Ricordo bene il periodo in cui i coniugi VanderMeer stavano lavorando a una delle loro antologie più ambiziose da assemblare. Lo rammento con precisione perché non passava giorno senza che uno dei due twittasse qualche commento entusiasta su questo o quel racconto SFF (science fiction & fantasy) scovato in qualche remota raccolta, in qualche massive paperback dimenticato degli anni ’80.

Sotto l’eccitazione per ogni scoperta o riscoperta però leggevo l’ansia tipica dei curatori di compendi come Le visionarie. Nonostante sia dentro sia fuori i confini della SFF il lavorio (in)conscio per ridurre o cancellare del tutto l’enorme contributo che il genere femminile ha dato alla letteratura di genere sia incessante, non serve che una conoscenza superficiale del comparto per capire che la scrematura deve essere estrema, brutale. Le Guin, Carter, Butler sono nomi conosciuti al pari di quelli di Asimov, Clarke, Heinlein, tanto famosi da essere noti senza essere stati necessariamente letti. Un’antologia di fantascienza femminile è un’antologia di fantascienza senza alcun tipo di riduzione (quantitativa o qualitativa) e come tale, pesca in un bacino così ampio che innanzitutto s’impone una visione prospettica ben affinata.

La scelta dei VanderMeer, non nuovi a questo genere d’imprese che impongono all’attenzione di un pubblico liminare contenuti di genere “puro”, è quella di rendere femminile (e femminista) l’antologia; i racconti contenuti in Le visionarie – Fantascienza, fantasy e femminismo sono infatti scritti da donne sì, ma soprattutto parlano di donne e condizione femminile. Lo fanno in maniera conscia, consapevole e il più delle volte politicamente connotata: non è un caso infatti che lo scritto più remoto sia datato 1967 e gran parte dei racconti sai stato scritto a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90.

I racconti contenuti in Le visionarie – Fantascienza, fantasy e femminismo sono infatti scritti da donne sì, ma soprattutto parlano di donne e condizione femminile.

L’ultimo decennio del Novecento per la letteratura di genere (e per la fantascienza in particolare) è stato un periodo di grande instabilità. Il genere ha conosciuto una prima grande crisi di popolarità, ma al contempo ribolliva di nuove idee, sia nel contenuto sia nella forma. È proprio in questo momento che le grandi madri nobili e universali della SFF (quella manciata di nomi incontestabili anche dai lettori più conservatori) cedono il testimone a un gran numero di scrittrici – alcune nemmeno puramente di genere – che danno il via alla sperimentazione letteraria, travasando con un po’ di ritardo le idee delle varie ondate femministe nel futuro e nello spazio.

In questo senso Le visionarie racconta con estrema precisione la difficoltà del genere femminile ad uscire dei limiti imposti dalla tradizione. Sorprende come per tutti gli anni ’80 e ’90 le autrici si siano sì via via affrancate dal ruolo di madri e mogli anche nella narrativa speculativa, ma con una lentezza dolorosa e un ritardo quasi esasperante. È come se anche nel campo più immaginifico possibile, l’emancipazione non possa bruciare le tappe della lotta nel mondo reale, neppure una. Si comincia quindi dal livello base: la ribellione per annullamento. Racconti come Il sonno delle piante di Anne Richter (1967) e La donna che si credeva un pianeta di Vandana Singh (2003) ritraggono l’annullamento di sé e della propria umanità, persino della propria concretezza corporea, qualcosa di simile a quanto fatto da Han Kang nei suoi romanzi.

Poi arriva un massiccio blocco di maternità travagliate, vissute come crimini, prigioni, tradimenti verso sé stesse. La maternità è un passaggio obbligato anche sulla pagina, quasi inesorabile. Al patriarcato non si sfugge nemmeno se si tenta di abbatterlo, ed ecco Le madri di Shark Island di Kat Reed (1998) o Le lacrime della madre di Leena Krohn (2004), a fronte di sparute, visionarie riflessioni sul contesto lavorativo delle donne come Strategie stabili per manager di fascia media di Eileen Gunn (1988). Per sfuggire a marito e prole rimane solo il fantastico più sospinto o dal retrogusto favolistico, come in La regina mangia la torre di Tanith Lee.
Non manca poi la violenza diffusa e apocalittica e qui non poteva che comparire James Tiptree Jr., un gigante della storia breve, con la soluzione della mosca. La femminilità vissuta come handicap, come attributo mortale, da cancellare o assimilare al maschile. A sorpresa la fluidità di generi e sessualità appare fugace in un unico racconto, E Salomé danzò.

