artico di cui fanno parte anche gli autoctoni Inuit – è l’uomo moderno, il ricercatore, colui che abbandona le proprie radici per avventurarsi oltre il confine. Ma The Terror è anche un period drama dalla curatissima ricostruzione, un racconto ambientato a metà dell’Ottocento che però non parla solo di ieri, ma anche di oggi (e probabilmente di domani) alla maniera di Soldato Blu (R. Nelson, 1970). The Terror si occupa, appunto, di perdita di radici, di distacco e indifferenza, in cui l’alieno finisce per essere proprio l’uomo, cacciato e scacciato dalla natura. Un uomo esposto alla pazzia e al deterioramento fisico, incline alla diffidenza e all’individualismo, privo di meta e scopo e perciò inidoneo alla vita. Proprio come in The Revenant (A. G. Iñárritu, 2015), perciò, ad essere protagonista è lo scontro uomo/natura, di cui si avverte – anche quando non c’è – la lotta continua e l’assiduo senso di violazione.

I toni si incupiscono, virano al dramma, e la lotta si esprime nei toni freddi e metallici del cinema di guerra. I legami si sfaldano e i contrasti si acuiscono, viene a mancare il senso edificante del western classico, pur restando preminente il desiderio di sfida e successo – come nell’antesignano Passaggio a Nord-Ovest (K. Vidor, 1940). L’uomo acquista perciò profondità, il rapporto con lo spettatore appare privo di filtri, più intimo, mentre la natura è maggiormente contemplata e la sua rappresentazione diviene più realistica, dettagliata, rispettosa (ai campi lunghi e alle panoramiche si aggiungono i primi piani, i dettagli e i long take). E come in The Revenant anche in The Terror è la natura a uscirne vittoriosa e solo l’uomo che vi si arrende ha la possibilità di essere perdonato, riaccolto, nutrito nel corpo e nello spirito.

The Terror, perciò, fa paura senza spaventare, atterrisce senza scioccare, e in questo si dimostra una serie horror tanto atipica quanto efficace. Contemporaneamente accompagna lo spettatore senza strattonarlo, indicandogli a distanza le tappe, e in questo si rivela una serie tanto disorientante quanto incredibilmente immersiva. Con tutta probabilità la migliore dell’anno.



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