Da qualche settimana il mondo dell’intrattenimento sta discutendo delle parole, non esattamente al miele, che Martin Scorsese ha rivolto al mondo del cinema “moderno” e ai Marvel-movie in particolare. La sua opinione è stata approfondita in un lungo articolo, pubblicato ieri sul New York Times, che trovate integralmente qui. Ha ragione o torto? Solo i Sith ragionano per assoluti e i latini dicevano che in medio stat virtus, ma su alcune cose Scorsese ha, a mio parere, cannato in pieno (e su altre invece ha ragione da vendere).
Vediamo cosa dice lui e cosa gli risponderei io se ce lo avessi davanti.

Lui: Many franchise films are made by people of considerable talent and artistry. You can see it on the screen. The fact that the films themselves don’t interest me is a matter of personal taste and temperament. I know that if I were younger, if I’d come of age at a later time, I might have been excited by these pictures and maybe even wanted to make one myself. But I grew up when I did and I developed a sense of movies — of what they were and what they could be — that was as far from the Marvel universe as we on Earth are from Alpha Centauri.

Io: Beh, qui lo capisco. In fondo a me, videogiocatore da oltre 30 anni, gamers a-la Ninja o youtubers a-la Pewdiepie, tutto il discorso E-sports, Twitch e influencer vari paiono quasi del tutto incomprensibili, se non fosse che, ragionandoci sopra, probabilmente se avessi avuto sottomano (ai miei tempi) i tools che questi bimbiminkia professionisti dell’intrattenimento videoludico possono sfruttare, li avrei utilizzati esattamente come fanno loro. Non devo sforzarmi per vedere me stesso, ai tempi del liceo, trascorrere folli pomeriggi davanti all’Amiga o allo SNES, con i miei compagni di classe a bestemmiare i varie lingue davanti a Kick Off o SF2. Avessimo avuto una camera davanti alla quale “esibirci”, saremmo finiti con l’essere non troppo dissimili dai soggetti di cui sopra (toh, forse un pelo meglio…)

Lui:For me, for the filmmakers I came to love and respect, for my friends who started making movies around the same time that I did, cinema was about revelation — aesthetic, emotional and spiritual revelation. It was about characters — the complexity of people and their contradictory and sometimes paradoxical natures, the way they can hurt one another and love one another and suddenly come face to face with themselves.

Io: Ovviamente dubito si possa pretendere che Thor, Ironman e Captain America possano avere sullo schermo la stessa complessità “accumulata” in mezzo secolo e più di storie cartacee, nè tantomeno le sfaccettature di un Travis Bickle o di un Sam “Asso” Rothstein, ma non credo nemmeno che venga loro richiesto. Piuttosto mi concentrerei sulla capacità che questi film hanno di suscitare l’empatia, la simpatia e il coinvolgimento da parte del pubblico. Se riesci a portare il tifo da stadio in sala, come hanno fatto Infinity War e Endgame, con le persone che urlano e applaudono per l’arrivo di Thor in Wakanda o per il ritorno degli eroi dissolti e piangono per la dipartita di uno di essi, beh, hai centrato l’obiettivo. Senza contare che la sala cinematografica intesa come luogo fisico di fruizione per il cinema, cui tu, Martin, hai scientemente rinunciato per farti finanziare da Netflix, l’hanno salvata proprio i cinecomics Marvel.

Lui:They are sequels in name but they are remakes in spirit, and everything in them is officially sanctioned because it can’t really be any other way. That’s the nature of modern film franchises: market-researched, audience-tested, vetted, modified, revetted and remodified until they’re ready for consumption.

Io: E insomma. L’MCU era una scommessa a cui NESSUNO avrebbe dato credito dieci anni fa. Il fatto che Marvel sia riuscita nell’intento non vuole dire che sia semplice. Anzi, c’hanno provato in molti, dopo, e tutti hanno fallito: da Universal coi mostri a Warner con i film DC, che funzionano a corrente alternata. Oh, poi non dimentichiamoci che il primo franchise, Bond a parte, è stato quello di Guerre Stellari (quello e relativo marketing), realizzato “ai tempi tuoi”, quindi non è che allora le cose fossero poi molto diverse, visto che “le trilogie” sono nate tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Certo, ammetto che oramai tutti pensano a un film come primo episodio di un franchise, su questo hai perfettamente ragione.