È come se anche nel campo più immaginifico possibile, l’emancipazione non possa bruciare le tappe della lotta nel mondo reale, neppure una.

Costruire un’antologia di questo tipo presuppone uno sforzo titanico e una selezione richiede per forza di cose il gesto dell’esclusione più o meno giusta. Qui però mi sembra che più che i nomi rappresentativi (le grandi del passato ci sono tutte e anche le giovani leve più amate sono rappresentate) manchi la rappresentazione di visioni alternative che la SFF in quegli anni ha saputo creare. In Le visionarie quello  rappresentato è un ritratto sin troppo classico e canonico della fantascienza / del fantastico militante, che tra l’altro a sua volta ragiona e critica modelli molto tradizionali di femminilità. Soprattutto negli anni ’90 e primi 2000 si sarebbe potuto (e dovuto) rappresentare molto altro. Non si è quasi pescato nel mezzo di quella produzione che a partire dalla linguistica sino alla sessualità ha modificato in maniera indiretta ma altrettanto forte e decisa il ruolo femminile nello spazio e nel futuro.

Gli altri due limiti di questo volume sono insiti nel suo stesso metodo di costruzione. Ovviamente spaziando così tanto nel tempo e nei generi il livello qualitativo è medio alto, ma non eccelso. Per mio gusto personale però preferisco antologie il più possibile rappresentative di varie correnti, che statisticamente mi mettano di fronte a un paio di storie per me indigeste (per me per esempio Leonora Carrington rimane un mistero privo di senso) piuttosto che raccolte eccelse ma sin troppo settoriali e ripetitive.

La scelta di campo che perdono un po’ meno ai coniugi VanderMeer è che la selezione così squisitamente statunitense. Nel senso che la stragrande maggioranza delle autrici sono anglofone e anche i cognomi più “esotici” finiscono per tradurre da sé le proprie opere in inglese o comunque sono già pienamente entrati nel mercato americano. Per esempio tutte le autrici con qualche connessione con il continente africano hanno solo origini; sono cittadine statunitensi. Sulle europee poi non mi esprimo nemmeno: un paio di scandinave che già scrivono in inglese, cittadine del Regno Unito e bon. Idem per il vastissimo blocco asiatico. Insomma, si può risolvere il problema della rappresentazione di genere, ma per quella geopolitica non si può che passare per gli Stati Uniti.

Detto questo però Le visionarie – Fantascienza, fantasy e femminismo rimane una delle più belle antologie di genere disponibili sul mercato letterario italiano. Non sfugge allo sguardo degli appassionati la sciatteria con cui si ostina a riproporre al lettore casuale e poco informato antologie vecchie di decenni, mai riviste come traduzioni e selezione (e quindi che ancora esprimono il peggio del metodo taglia e cuci dell’era Fruttero & Lucentini, solo occultato dietro copertine riviste e rifinite).

Non rimane che ringraziare Not per il coraggio dimostrato nell’aver proposto un volume che unisce due degli elementi che suscitano più profonda avversione presso una ampia fetta di pubblico (la letteratura femminile e quella di genere). Ottima tra l’altro l’idea di abbinare ai racconti di genere un lungo elenco di traduttrici che nella SFF ci hanno già messo lo zampino. Chiara Reali, Nicoletta Vallorani, Claudia Durastanti; vedere all’opera in traduzione chi ha già dato prova di amare e conoscere il campo di gioco non può che impreziosire un volume già inestimabile. Ce ne vorrebbero di più di editori che al posto di riproporre vecchie meraviglie di ciò che ormai non è più possibile, puntino a visioni di quello che è ancora da realizzare: una parità letteraria nel contesto del visionario e futuribile.



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