Due fratelli, Romolo e Remo, vengono sorpresi dall’esondazione del Tevere e si ritrovano ostaggi di Alba, la città dominante nel Lazio del 753 A.C. . Riusciti a scappare portando con sè uno sparuto gruppo di uomini, i due vagano per foreste e paludi, fino a trovare un piccolo villaggio…

Qualche tempo fa indicavamo Il Primo Re come potenziale esponente di un genere assolutamente diverso rispetto ai canoni classici del cinema (e delle serie tv) italiano contemporaneo, fatto per lo più da oscene commedie mononeuroniche, cinepanettoni e opere con protagonisti mafiosi, carabinieri o esponenti del clero. Se guardiamo all’originalità del progetto, ai costi di produzione, sensibilmente più alti della media e al risultato finale, al netto di qualche perdonabile incertezza, possiamo affermare che sì, quella de Il Primo Re è una scommessa vinta.

Si sprecano, più o meno involontariamente, i riferimenti ad altri film, da Apocalypto, il film di Mel Gibson parlato in maya yucateco a The Revenant o Valhalla Rising – Regno di sangue, ma il bello de Il Primo Re è che, nonostante sia figlio di questi padri nobili, riesce lo stesso a mantenere una sua precisa identità. Oltre ai dialoghi in “protolatino”, una scelta bizzarra e audace che si rivela vincente, a conferire un fascino particolare al film è indubbiamente la pazzesca fotografia di Daniele Ciprì (che ha girato “alla Barry Lyndon” usando solo la luce naturale), che ammanta ogni location di un’aura mistica e misteriosa. Ben coreografate sono le (poche ma significative) scene di combattimento, piuttosto verosimili e particolarmente brutali e violente, almeno per gli standard cui ci hanno abituato da anni le mega produzioni hollywoodiane.

Le informazioni relative alla produzione confermano che larga parte di quello che si vede è quanto meno veromisile, almeno per quanto concerne gli indumenti, gli strumenti da battaglia come armi e corazze, le location scelte e gli accampamenti ed effettivamente per due ore sembra davvero di fare un piccolo viaggio nel tempo, in un periodo in cui il massimo obiettivo possibile per un individuo era la mera sopravvivenza. Lo script de Il Primo Re (co-firmata da Rovere, Filippo Gravino e Francesca Manieri) però, funziona bene anche quando tratta del contrasto “ideologico” tra i due fratelli, con Remo che non crede nell’esistenza degli Dei o di un’entità superiore e Romolo che ritiene che l’ordine debba comunque essere fondato sul rispetto delle leggi divine (chissà se avesse prevalso Remo in che mondo vivremmo, verrebbe da pensare…). Efficace il cast: Borghi si conferma, dopo l’exploit de Sulla Mia Pelle, un talento di razza purissima e sembra persin sprecato per il limitato e limitante perimetro in cui si muove il cinema italiano. Bravi anche Alessio Lapice (Romolo) e Tania Garribba.

Il Primo Re è un film di volti e corpi, di fiumi impetuosi e foreste fitte e claustrofobiche, di fango e sangue, di violenza e paura (degli Dei, degli animali feroci, della natura ostile e non ancora piegata al volere dell’Uomo). Un film doppiamente fondativo, nella finzione scenica e nella realtà produttiva, che vorremmo segnasse un punto di ri-partenza per il cinema italiano. Vorremmo, appunto…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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