Cinque anni fa era la bella addormentata bambina nel blockbuster Maleficent. Quest’anno ha appena brillato al Festival di Toronto con un film tutto suo, Gwen. La ragazzina del Merseyside, la più giovane vincitrice del Laurence Olivier Award della storia, oggi è una diciassettenne dalla tempra che promette scintille. Tant’è che il TIFF l’ha scelta come una delle Rising Star 2018. L’abbiamo incontrata al Festival per parlare dei suoi inizi, delle sue aspettative e del perché non le piace rivedersi sullo schermo.


Fuori dal Baro, uno dei ristoranti più trendy attorno all’enterteinment district di Toronto, è assiepato un manipolo di fan. Aspettano qualche celebrità di passaggio per un drink.

Ho appuntamento con Eleanor Worthington-Cox poco dopo le tre del pomeriggio. Il Festival di Toronto è iniziato da pochi giorni, l’aria in città è ancora calda e umida. Mi apro un varco e riesco ad entrare dall’ingresso centrale. Il vociare indistinto degli ospiti è attraversato dall’elettricità festivaliera che serpeggia in tutto il downtown.

Raggiungo a piedi il loft al terzo piano, un gigantesco spazio dai mattoni non coperti di intonaco e uno stile minimal vagamente americano, architettura industriale poco in linea con il moderno luccichio canadese.

Mi aspetto una folla, il loft invece è deserto. Poi le porte dell’ascensore si aprono ed Eleanor esce accompagnata dalla manager e dal publicist di Gwen, il film che presenta al Toronto International Film Festival, TIFF per gli addetti. Un tesissimo dramma in costume nel Galles rurale del diciannovesimo secolo, scritto e diretto William McGregor, a Toronto in prima mondiale nella sezione Discovery, dedicata ai registi da tenere d’occhio. Eleanor, che è protagonista della pellicola, è anche delle una Rising Star del Festival 2018, ossia uno dei talenti che il TIFF sceglie ogni anno come emblemi della nuova generazione di attori di successo internazionale.

Nata nel 2001 nella contea metropolitana del Merseyside, in Inghilterra, lei è già abituata al successo: ha esordito a teatro, diventando la più giovane vincitrice di sempre del Laurence Olivier Award per il musical Matilda; sono seguiti la nomination al BAFTA per la miniserie The Enfield Haunting e la parte di Aurora bambina in Maleficent della Disney; poi sono arrivati il ruolo da protagonista in Action Point e la serie Amazon/Sky Britannia.

Dimostra (poco) più dei suoi diciassette anni. Il trucco acqua e sapone, ma che ne azzera i difetti, la giacca di pelle nera, la cascata di capelli biondi.

«Eccoci!» esordisce il publicist, «Siamo puntuali». Poi mi si presenta la manager, serissima: possiamo iniziare quando voglio. È Eleanor a informarmi di avere probabilmente più dei quindici minuti programmati: ci accomodiamo a un tavolo contro una parete, seduti di sbieco per guardarci in faccia. Mi racconta velocemente della proiezione ufficiale di Gwen insieme al pubblico, la sera prima. È evidentemente soddisfatta. Oppure recita benissimo. Io però tendo a crederle.

Gwen è la tua prima esperienza come protagonista di un dramma in costume. Com’è stato arrivare sul set il primo giorno?

Fantastico! Non esagero. La location era bellissima e ci siamo trovati circondati da un paesaggio mozzafiato. Il sud del Galles è spettacolare: poter girare in un cottage remoto nel mezzo del nulla, con la natura come unica cornice, ha rappresentato un’esperienza impagabile.

Vivi lontana dal Galles?

Mi divido fra Liverpool e Londra.

Sei stata un enfant prodige: la più giovane vincitrice dell’Olivier Award per Matilda the Musical, poi candidata al BAFTA a quindici anni… Come affronta tutto questo una ragazzina?

Non avevo idea che quei riconoscimenti mi avrebbero portata dove mi trovo adesso, qui al Festival di Toronto come protagonista di un film! Avevo dei sogni ma non sapevo ancora come realizzarli. All’epoca ero solo emozionatissima, ma non sapevo se quelle dorature mi avrebbero aiutata a diventare chi volevo essere.

Le consideri importanti, oggi?

È sempre un onore scoprire che qualcuno ha apprezzato il tuo lavoro, non un singolo ma un gruppo di persone che votando dimostra di aver amato quello che fai. Come attrice, posso dire che è un’esperienza gratificante: mi ha resa felice. Allo stesso tempo, però, ti confesso che non leggo mai le recensioni, né quello che si scrive di me!

Non leggerai la nostra intervista?

Questa sì! Me la farò tradurre! Si tratterà della nostra conversazione, del resto. Quello che non leggo mai sono le critiche dei miei film. Cerco sempre di mettere un po’ di distanza fra me stessa e la mia vita professionale.

 Dove tieni l’Olivier?

Niente di eclatante: lo uso come fermalibri su una mensola!

Cosa può aspettarsi il pubblico da Gwen?

Non voglio dire troppo né rischiare spoiler… ma quello che volevo mentre giravo, e quello che vorrei ora che sto presentando il film, è dare al pubblico qualcosa da portare con sé una volta lasciata la sala. Spero che la storia li tocchi, che possano credere in quello che il film racconta e che Gwen muova qualcosa dentro di loro… significherebbe che ho fatto bene il mio lavoro!

Hai visto tutto il film alla prima mondiale, ieri sera?

Sì, certo!

