Una delle doti che rende donne e uomini degli artisti è la capacità di anticipare i tempi, leggere in controluce gli eventi che modellano la contemporaneità e presentarne la loro personale rielaborazione al momento più opportuno, quando ormai tutti dispongono degli strumenti per decifrarla. Detto in altri termini, oggi i paragoni tra la situazione attuale e il medioevo sono alla portata di qualunque battutista improvvisato su Twitter, per pensarci in anticipo ed arrivare al momento giusto con una storia che ha richiesto una laboriosa gestazione serve invece talento. E il talento gronda letteralmente da ogni pagina del primo volume de L’Età dell’oro di Cyril Pedrosa e Roxanne Moreil.

Quello messo in scena dalla coppia di autori transalpini è però un medioevo fittizio, un’epoca fantastica ricreata combinando elementi reali, frutto di ricerca storica, ma provenienti da periodi lontani tra loro, in cui sul finire del racconto trova spazio anche una componente più marcatamente fantasy. La definizione temporale sfumata non impedisce tuttavia di imbattersi nelle figure più tipiche del racconto medioevale, dalla damigella in pericolo al cavalier servente, dall’impavido scudiero al malevolo consigliere.

Schemi narrativi che servono a tranquillizzare il lettore, a partire dalla figura di Tilda, la protagonista del racconto, primogenita del regnante che giace sul letto di morte dopo essersi tolto la vita. Tutto, dalla sua bellezza alla delicatezza dei suoi modi di fare, lasciano intendere che sul suo imminente regno splenderà un sole benevolo e giusto. È un effetto voluto, come raccontato dagli autori durante la presentazione milanese del volume: “L’intenzione è quella di risvegliare un moto di simpatia verso il sistema sociale che Tilda rappresenta. All’inizio il lettore se la passa bene: Tilda è bella e altrettanto buona d’anima. Presto però sarà costretto a problematizzare il suo potere e la fonte da cui ne trae origine”.

Perché per quanto l’idea della monarchia di Tilda sia più morbida e benevola rispetto a quella dura e spietata che metterà in pratica il fratellino usurpatore, consigliato nemmeno a dirlo dallo spietato Vaudémond, si fonda pur sempre su una divisione in classi ben definita e irrevocabile, legata al diritto di nascita, in cui i pochi fortunati stanno bene a scapito delle fatiche e del lavoro dei più umili. E di disperati è pieno il regno, come si capisce fin dalle primissime tavole in cui uno sgangherato trio di perdigiorno, brutti e deformi, ci introduce alla complicata vita di chi la sorte non ha premiato con sangue nobile.

Come Bertil, scudiero di Tankred; i due soli alleati di cui dispone Tilda dopo la rocambolesca fuga che le ha risparmiato un destino di netto più infausto. Una coppia di personaggi che dimostra la possibilità di prendere scelte ideologiche disinteressate. Non hanno nulla da guadagnare nell’aiutare una principessa accusata di tradimento a salvarsi la pelle, eppure mettono a repentaglio comunque la propria incolumità per rispondere al proprio senso di giustizia. Che tuttavia non corrisponde a quello di Tilda. Lo sottolinea Pedrosa: “Bertil a un certo punto prende coscienza della differenza di visione che lo separa da Tilda, di cui è coetaneo e con cui è cresciuto. A separali è la provenienza: Tilda è nobile, Bertil è povero”.

Il risveglio della giustizia sociale inizia presto ad diffondersi per il regno, un contagio che scalda i cuori e rinforza gli animi, il cui epicentro è una comunità segreta costituita da sole donne dove la democrazia si esercita nell’eguaglianza totale. È da quel luogo che alcuni frammenti dell’antico manoscritto L’età dell’oro riemergono, rivelandolo al popolo una verità celata da tempo immemore: il mondo non è sempre stato diviso tra nobili e popolani, ricchi e poveri. C’è stato un tempo in cui condivisione, uguaglianza e compassione guidavano le gesta degli uomini, un ordine sociale cancellato da quello attuale, ma il cui racconto ne dimostra di fatto la possibilità, il cui concepimento è già di per sé un atto rivoluzionario.

Mentre Pedrosa e Moreil raccontano di un medioevo fantastico e di una monarchia in pericolo, tra le pieghe del racconto si scorge il nostro presente. “Ciò che ci ha spinto a raccontare questa storia, il vero motore dell’opera, è la preoccupazione per la democrazia. All’inizio, osservando gli sviluppi degli ultimi anni, siamo stati colpiti da una sorta di depressione sociale, una perdita della speranza circa un possibile cambiamento. Questa storia per noi è diventata necessaria per continuare a credere a quella che a questo punto ha tutti i contorni di un’utopia“.

L’utopia di cui parla Pedrosa è quel mantra che risuona nelle piazze e nelle contestazioni dal 1999 a Seattle: un altro mondo è possibile. Già, ma quale? Benché ogni personaggio abbia una propria concezione di un domani migliore, le idee degli autori sono piuttosto chiare in merito: “Oggi, così come nell’epoca in cui è ambientato L’età dell’oro, libertà ed emancipazione sono idee sovversive, considerate pericolose. Nel secondo volume ci concentreremo maggiormente su questi concetti, dimostrando che il concetto di libertà può essere diverso da quello che ciascuno intende“.

In Francia, dove il volume è uscito da circa un mese, nelle recensioni se n’è parlato soprattutto dal punto di vista del suo impatto politico sociale, e ci fa piacere, perchè è una reazione in linea con i nostri intenti“. Un’impresa, considerando quanto farebbero parlare di sé l’imponente e lussureggiante comparto grafico in condizioni normali. Pedrosa sfoggia nel L’età dell’ora una maturità artistica impressionante, raggiungendo vette di eccellenza tecnica da lasciare a bocca a aperta.

Pur proseguendo nel solco del suo stile più recente, quello ammirato e premiato in Portugal per intenderci, Pedrosa recupera alcuni tratti dell’ultima animazione Disney in 2D, ritornando ai suoi esordi come animatore per Hercules. Ma c’è molto più. Nelle oltre 200 pagine de L’età dell’oro convivono la ceramica a figure rosse dell’antica Grecia e la Grande onda di Hokusai, la sintesi di Mazzuchelli, la composizione di Chris Ware, l’audacia dell’underground e la raffinatezza del fumetto europeo, in un tripudio di dettagli che non ostacolano mai la lettura, grazie a una mano che sa fermarsi proprio al momento giusto, senza mai eccedere.

Ci vorrebbe un documentario sia per comprendere tutte le tecniche impiegate da Pedrosa nel comporre due centinaia di tavole con un simile valore artistico, in cui una composizione di sfondi in negativo si coniuga a un uso del colore spregiudicato e sperimentale, sia per sviscerare le ispirazioni che hanno guidato la sceneggiatura di Moreil. Personalmente mi chiedo sei i due autori, che hanno composto insieme il soggetto, abbiano letto Q dei fu Luther Blissett, perché in più di un’occasione durante la lettura del volume mi è parso di cogliere gli echi di Münster.

Il risultato di questo incontro è un’opera che eccelle in ogni suo elemento, ma il cui valore trascende la mera somma algebrica delle sue parti grazie alla capacità di parlare al presente e del presente, ma anche grazie al coraggio con cui i suoi autori hanno deciso di prendere una posizione forte, netta ed esplicita in un momento storico in cui basta molto meno per finire in deliranti liste di proscrizione vergate dai fan. Una caratteristica che rende senza alcun dubbio L’età dell’oro uno dei fumetti da non perdere per nessuna ragione in questo 2018.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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