E’ sorprendente, oltre che poco incoraggiante, assistere all’entusiasmo sollevato al Festival di Toronto da A Star Is Born. Il debutto alla regia di Bradley Cooper rilegge il film del ’76 con Barbra Streisand, a sua volta basato sui ben più nobili precedenti di George Cuckor con Judy Garland (1954) e di William A. Wellman, il vero originale (1937) con Janet Gaynor.

Cooper batte sul tempo, o meglio sulla lunga distanza, Clint Eastwood, che già sette anni fa avrebbe dovuto dirigere questo remake con Beyonce’ nei panni di Ally, cameriera con la passione per il canto e il dono di una voce da star. Una sera, nel locale in cui lei canta per hobby capita un divo della musica (Cooper appunto) con seri problemi di alcolismo. La voce e la tempra di lei (qui Lady Gaga al debutto in un ruolo cinematografico da protagonista) lo folgorano. Non e’ solo una love story: lui la inizia alla carriera di cantante facendola esibire ai suoi concerti. Non ci vorrà molto perchè lei prenda il volo e un agente la trasformi in un fenomeno pop.

Lady Gaga, brutto anatroccolo della musica che per anni ha nascosto il suo aspetto dietro make-up e mise improntate all’eccesso, sembra trovare nel personaggio sfumature autobiografiche: affronta il demone di una bellezza non perfetta (Ally lamenta soprattutto un naso importante) mostrandosi con un trucco umano, acqua e sapone come il personaggio richiede. L’aspetto lontano dall’ideale di diva-top-model chiude le porte del successo? No, secondo A Star Is Born. O meglio, non se conosci la persona giusta. Quello fra lui, che vede iniziare la discesa del suo percorso professionale, e lei, che invece sale vertiginosamente la china della celebrità, e’ un rapporto di amore e lavoro.

E’ il business, del resto. A lui i bicchieri di troppo costano cari. E lei non può pensare di arrivare al Grammy senza mosse pop, ballerini in scena e soprattutto un’improbabile chioma arancione.

Le doti canore di Lady Gaga sono innegabili, anche se il suo genere può non piacere. La sua voce arriva oltre lo schermo. Peccato che qui si parli di cinema, non di un concerto pop o electronic rock. Perché A Star Is Born è costruito su una sceneggiatura di fragilità imbarazzante. Polpettone sentimentale fatto di melassa e scene cucite grossolanamente l’una all’altra, il film si solleva raramente dalle secche di una convenzionalità a tratti insulsa, della bazzecola spesso insipida.

Certo, al mondo della musica di oggi mancano il fascino e il glam dei tempi d’oro in cui le dive erano la Garland e la Gaynor. Ma Cooper, che pensa di dare spessore al suo protagonista con surplus di capelli unti e fronte lucida ad arte, ben poco riesce a fare per conferire quel minimo di dignità artistica alla rappresentazione di un panorama musicale in cui (oggi) Lady Gaga e’ icona di successo massimo. Se le sue corde vocali si confermano potenti, il carisma cinematografico e’ tutt’altra cosa.

Forse avremmo preferito un remake smaccatamente brutto, un debutto alla regia palesemente deludente. Invece ci ritroviamo un involtino di ovvietà, con qualche nota stonata di inverosimiglianza, in cui l’insipido e’ nascosto dai flash e dalle luci di scena e la convenzionalità finisce addirittura per strappare applausi.



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