Quindi ti sei fermata… non tutti gli attori restano a vedere i loro film con il pubblico dopo la presentazione.

Io ero lì. La sessione di domande e risposte dopo il film è stata molto interessante: ero felicissima, è stato bello vedere le reazioni in sala. Sembra che gli spettatori abbiano apprezzato! È stato davvero divertente.

 Fa paura vedere un tuo film insieme al pubblico?

Ho visto il film su un grande schermo per la prima volta qui a Toronto. La visione cambia rispetto a quella sullo schermo di un pc. Ci sono un paio di momenti che fanno saltare sulla poltrona, per farti solo un esempio… ed è stato interessante vedere la reazione del pubblico a quelle scene! Non ero tesa durante la premiere: è stato strano, piuttosto, vedere il film insieme a un pubblico così numeroso come quello del Festival! Quello in Gwen è uno dei personaggi più complessi che ho interpretato, probabilmente il mio primo grande ruolo da protagonista in una produzione cinematografica così complessa, così intensa.

Credit Dan Beacock

Cinque anni fa eri sul set di un blockbuster come Maleficent

… la mia prima esperienza con un film!

Impressionante?

Per essere il mio primo lavoro al cinema, un po’. Era un piccolo ruolo, ma mitico: Aurora bambina. La bella addormentata è una storia che tutti conoscono e nessuno dimentica! Per questo ho ricordi fantastici di quel film: è stato meraviglioso soprattutto per chi, come me, è cresciuta adorando le storie Disney.

Con Gwen hai sentito più pressione?

L’avrei sentita in un contesto diverso. Senza il team che ho trovato sul set di Gwen mi sarei sentita intimidita, probabilmente. Ma dal primo giorno di riprese ho trovato una gentilezza e una generosità che non sperimenti tutti i giorni quando giri: l’aria che respiravamo era così amichevole che era impossibile preoccuparsi. È un film a tratti cupo, ma tra un ciak e l’altro ci siamo divertiti parecchio!

Quando hai saputo che saresti stata qui al TIFF come una delle Rising Star del Festival?

Credo due o tre settimane fa…

Come hai reagito?

Ero emozionatissima. È un onore far parte di un programma così inclusivo, che richiama a Toronto persone da tutto il mondo che condividono la stessa passione per il cinema. Questo Festival ha uno dei cartelloni più variegati e ricchi del mondo: non posso che essere orgogliosa di farne parte.

 Aspettative per il futuro dopo essere stata una Rising Star?

Avere la fortuna di continuare a fare quello che amo. Ossia recitare!

Continuerai anche con il teatro?

Spero di alternarmi fra teatro, cinema e televisione. Amo tutti e tre. Quando faccio una scelta, il mio istinto guarda soprattutto alla storia, al genere e al personaggio che devo diventare. Non ho mai pensato di rifiutare un’offerta perché era teatrale, o perché si trattava di un film che mi avrebbe tenuta lontana da casa per settimane o mesi…

Mi fai pensare a Eva contro Eva di Mankiewicz. Non per la rivalità fra attrici, ma per l’idea che serpeggia nel film: gli attori di teatro sentono il richiamo di Hollywood. È così anche per te?

Ci sono differenze sostanziali fra il cinema e il teatro. Non serve che lo ricordi io. Per me, in ogni caso, la prima è il rapporto con il pubblico: a teatro è immediato. È una gratificazione che arriva subito, non devi aspettarla e non è mediata. È meraviglioso capire che qualcuno sta apprezzando il tuo lavoro, lì, all’istante. Gli applausi, i pianti… per un attore sono impagabili. Quando passi a un film o a una serie televisiva, tutto cambia. Puoi rifare una scena quante volte vuoi. Però, una volta fatta, è indelebile: resta per sempre. Ci sei tu e quello che hai dato, e chiunque negli anni potrà vederlo. È una sensazione strana ed eccitante.

Ti piace rivederti sullo schermo?

Preferisco vedere altre persone! Quando guardo un film o una serie apprezzo tutto: non solo gli interpreti, ma anche lo stile di regia, la sceneggiatura… Ammetto che, se posso, evito di rivedermi [ride di gusto, ndr]. Finisco per concentrarmi sugli aspetti tecnici del mio lavoro e non mi godo il risultato generale.

C’è un teatro del West End a Londra in cui vorresti lavorare?

Ce ne sono parecchi e tutti hanno una storia incredibile. Mi viene spontaneo citarti un teatro in cui ho già lavorato: il Regent’s Park Open Air Theatre. Comunica delle energie diverse da quelle di qualsiasi altro teatro in cui ho recitato. Sarebbe un onore poterci tornare.

Da attrice inglese, quali sono i tuoi modelli British?

Judi Dench, Julie Walters e Helen Mirren. Ho sempre guardato a loro. Non solo per il talento, anche per la varietà impressionante di ruoli cui hanno dato vita. Sarebbe un successo dare la metà di quello che loro hanno dato, essere metà della persona che loro hanno saputo diventare.

Il tuo lavoro è molto seguito dalle nuove generazioni. Una responsabilità?

È importante incarnare un modello positivo per i miei coetanei e per le generazioni più giovani. Lo percepisco soprattutto quando porto in scena modelli femminili forti, determinati, che possono essere di esempio a donne di qualsiasi età. È una parte del mio lavoro che adoro. Del resto, il messaggio che cerco di lanciare è questo: le donne sanno essere indipendenti e coraggiose, continuano ad esserlo anche quando si trovano ad essere vulnerabili, e possono parlar chiaro ma rimanere sensibili e incredibilmente comprensive.

 



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