Tra le numerose e spesso deludenti serie televisive proposte dalle varie piattaforme di visione, poche si distinguono per l’originalità del soggetto. Che si tratti di fantascienza o storia, di dramma o comicità, sovente le serie condividono un’anima comune, o una pari tendenza a circoscrivere, all’interno di un genere qualunque, una classica storia di affermazione e/o riscatto, schiacciando su sfondi accattivanti le ragioni e le pulsioni di personaggi che sembrano muoversi in una struttura prefabbricata, rigida e poco responsiva.

Il Regista Nudo (Masaharu Take, 2019), la serie tv giapponese tratta dal romanzo semi-biografico The Naked Director (Nobuhiro Motohashi, 2018), rappresenta una piacevole eccezione, non solo perché non si serve dei generi in maniera pretestuosa e mistificante per inscenare la solita trita evoluzione narrativa, ma perché riesce a connettere abilmente l’universo intimo del frustrato ma brillante protagonista – un uomo come tanti dalle sensazionali velleità artistico-imprenditoriali – con un mondo in rapido cambiamento, a lui completamente alieno, ma evidentemente sensibile alle sue ambizioni, decisioni e azioni.

Toru Muranishi (Takayuki Yamada), un venditore di enciclopedie inglesi “incastrato” con una famiglia poco affettuosa e poco partecipe degli sforzi da lui fatti per mantenerla – non solo economicamente, ma anche così com’è, ossia classica e routinaria – si troverà presto a fare i conti con le richieste di madre, moglie e figli a carico che sembrano crescere di pari passo con le esigenze popolari dovute al progresso della società giapponese che, negli anni Ottanta, conoscerà un’occidentalizzazione sotterranea, coccolata all’ombra dell’imprescindibile tradizione. Quando quelle richieste, puntualmente insoddisfatte, saranno rivolte altrove, Toru abbandonerà tutto deciso a cambiare il mondo, o quella maniera di percepirlo e accettarlo, buttandosi nel peccaminoso (ma al contempo morigerato) mercato nipponico del porno.

L’idea – non solo del protagonista, ma della serie stessa – sembrerebbe quella di mettere al bando le contraddizioni e l’ipocrisia della cultura giapponese, che se da un lato mostra un’adesione rigorosa alle proprie credenze e usanze, dall’altro si dimostra chiaramente attratta dall’edonismo più sfrenato. Il porno rappresenta quello spazio di evasione in cui possono essere liberati gli impulsi trasversali e autentici della società, senza però ledere il senso comune del pudore. Toru non ci sta, e violando sistematicamente e ingegnosamente tutte le limitazioni imposte dalla censura, rivelerà che la nudità, la condivisione del corpo in ogni suo antro e dettaglio, è la miglior scorciatoia per raggiungere la libertà e la soddisfazione intellettiva (oltre che sessuale). Naturalmente, nel tentativo di eludere il sistema e nel perseguire i propri scopi, egli incontrerà numerose difficoltà, ma nulla gli impedirà di affermarsi e mutare il mercato del porno a 360 gradi.

L’approccio a una tema parzialmente spinoso, che peraltro conferisce alla serie un divieto ai minori di 18 anni, appare comunque disimpegnato, modellato sull’animazione giapponese e caratterizzato da una spregiudicatezza caricaturale e una comicità grottesca. Anche il dramma, che non manca di caratterizzare alcuni momenti della serie, viene rapidamente risolto da una sceneggiatura sincopata e schematica. L’interpretazione macchiettistica del cast contribuisce a mantenere un clima leggero, nonostante non manchino episodi di violenza, tossicodipendenza e stupro.

L’originalità e il fascino di un prodotto come Il Regista Nudo risiedono nella capacità di far convivere la genericità di una parabola sull’ipocrisia – in questo caso mutuata dalla fiaba di Christian Andersen I Vestiti nuovi dell’Imperatore, di cui però appaiono fusi i personaggi del Re e dei furfanti tessitori in quello del regista che, coscientemente, si presta alla pantomima per scardinarla dall’interno, proprio come i tanti performer della contemporaneità – e la seria critica a un sistema rigido di regole morali capaci di sfociare nell’ossessione e rendere finanche tragiche pulsioni perfettamente naturali. Il Regista Nudo funge così da perfetto contraltare a un caposaldo della cinematografia giapponese, L’Impero dei Sensi (Nagisa Ôshima, 1976), che battendo la direzione opposta mostrava il lato oscuro nella normatività delle tradizioni e del proibizionismo sessuale. Otto episodi di spassoso erotismo. Da vedere!



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