[Attenzione: da qui in avanti SPOILER]

The Bells sembra essere la risposta ai critici della Battaglia di Winterfell con il suo abbagliante furore e una regia magistrale che coreografa e segue con agile grazia il dispiegarsi dell’azione tra cielo, mare e terra, con ciascun ambito palcoscenico per l’azione e la risoluzione dei protagonisti. Miguel Sapochnik è talmente bravo da rendere facile lasciarsi irretire dal progredire degli eventi e sottostimare quello che realmente sta accadendo: non è solo la Capitale a essere sotto attacco, ma la serie stessa, l’irrazionale e spasmodica sete di sangue di Daenerys non rade al suolo solo King’s Landing ma le fondamenta stesse di Game of Thrones.

Daenerys ha stravinto, e questa volta è lei e solo lei ad avere il merito, niente Jon a battagliare da eroe, nessuna Arya furtiva e letale a sferrare il colpo di grazia al nemico. La madre dei draghi è arrivata dal cielo fiammeggiante e implacabile come un castigo divino, ha incenerito la flotta di Euron, ha frantumato le mura della capitale irrompendo alle spalle degli uomini di Cersei che non hanno neanche fatto in tempo a sguainare le spade prima di essere spazzati via. Ha incenerito gli ostacoli sulla via del suo esercito di terra che ha dovuto impegnarsi solo in vista della inevitabile resa e, a queste condizioni, la conquista della Capitale, è perfettamente compiuta.

Ci si chiede perché mai non l’abbia fatto prima, con tre draghi, i dothraki e gli unsullied al completo, una schiacciante superiorità numerica e nessuna flotta nemica. Ah, già, era partita alla volta di Winterfell per proteggere il Nord dal Night King e dagli estranei, con solo due draghi però, perché uno l’aveva perso prima ancora andando a salvare Jon Snow. Tutte azioni che avrebbero dovuto insospettirci sul suo stato di salute mentale perché quando sei al pieno del tuo potere e puoi avere facilmente il tuo nemico annientato in giornata, è da pazzi non approfittarne per andare a combattere la battaglia di qualcun altro, lontano, dove il tuo aiuto non è neanche benvenuto ma solo tollerato. E di fatti, nel momento in cui Daenerys ha stravinto in 10 minuti di orologio e potrebbe insediarsi tranquillamente, accade qualcosa, un mutamento d’animo repentino e irrazionale, gli autori non lo dicono apertamente perché la scrittura è raffinata, elusiva e gioca di sottrazione, ma è evidente che proprio in quel momento Daenerys ha il suo ciclo o qualche altra paturnia da donna e si sa, le donne in quei momenti sono pazze, isteriche e più irragionevoli del solito. Varys aveva avvisato Tyrion in proposito. Stessa scusa non può valere però per i balestrieri: nella precedente puntata erano tutti olimpionici del tiro al piattello, in questa sarebbero stati incapaci di infilzare un’oliva con lo stuzzicadenti figurarsi un drago con una freccia.

Ma, dicevo: Daenerys ha perso completamente la testa, un processo portato a maturazione in modo certosino nell’arco di tre giorni lavorativi.

Già dalla scorsa puntata, o meglio, dai suoi ultimi minuti  abbiamo iniziato a intuire che l’esito finale dell’imminente battaglia era tutto sommato scontato, e che gli autori non avrebbero creato suspense intorno alla risoluzione dell’evento, quanto piuttosto intorno al dispiegarsi del come e a quale prezzo sarebbe arrivata la vittoria. In questo senso, i primi minuti della puntata ci vengono in soccorso grazie a Varys che liquida un personaggio che nell’arco di otto stagioni si spende per liberare mezzo continente dalla schiavitù, con un: Daenerys è una Targaryen, quelli sono tutti pazzi.

La tesi di Varys è dunque quella degli autori, il DNA non mente e opportunamente stimolato dalle circostanze della vita viene inesorabilmente fuori. Certo il gene Targaryen di Daenerys si è mostrato capricciosamente recessivo, non ne ha voluto sapere di venire fuori quando Dany è stata venduta, stuprata, quando hanno tentato di ucciderla/avvelenarla, quando ha perso il marito, il figlio e si è ritrovata di nuovo sola al mondo, quando ha scoperto che il suo unico amico e protettore era una spia inviata dai suoi nemici, o quando è stata messa in catene, e neanche in tempi più recenti quando ha perso due draghi – gli unici figli che potrà mai avere -, quasi tutto il suo popolo, buona parte degli unsullied e ha capito di essersi innamorata di uomo con la perspicacia politica (e non) di una felce d’appartamento.

La follia Targaryen se ne è rimasta lì assopita mentre la ragazzina sola al mondo affrancava sé stessa e guadagnava la libertà e la dignità per le persone sul suo cammino, mentre cresceva tre draghetti, trasformava i dothraki da una mandria di selvaggi e stupratori in un esercito fedele al suo comando, mentre animava mezzo continente di speranza e fiducia in una condizione di vita migliore. Tutto fumo negli occhi. In ciascun episodio di liberazione, sua personale e a beneficio degli indifesi e degli ultimi, secondo gli autori avremmo dovuto scorgere la sete di potere, la tirannia, l’ombra della follia del padre, dopotutto ha conquistato città e liberato schiavi con la forza, ma non quella dell’amore!, bensì quella militare: ha addirittura fatto giustiziare traditori e nemici quando una semplice reprimenda sarebbe stata più che sufficiente e nessuno avrebbe mai più messo in discussione il suo ruolo, né tentato di tradirla e rovesciare il suo regno! Certo, se Ned giustizia un povero ragazzo che trasgredisce alle regole è emblema del rigore onorevole dell’uomo del Nord, se Daenerys giustizia un traditore o uno schiavista è un tiranno.

