Quando sulla piattaforma Netflix, tra le varie e incalzanti proposte, appare una nuova locandina a tema zombi, non ci si può proprio esimere dalla visione. Cargo (Ben Howling e Yolanda Ramke, 2017), il survival-horror australiano che vede come protagonista un irriducibile Martin Freeman alle prese con un mondo allo scatafascio, gli effetti di un imminente contagio e una figlioletta sana da mettere in salvo prima che la trasformazione giunga a compimento, sembrerebbe il classico z-movie dalla trama semplice e i tempi rapidi, dalle poche idee ma dall’efficace messinscena, che si apprezza pur senza aspettarsi il miracolo. E invece, come molti film sviluppati a partire da buoni cortometraggi, Cargo non sembra riuscire a espandere l’idea di base per farsi storia, per tridimensionalizzare gli esistenti e per accumulare pathos, limitandosi a stiracchiare quell’idea per 105 minuti e supplendo alla vacuità degli accadimenti con lunghe riprese di camminate, panorami brulli e lamentele, che poco aggiungono a un canovaccio già di per sé piuttosto trito (da George Romero in poi). A peggiorare la situazione intervengono una serie di momenti – quelli sì potenzialmente estendibili e sondabili –dedicati alla caccia e ai rituali di comunità regredite alla vita tribale. Si tratta di frammenti rarefatti sulle vite dei nomadi che, come fantasmi, si aggirano nello scenario desertico, e che spezzettano (e allungano ulteriormente) l’avventura del protagonista senza aggiungere nulla alla vicenda principale.

Tuttavia, a pesare più di tutto è forse la completa assenza di un discorso politico, di un messaggio sociale, di un’interpretazione culturale, tutto pare essere lasciato un po’ al caso, indebolito da soluzioni di regia che non privilegiano nessun personaggio – protagonista compreso – nessun luogo, nessun motivo legato al pre o post contagio. Se, in parte, Cargo sembra voler battere la strada della contemplazione naturalistica ed etologica, calcando poco la mano sugli sviluppi narrativi e le formule di genere, dall’altro non fa niente per risultare davvero seducente, abbacinante, malickiano. Di conseguenza non può che rivelarsi un prodotto trascurabile e, a tratti, noioso, al punto da far sembrare interessante pure Contagious – Epidemia mortale (Maggie, Henry Hobson, 2015), piccolo film dalle prerogative simili che supplisce alle proprie carenze mettendo in risalto il rapporto tra padre e figlia e gli aspetti drammatici della loro resistenza, risultando in qualche modo emotivamente avvincente.

La generale inespressività di Freeman ha probabilmente reso impossibile una qualsivoglia empatia con il personaggio di Andy, ma se pure Arnold Schwarzenegger è riuscito a ottenere qualche blando risultato in Maggie, allora i problemi di Cargo vanno senz’altro oltre il risicato lavoro attoriale.
Dimenticabile.



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , , , ,
Similar Posts
Latest Posts from Players