Non riesco davvero a capire, lo ammetto. È una questione di confini nazionali, di scelte editoriali di Bao Publishing o davvero le voci generazionali di quanti guardano ai millenials e si sentono improvvisamente vecchi devono percorrere certi topoi obbligati?

Daniel Cuello è nato a Córdoba e il trapianto in Italia non è stato completamente indolore, come spiega nella storia inedita che fa da spina dorsale a Guardati dal beluga magico, il suo nuovo volume antologico di illustrazioni e vignette. Anzi, è un peccato che la storia più forte, la più sentita e personale, sia utilizzata come inframezzo tra le sue fulminanti tavole a quattro pannelli, il formato che gli riesce più congeniale, quello con cui si è fatto conoscere su Facebook e Twitter.

Dopo il suo esordio con la graphic novel Residenza Arcadia (2017) e dopo aver curato le illustrazioni per i due Dizionari delle delle serie tv cult, per Cuello è arrivato il momento della raccolta della consacrazione, il meglio del meglio raccolto stampato su carta e rilegato.

Anche senza seguire attivamente i suoi account sui social network, Cuello e le sue eleganti vignette tono su tono fanno parte più o meno consapevolmente della quotidianità online, a suon di retweet o repost senza credit altrui. Non importa in che micronicchia culturale vi siate rintanati su Twitter o Facebook: i sobri colori sabbiosi che sono la costante del suo disegno digitale sono destinati a diventarvi familiari, anche se non li avete ancora ricondotti al suo nome e cognome. Succede o succederà, via retweet o attraverso un adorabile genitore che ti mostra con orgoglio una tavola approdata sul suo feed Facebook a un semestre dal suo transitare sul tuo feed (no, non riveleremo mai loro questo segreto, sono troppo adorabili così).

Lui e le sue ossessioni diventano  la summa dell’amara ironia e tragica comicità della nostra quotidianità di pre millennials, fatta di fan sfegatati della famiglia Angela, di dolciumi feticcio e di animali metaforici che incarnano le paure più profonde. Quelle appena nascoste sotto un sottile strato di ironia social, quelle che si ha paura di mostrare senza mediazioni ironiche. Succede forse per debolezza o forse perché davvero viviamo nell’epoca in cui lasciare intuire la propria profondità scevra da ironia è decisamente démodé.

Il Beluga quindi diventa l’ombra lunga di tutto ciò che può andar male, un adorabile cetaceo lattiginoso in cui riporre le proprie incertezze quando si vacilla, ignorandone la presenza, uscendo appena possibile dal suo cono d’ombra. Cuello si ritrova poi faccia a faccia con il cetaceo dall’aspetto inoffensivo, perché le paure più o meno razionali sono una parte della vita che va accettata e abbracciata con il suo carico di angoscia. Quella che nessuna gif o emoji potrà mai sintetizzare appieno. Striscia ai tuoi piedi, vola nei cieli come un Monodontide bianco ed è ineluttabile, come il lutto e il dolore dell’essere adulti in una società tutta da rifondare. 

Il limite principale del volume è quello di guardarsi e anche troppo dalla presenza del Beluga, dosandola con eccessiva cautela nell’antologia. Cuello dimostra il dono della sintesi anche nelle sue tavole alla Quino, quattro vignette senza parole ma pregne di senso, quindi riesce a fare un discorso importante in una trentina di pagine. L’impatto però è ridotto dal numero esiguo di pagine e ancor di più dal loro essere seminate nel mezzo delle tavole autoconclusive, quelle già note e amate dai fan del disegnatore, a cui sembra indirizzato questo volume.

Mi chiedo se non sarebbe stato meglio aprire il volume o chiuderlo con l’intera storia inedita, evitando il format qui poco efficace della Profezia dell’Armadillo. Per quanto odiosa possa essere questa comparazione, è difficile non unire i punti, colorare gli spazi bianchi e rivelare il ritratto della voce generazionale a fumetti di questo decennio.
Quindi torniamo alla domanda iniziale: è stata la pervasività delle scelte editoriali di Bao a creare questo profilo d’artista in cui una certa fascia anagrafica si riconosce, quello che ama la Divulgazione, ha un dolce totemico e un animale metaforico? Oppure siamo di fronte a una generazione dall’omogeneità culturale sconcertante, che non riesce a sfuggire ai fantasmi di un mondo senza lavoro e senza certezze, ma nemmeno alle citazioni di Star Wars?


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