Anno terrestre 1995: sul pianeta natale dei Kree, una razza aliena di nobili e valorosi guerrieri, Vers, un’umana aggregatasi al team Starforce, sta completando il suo allenamento in vista di una pericolosa missione: porre fine una volta per tutte alla guerra coi malvagi Skrull. Dopo essere stata vittima di un agguato, la ragazza si trova catapultata sulla Terra, dove inizia a ricordare il suo passato…

Captain Marvel, penultimo atto del Marvel Cinematic Universe, almeno per come lo conosciamo da dieci anni, aveva dato adito negli ultimi tempi (soprassedendo sulle polemiche che hanno accompagnato alcune dichiarazioni di Brie Larson, il cui impatto sugli incassi e sul successo del film sarà paragonabile a quello di un moscerino che si spiaccica sul vetro di una blindocisterna che viaggia a velocità sostenuta) a innumerevoli domande: il personaggio sarà coerente con quanto visto e presentato negli ultimi due lustri? Sarà “troppo forte” rispetto agli altri eroi marvelliani? La Larson sarà convincente nel personaggio come lo è stata Gal Gadot in Wonder Woman? Come ha perso l’occhio Nick Fury? Beh, tutte domande che, sì, avranno una risposta.

La prima cosa da dire riguardo Captain Marvel è che, a dispetto delle dichiarazioni dei registi, Anna Boden e Ryan Fleck, è un “origin movie” assolutamente convenzionale. Ci sono i flashback, gli spiegoni (più del solito, ma bisogna fare di necessità virtù), tanti colpi di scena, il giusto mix tra azione, “dramma” e umorismo, insomma nulla di particolarmente originale o innovativo (verrebbe da chiedersi cosa intendessero loro quando parlavano di concept “rivoluzionario”), anche se tutto è presentato con la solita attenzione ai dettagli e i classici, immensi, valori produttivi cui ci hanno abituato da tempo Marvel e Disney.

Il film, a dirla tutta, non parte benissimo, fatta eccezione per il MERAVIGLIOSO omaggio a Stan Lee durante i titoli di testa (sicuramente il miglior modo per celebrare il genio dell’autore con simpatia e ironia): la Larson pare impacciata (e antipatica), la storia della guerra tra Kree e Skrull non entusiasma, l’approccio narrativo sembra troppo banale e scontato. Poi, dall’arrivo dell’eroina sulla Terra (nella celebre sequenza di “atterraggio” dentro al Blockbuster che apriva il primo trailer) e dall’incontro con Nick Fury, Captain Marvel si riscatta e decolla, trasformandosi in un buddy movie, spesso spassoso e molto più sopra le righe e surreale di quanto fosse lecito supporre alla viglia.

Brie Larson fallisce invece la missione di superare o eguagliare la collega Gal Gadot: quanto a carisma, fascino ed empatia, la Wonder Woman di Dc e Warner surclassa l’eroina Marvel e relativa interprete. Anzi. La Premio Oscar per Room, finisce ai piedi del podio, perché i due veri, assoluti, entusiasmanti protagonisti di Captain Marvel sono Nick Fury e il gatto Goose. Samuel L. Jackson, magistralmente ringiovanito dagli effetti speciali, firma una prestazione da applausi, spassosa e scanzonata. Quanto al micio…beh, vedrete.

Captain Marvel ha il gran pregio di non soffocare nel citazionismo a tutti i costi, anche se i riferimenti agli anni ’90 non possono mancare. Invece di essere proposti seguendo una logica di mero accumulo (alla Ready Player One) però, vengono sempre debitamente “contestualizzati” e sono spesso volano per buone gag e situazioni divertenti. Per essere un “Origin movie”, Captain Marvel assolve quindi pienamente al suo compito, senza entusiasmare ma risultando più convincente, per dire, dei primi film dedicati a Captain America e Thor. Il film inizia a dare risposte su molti quesiti rimasti insoluti e, tramite la classica scena di mid-credit (quella dopo i titoli di coda, per quanto simpatica, potete anche lasciarla perdere), si aggancia perfettamente a Infinity War ed End Game.

In ogni caso, ora tutte le pedine sono al loro posto: l’hype per Avengers: End Game era già alle stelle dopo Infinity War, e Captain Marvel lo alza ulteriormente aggiungendo l’ultimo tassello mancante ad una lunga ed emozionante avventura. Non resta che sperare che l’attesa sia almeno equivalente all’evento…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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