Più che un bel film, Sulla mia Pelle (Alessio Cremonini, 2018) è un film necessario. Una cronaca per immagini – di quella terribile vicenda che è la parabola di Stefano Cucchi, trentenne accusato di detenzione e spaccio di stupefacenti e messo sotto custodia cautelare durante la quale, pestato e trascurato, ha trovato la morte – atta (quantomeno) a stimolare una dovuta empatia, mettendo in scena la disintegrazione di un corpo a opera di un sistema disfunzionale che ha visto coinvolte tutte quelle professionalità che, un uomo, dovrebbero invece tutelarlo. Stefano Cucchi è deceduto dopo una lunga e disgustosa serie di rimbalzi istituzionali a seguito dell’abuso compiuto da un manipolo di squallidi e vigliacchi soggetti che, del suo giovane corpo, ne avevano fatto puro oggetto di sfogo.

Cremonini volta le spalle alla critica delle istituzioni, qui presenti come ombre anonime e minacciose, per pedinare – alla maniera di Zavattini, anche se qui si rallenta e si arranca sempre di più fino a una tragica stasi – e osservare Stefano e il suo corpo, prima trattenuto (nel significativo e quasi insostenibile piano sequenza dell’arresto, unico momento d’azione) e poi spogliato di ogni facoltà (fosse anche solo quella di curarsi o pisciare), fino a una vera e propria scarnificazione identitaria messa in pratica a suon di botte e reclusione. Alla fine il corpo di Cucchi sarà quasi irriconoscibile, violato da un’aggressiva forma di odio e indifferenza che, nel giro di una settimana, ne annullerà l’inalienabile diritto alla vita.

L’aspetto straordinario di Sulla mia Pelle, oltre al magnifico lavoro interpretativo di Alessandro Borghi che, sulla sua di pelle, ricostruisce una vita a partire da pochissimi frammenti informativi, è la scelta di relegare nel fuoricampo le prove e le responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, focalizzando l’intera attenzione sulla figura di Stefano che è tanto debole e sfocata – inquadrata com’è senza troppo indugiarci o mostrarne l’insieme, ma prestando attenzione agli scorci e ai dettagli – quanto intensa e simbolica, una silhouette livida stagliata su uno sfondo monocromatico, squadrato e sghembo, come in uno scenario da film espressionista. È questo il maggior pregio di Sulla mia Pelle, quello cioè di restituire al pubblico una storia che non è più solo quella di Stefano Cucchi e dei suoi aguzzini, ma che appartiene a noi e che come un segno indelebile è andato a macchiare per sempre le nostre coscienze, anche quelle che erano e sembrano più “pulite”. Quando non vogliamo vedere e ci voltiamo dall’altra parte, quando giustifichiamo un sistema o un individuo corrotto, diventiamo tutti colpevoli. Ora, se non altro, possiamo metterci davanti a uno schermo e provare a reagire, almeno con gli occhi.



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