Sono passati più di vent’anni dal momento in cui Lara Croft, apparsa per la prima volta su un ignaro ed inconsapevole Saturn, divenne rapidamente prima la mascotte semiufficiale di Playstation e poi, più in generale, sinonimo di un altro modo di intendere il videogioco. Più maturo, più adulto, in cui anche una figura femminile, sexy e tosta, femminista e solitaria, poteva essere la sola protagonista di una storia incredibile e avventurosa. Lara è stata il meme prima dei meme, la guest star della tourneè di un gruppo rock famoso in tutto il mondo, la ragazza con le due pistole e una gallina (pardon) dalle uova d’oro per i suoi creatori, che l’hanno fatta diventare in tempo zero uno dei più redditizi franchise che la storia videoludica (e non solo) ricordi. Vent’anni fa, appunto.

Oggi il mondo è cambiato e Lara Croft è diventata una delle tante. Le donne protagoniste dei videogiochi sono ordinaria amministrazione (molto meno le persone in carne e ossa nelle software house che li creano, ma è un altro discorso…), il franchise è decaduto (l’ultimo film è stato un mezzo flop, nonostante la coraggiosa interpretazione di Alicia Vikander), gli stessi titoli della serie Tomb Raider vengono oggi visti come cloni di un loro clone, Uncharted, che ha fatto meglio, più in grande e con maggiori ambizioni, quello che Lara aveva provato a fare quattro lustri or sono: portare il cinema avventuroso dentro ai videogiochi.

Shadows of the Tomb Raider, quindi. La degna chiusura di una trilogia che, mettiamola così, ha fatto quel che ha potuto e forse anche qualcosa in più. Questo terzo capitolo si pone però come estremamente contraddittorio. Il gameplay è sopraffino: i combattimenti soddisfano, gli agguati ancora di più (Rambo docet), tombe e cripte tornano prepotentemente ad essere protagoniste, in base al livello di difficoltà selezionato la sfida può diventare DAVVERO impegnativo e gli enigmi, specie se si levano tutti gli aiuti, sono VERI enigmi, e non solo un “sposta l’oggetto da qui a qui e poi tira la leva“. Tecnicamente Shadows of the Tomb Raider quasi pareggia il conto con la serie di Uncharted e gli altri tripla A recenti: il lavoro svolto da Eidos Montreal e Crystal Dynamics è quasi sempre ineccepibile, le location sono lussureggianti, i personaggi realistici, la fisica credibile. Il grado di immersività della giungla peruviana è notevole, così come la continua scoperta di collectible e oggetti utili a migliorare la propria condizione, le proprie armi e affinare abilità e talenti di Lara.

Il buco mancante nella ciambella va sotto il nome di “storytelling”, che in Shadows of the Tomb Raider tocca purtroppo il suo nadir, almeno per quanto concerne questa nuova trilogia. Non che i primi titoli della serie avessero chissà che storia, chiaro, ma il plot di questo episodio, la caratterizzazione dei personaggi e soprattutto i dialoghi sono davvero imbarazzanti. In altri tempi, e più precisamente prima di The Lost Legacy, l’approccio banalizzante di Shadows of the Tomb Raider sarebbe stato pure accettabile (ehi, c’è un’Apocalisse in corso e ci mettiamo a parlare del più e del meno?), ma dopo le strabilianti chiacchierate tra Chloe Frazer e Nadine Ross, il livello si è alzato verso vette celestiali e, anche se ovviamente ci si diverte lo stesso, tornare a relazioni basate sul nulla cosmico, beh, si fa sentire.

Anche i caricamenti dopo le morti (frequenti e sempre rappresentate con quel taglio splatter che onestamente non c’entra nulla con l’andamento della storia) e all’inizio delle partite sono interminabili, almeno seguendo i parametri settati da altre produzioni nell’anno di grazia 2018. Piccole cose, dettagli, inezie, che però rendono il prodotto meno rifinito e meno accattivante di quanto potrebbe essere. In ogni caso, Shadows of the Tomb Raider chiude al meglio una bella trilogia, non memorabile ma quanto mento meritevole di essere messa nella lista degli acquisiti. Visto l’affollamento, quantitativo e qualitativo, di questi tempi ludicamente fortunati, non è poco.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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