Lui:So, you might ask, what’s my problem? Why not just let superhero films and other franchise films be? The reason is simple. In many places around this country and around the world, franchise films are now your primary choice if you want to see something on the big screen. It’s a perilous time in film exhibition, and there are fewer independent theaters than ever. (…..)
And if you’re going to tell me that it’s simply a matter of supply and demand and giving the people what they want, I’m going to disagree. It’s a chicken-and-egg issue. If people are given only one kind of thing and endlessly sold only one kind of thing, of course they’re going to want more of that one kind of thing.

Io: Davvero? A me sembra che lo scenario indie resti molto frizzante e “popolato”. Certo, il punto è che poi molti registi finiscono per andare a lavorare proprio per le big, ma in fondo chi lavora ambisce a guadagnare. In un mondo perfetto Chloé Zhao avrebbe rifiutato The Eternals perchè forte della valanga di milioni incassati da The Rider. Nel mondo reale, ti fai notare con l’eccelso The Rider, che ha incassato ben poco e finisci a lavorare da Marvel. Quanto al pubblico: è la domanda che crea l’offerta o viceversa? Esistono prodotti di altissimo livello, come Parasite, capaci di incassare molto e trasversalmente: sono eccezioni, ma se andiamo a vedere l’elenco dei film più visti degli ultimi 40 anni, troviamo sempre titoli “popolari”. Specie in Italia, aggiungerei. Direi che la situazione non è cambiata molto dai tuoi tempi.

Lui:In the past 20 years, as we all know, the movie business has changed on all fronts. But the most ominous change has happened stealthily and under cover of night: the gradual but steady elimination of risk. Many films today are perfect products manufactured for immediate consumption. Many of them are well made by teams of talented individuals. All the same, they lack something essential to cinema: the unifying vision of an individual artist. Because, of course, the individual artist is the riskiest factor of all.

Io: Hai ragione su tutta la linea. Però appunto, magari Zhao coi soldi presi da Marvel poi può girare una mezza dozzina di film personali. L’integralismo non funziona, come dice Obama: il mondo è un casino e bisogna sapere scendere a compromessi…

Lui: I’m certainly not implying that movies should be a subsidized art form, or that they ever were. When the Hollywood studio system was still alive and well, the tension between the artists and the people who ran the business was constant and intense, but it was a productive tension that gave us some of the greatest films ever made — in the words of Bob Dylan, the best of them were “heroic and visionary.”Today, that tension is gone, and there are some in the business with absolute indifference to the very question of art and an attitude toward the history of cinema that is both dismissive and proprietary — a lethal combination. The situation, sadly, is that we now have two separate fields: There’s worldwide audiovisual entertainment, and there’s cinema. They still overlap from time to time, but that’s becoming increasingly rare. And I fear that the financial dominance of one is being used to marginalize and even belittle the existence of the other.

Io: Eh lo so, anche a me ripugna pensare che i film di Boldi/De Sica, degli youtubers e le oscene commedie italiane siano “cinema”. Infatti d’ora in poi le chiamerò pure io audiovisual entertainment. Resta il fatto che vanno in sala e, come direbbe Tony Stark Robert Downey Jr (o era Nick Fury Samuel L. Jackson): se vanno in sala, è cinema. Per fortuna o purtroppo…

Lui: For anyone who dreams of making movies or who is just starting out, the situation at this moment is brutal and inhospitable to art. And the act of simply writing those words fills me with terrible sadness.

Io: EDDAI. Oggi bisogna essere davvero degli sfigati al cubo per non riuscire a lavorare nel settore dell’intrattenimento, che anzi propone molti più prodotti di quanto il pubblico possa digerire. Di certo non si può dire che le aziende come Netflix o HBO non provino a sperimentare soluzioni diverse, atte a coprire qualsiasi nicchia esistente. Proprio questa assoluta, totale, completa accessibilità sta però livellando verso il basso la qualità media delle produzioni cinematografiche e televisive. Certo, dal mazzo escono talvolta degli assi o comunque prodotti di grande valore, ma in linea di massima credo che siamo messi peggio rispetto a qualche anno fa, ma non certo per la presenza di barriere all’entrata, ma proprio per l’esatto contrario. E questa bulimia finirà male, molto male. Chiedere ad Atari e alla crisi videoludica del 1983, che, fatte le debite proporzioni, partiva dagli stessi presupposti.

Bottom Line: lunga vita, Maestro e non ti preoccupare: PER ORA, c’è spazio per tutti.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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