La trasformazione in Mad Queen di Daenerys è un’infelice combinazione di pressapochismo narrativo e disonestà. Gli indizi che vogliono farci credere avremmo dovuto scorgere non ci sono mai stati perché una scena non è solo il suo contenuto ma anche il tono, il contesto e il modo in cui viene resa, ed estrapolare una frase e decontestualizzarla, o puntare il dito su un frammento di episodio in cui Daenerys non è stata la reincarnazione di Gandhi è sleale. E sia ben chiaro, Daenerys si è sempre presentata come leader, liberatrice, capo carismatico, icona femminile dell’emancipazione, ma soprattutto condottiero: non ha bussato alle porte delle città armata di amore e fiori per i cannoni, ma al comando di un esercito, e sempre presentando una scelta. Il suo intero percorso di crescita ha denotato capacità e attitudine al comando, una natura intrinsecamente portata a ispirare ed elevare gli animi, una compassione inusuale e la volontà di mettere fine alle ingiustizie ma anche il necessario spirito guerriero per abbattere i nemici. Nessuno mai l’ha scambiata per Madre Teresa, ma trasformare i tratti di una leader e l’inesperienza di una ragazza che sta imparando a regnare nei semi della violenza e della follia è pura mistificazione.

Beniof e Weiss hanno avuto due anni, soldi e carta bianca per decidere come portare a termine la serie, HBO era pronta ad andare avanti per almeno altre tre stagioni, ma loro hanno deciso che sei episodi sarebbero stati sufficienti: ebbene, non lo sono. Forse con più tempo a disposizione la discesa versa la follia sarebbe stata costruita con diligenza e il passaggio da Mhysa a Mad Queen sarebbe risultato in un’evoluzione ponderata e inevitabile, ma così gli autori sono solo caduti nello stereotipo della donna pazza e isterica inadeguata al comando, incapace di tenere i nervi saldi,  prona al collasso nervoso.

Non solo, la brama di Daenerys di mettere a ferro e fuoco furiosamente tutto e tutti, di fare scempio di migliaia di vite umane, dei suoi stessi sudditi, è completamente out of character e la perdita di Missandei e il timore di essere adombrata da Jon non possono giustificare in alcun modo un tale esorbitante cambiamento, l’unica spiegazione che rimane è che quando la debole natura femminile si incontra con un cattivo corredo genetico abbiamo una strage (strano e curiosissimo, però, che storicamente le stragi siano opera maschile). E la resa del momento in cui Daenerys perde il controllo di sé e dà sfogo a una rabbia cieca e furiosa viene messa a confronto con il comportamento di Jon che anche stavolta non fa sostanzialmente nulla, ma nella sua inutilità incarna l’uomo probo e corretto che salva una donna da uno stupro, tenta di fermare i suoi uomini che non gli danno minimamente retta, con buona pace di Varys che vede in lui il capo popolo ideale: fuori dal campo di battaglia, l’ultima volta che Jon ha cercato di imporre una decisione “politica” da leader si è ritrovato pugnalato a morte.

E così finisce Daenerys, con l’unico conforto di essere interpretata da una Emilia Clake intensa e vibrante che reale al suo personaggio quel poco che può per sopperire a una sceneggiatura che ha fatto scempio del suo personaggio sacrifcando una costruzione quasi decennale.

A Jamie non va meglio, anche il suo arco di redenzione, l’uomo nuovo che si stacca da Cersei e combatte agli ordini di Brienne, e che faticosamente ma convincentemente emerge dalle ceneri del kingslayer, è regredito ad amante di quella sorella che gli aveva appena mandato incontro uno spietato killer. Tutto questo avviene perché Jamie, come Cersei, è “hateful”. Poi uno dice le scuole di sceneggiatura.

La stessa Cersei, colei che ha ordito trame e intrighi, tenuto sotto scacco nemici temibili e astuti, che ha fatto saltare in aria un tempio con tutti dentro, che ha provocato il suicidio di suo figlio Tommen, e svariate azioni riprovevoli tra le quali usare Sansa come merce di scambio dopo averla lasciata nelle mani del figlio psicopatico, la vediamo lì in cima a sperare ed illudersi di spuntarla miracolosamente.

Euron, al contrario, incontra una fine perfettamente in character: è morto come è vissuto. È arrivato come cartunesco villain, plot device all’occorrenza, e se n’è andato così, da irritante sciocco ma utile a infliggere la ferita mortale a Jamie.

Arya è il personaggio che viene fuori meglio, abbandona grazie al Mastino i suoi intenti vendicativi e cerca di farsi strada e aiutare come può tra le macerie e l’inferno di mattoni e fuoco che viene giù dappertutto.

Per me Game of Thrones finisce qui, non so nulla ma immagino che il finale vedrà Jon uccidere Daenerys e poi andare incontro a morte certa o in alternativa tornare al Nord nelle vesti di vedovo nero inconsolabile. I superstiti, Bran, Davos, Brienne (ma dov’era?), Sansa, Sam – e Tyrion se non subisce un dracarys – probabilmente si riuniranno per decidere collegialmente il da farsi. Ma anche in caso di altri plot twist votati al dio dello shock value, per quanto mi riguarda la serie ha irrimediabilmente sconfessato se stessa.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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