Dal 2013, quando Alberto Madrigal si interrogava su cosa fosse un lavoro vero, sono cambiare molte cose e altrettante sono rimaste immutate. Madrigal fa ancora fumetti. Nel frattempo ha messo su famiglia e vive ancora a Berlino. Dopo Un lavoro vero, nel 2015 ha pubblicato Va tutto bene. Nel 2017 ha colorato in maniera pazzesca la copertina di Macerie prime di Zerocalcare. Pochi giorni fa, ha pubblicato il suo nuovo libro, Pigiama computer biscotti, sempre per Bao. Quelle che non sono cambiate, nonostante la sua situazione personale e lavorativa si sia evoluta, sono le preoccupazioni legate al lavoro e al futuro.

Non credete a chi vi dice che trasformando in lavoro la vostra più grande passione non lavorerete mai più un giorno nella vostra vita. La realtà è ben diversa. La passione divenuta lavoro perde il suo fascino, diventa obbligo, assume tutte quelle colorazioni grigie del dovere e il risultato più probabile è che finisca per essere contaminata, al punto da non poter più essere apprezzata pura come quando rappresentava un momento di stacco, un piacere da concedersi.

Il contrasto è sempre quello tra realtà e aspettative. Quando si sogna di passare il resto della propria vita scrivendo è facile immaginarsi seduti di fronte a una finestra che dà su una città sconosciuta, imperlinata da giocce di pioggia, mentre le dita battono veloci sulla tastiera di una vecchia macchina da scrivere, scovata per poche lire a un mercatino. La quotidianità invece fatta molto più mestamente di giornate passate in pigiama a mangiare biscotti davanti al PC, mentre ci si domanda se le scelte che ci hanno portato lì, di fronte a quel foglio che si ostina a rimanere bianco, abbiano mai avuto un senso.

Un lavoro vero era , e mi cito, la fotografia a colori pastello di una generazione di trentenni, aggrappati alla speranza di potersi dedicare a una passione coltivata con fatica e studio per una vita intera mentre la lista della spesa li trascina verso una resa incondizionata. Nell’istantanea di Pigiama computer biscotti ritroviamo una generazione che nel frattempo ha perso i colori pastelli, ma pur nelle sfumature di grigio del volume ce l’ha fatta. Non si bene come, ma alla sua battaglia è sopravvissuta, senza scendere troppo a compromessi oltre tutto, e ora può arrivare a fine mese e crescere un figlio senza essere divorata dall’ansia.

Il dilemma di Alberto questa volta, o forse sarebbe meglio dire ancora una volta, è un’offerta di lavoro: una collaborazione ben pagata con un’agenzia, che da una parte risolverebbe la preoccupazione economica per il nuovo libro che non vuole saperne di farsi scrivere, ma dall’altra finirebbe per rarefarre ancora di più i momenti da dedicare al nuovo libro che non vuole saperne di farsi scrivere, e al blog che andrebbe ripreso.

Ogni battaglia lascia i suoi strascichi e quello toccato in sorte alla nostra generazione è una precarietà esistenziale inestinguibile che mette in crisi il nostro sistema decisionale. La soluzione, forse, è scompattare la vita e ridurla a piccoli blocchi , da una manciata di pagine ciascuno. Impegni più gestibili, di cui si può vedere la fine già nel momento in cui li inizia e che possano garantire la soddisfazione di portarli a termine: non mancano 100 tavole, ne ho già fatte sei. E fa nulla se alla fine sembra mancare un po’ di struttura, o se la solita mail inopportuna fissa nel giro di pochissimo una consegna che richiede un rapporto crudele tra le ore lavorate e quelle passate a letto.

Pigiama computer biscotti, in un certo senso, è la chiusura del cerchio aperto da Un lavoro vero, di cui riprende anche la struttura doppiamente autobiografica. Non solo è il racconto dell’ultima anno di Madrigal, ma anche il racconto di come il nuovo libro stesso abbia preso vita, sorgendo dalle ceneri del nuovo libro che non ne voleva sapere di farsi scrivere. Al centro di questo flusso di coscienza, poi, Madrigal dà forma forse inconsapevolmente a una bizzarra forma di continuity che unisce in un unico universo cartaceo, narrativo, eppure reale, gli autori delle produzioni originali targate Bao, ma anche editori e collaboratori, le cui controparti ad acquerelli diventano parte e motore della storia.

Per quanto mi riguarda, è abbastanza incredibile come Madrigal riesca a toccare sempre le corde giuste, cogliendo in pieno situazioni e preoccupazioni di chi ha scelto di sovrapporre lavoro e passione. Ma fa ancora più piacere notare che, nonostante siano passati anni, Madrigal non ha perso nel tempo l’approccio semplice e genuino a ciò che fa, privo di intenti moralistici o pedagogici. Non vuole spiegare a nessuno quale sia il modo giusto di farcela, solo raccontare il proprio, senza la pretesa di universalizzarlo, ma con la consapevolezza che si può diventare anche ciò che mai si sarebbe pensato, rimanendo comunque sé stessi.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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