Il prossimo mese si celebra un anniversario importante per il mondo videoludico italiano, il trentesimo compleanno della rivista di videogiochi più longeva d’Europa (anzi, del mondo occidentale), The Games Machine (per tutti TGM), il cui primo numero venne pubblicato nel lontanissimo settembre del 1988. Sopravvivere trent’anni nel mondo dell’editoria italiana è qualcosa di più di un’impresa coraggiosa, è quasi un miracolo, specie in un settore, come quello videoludico, che ha cambiato pelle più volte e che, ovviamente, è completamente diverso da quello che accolse la rivista sei lustri orsono.

Già, che aria tirava nel 1988?
Ricordo perfettamente il giorno in cui acquistai il primo numero, che essendo io lettore avido di ZZap! aspettavo già da mesi. Ero amighista da poco e l’era dei 16 bit era iniziata da circa un anno. A dirla tutta il 1987 era stato un anno straordinario per le vecchie macchine a 8 bit, in particolare per il Commodore 64, che nel giro di pochi mesi aveva sfornato titoli pazzeschi come Bubble Bobble, Buggy Boy, The Last Ninja, Wizball, World Class Leaderboard, California Games, Head over Heels e Nebulus, ma oramai avevo cominciato a leggere la rivista dalle ultime pagine, dove c’era la rubrica a 16 bit con le clamorose schermate dei titoli Cinemaware e Psygnosis per Amiga. L’arrivo di una rivista “16 bit only” era solo questione di tempo e infatti un bel giorno di settembre questa si concretizzò sugli scaffali del mio edicolante di fiducia, quello che avevo cominciato a stressare qualche anno prima perchè mi tenesse da parte i numeri di Video Giochi (la prima storica rivista di videogiochi italiana, diretta da Riccardo Albini) e Zzap!.

The Games Machines nel corso degli anni è stata pubblicata da editori diversi: inizialmente fu portata in Italia da Edizioni Hobby, che attingeva pesantemente dalla controparte inglese, poi fallita nel 1991. Il testimone passò poi alla milanese Xenia Edizioni ed è proprio sotto questa casa editrice che la rivista visse il suo periodo migliore. A mio parere i primi 40-50 numeri erano interessanti e “pionieristici”, certo, ma giornalisticamente non eccezionali. Il top si ebbe sotto l’illuminata direzione di Max Reynaud, che propose una rivista sempre più ricca in termini di contenuti (si passò in breve tempo da 100 a 180 pagine) e una grafica e impaginazione assolutamente strepitose. Reynaud riuscì anche nel miracolo di contenere la debordante demenzialità, trasformandola in ironia un pelo più intelligente e puntare su una informazione più puntuale e precisa (e immagini migliori, che a quel tempo mica c’erano le anteprime in HD da guardare su YouTube…).

Personalmente ho sempre preferito l’accoppiata K/Game Power a The Games Machine/Consolemania, perchè le prime erano più serie e attente a descrivere il videogioco nella sua essenza, mentre le seconde, specie all’inizio (TGM poi come detto si riprese, Consolemania invece è sempre stata una causa persa da questo punto di vista) puntavano più sulla demenzialità e i risvolti di vita redazionale (per non parlare dei voti dati “ad minchiam”, tipo il 99% con cui venne premiato Menace, un onesto sparacchino Psygnosis con annesso graficone) di cui a me, onestamente, importava meno di zero. La “Svolta Reynaud” trasformò TGM da rivista di/per bimbiminkia in testata autorevole da leggere per capire come e dove allocare il proprio budget mensile. Sbagliare l’acquisto di un gioco significava, almeno per chi come me era multipiattaforma e cercava di prendere poca roba ma buona, condannarsi a mesi di astinenza ludica e trascorrerli maledicendo il redattore che non era stato capace di scrivere una recensione esaustiva (cosa che capitava molto spesso, a rileggere alcuni numeri oggi c’è da mettersi le mani nei capelli, specie i vecchi Consolemania sono la fiera dei voti assurdi e/o esagerati).

Ho sempre considerato il decennio 1987-1997 il migliore in assoluto della storia dei videogiochi: chi giocava a quei tempi poteva contare sulle macchine Commodore al loro meglio (Commodore 64 e Amiga), sulle migliori console mai esistite (Snes, Megadrive, Pc Engine, Neo Geo, Playstation), su un Pc capace di sfornare un capolavoro dopo l’altro. Tant’è che passato quel periodo smisi di leggere quasi tutte le riviste, tradendole con internet, che già dalla fine degli anni ’90 era diventato uno strumento più efficace e tempestivo. Da allora non ho mai più preso in mano una rivista ludica italiana (a parte quelle per le quali mi è capitato di lavorare cioè Game Republic e, ironia della sorte, Consolemania, nell’ultimissimo periodo, quando era diventata Playstation-Only), mentre dal 2004 sono affezionato lettore e collezionista di Retro Gamer, che quest’anno di anni ne compie 15 e che potrebbe, nel lungo periodo, diventare davvero la rivista più longeva di sempre, vista la sua peculiare (e geniale), struttura editoriale rivolta al passato e non al futuro.

Qualità editoriali a parte, The Games Machine è stata una compagna fedele di un lungo periodo della mia vita e gli aneddoti ad essa relativa si sprecano, dal giorno in cui pubblicarono una mia lettera nella sezione della posta a quella in cui ci fu la rivelazione che MBF stava per Matteo Bittanti, Filosofo, per non parlare dei tanti pesci d’aprile assurdi inventati dai redattori. Nel corso degli anni più o meno tutte le migliori firme del giornalismo videoludico italiano sono passate per The Games Machine e alcune di queste sono ancora “alive & kicking”, pur essendo oramai più vicine ai 50 che ai 40.

Forse oggi le riviste cartacee, specie quelle ludiche, sono diventate anacronistiche e prevedo per loro un futuro simile a quello dei 33 giri: acquistate solo da un pubblico danaroso di ultranicchia, disposto a spendere parecchio per contenuti superspecializzati e ad alto tasso emozionale (sfogliare una pagina frusciante non è paragonabile al cliccare su un sito, mi pare ovvio). Quanto durerà ancora TGM? Altri due, cinque, dieci o trent’anni? Non è dato sapere. In ogni caso, per tutto il “pesce” datoci in questi anni, grazie TGM.

(Ah, casomai vi fosse venuta voglia di rileggere qualche vecchio numero della rivista…c’è luce in fondo al tunnel)



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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