Attenzione: lo SPOILER è potente in questa recensione. La recensione spoilerfree è qui.

Il Risveglio della Forza doveva nutrire un mostro a due teste: da una parte saziare le vecchie generazioni desiderose di riassaporare quell’epicità e quell’atmosfera che i prequel avevano mortificato, dall’altra offrire alle nuove uno Star Wars che desse sì l’idea di cosa aveva conquistato il pubblico decenni fa, ma soprattutto riuscisse ad agganciarle rimodellando la storia quanto bastava per renderla più attuale e inclusiva.

Missione compiuta, anche se con inevitabile coda di polemiche.

Poi arriva Rian Johnson. Il regista, senza sconfessare assolutamente nulla di Episodio VII, prosegue la storia dal punto in cui l’aveva lasciata Abrams, ma nel farlo sceglie un approccio più ecumenico e sorprendente, eretico per chi considera Star Wars una religione. Per Johnson è chiaro che questo nuovo corso non è più la saga degli Skywalker – quella si è degnamente conclusa con Episodio VI – ma ha le potenzialità per diventare una storia svincolata da logiche dinastiche, libera da castranti timori reverenziali verso il materiale originale, che pure viene rispettato nello spirito. E Il problema è tutto qui.

Per Johnson, come per una parte dei fan, la saga è un mito e come tale suscettibile di essere riletto, rinnovato e adattato. Per la fazione opposta Star Wars è una religione la cui ortodossia è salvaguardata da autoproclamati vati che ne custodiscono la parola scolpita nella pietra. Da una parte Rian Johnson dice: “La forza permea l’universo tenendo insieme le creature che lo popolano, non può essere limitata al lignaggio: è di tutti”, dall’altra parte: “E chi diavolo è questa Rey, e come si permette di essere potente nella forza senza essere qualcuno che conosciamo?”.

Dal braccio di ferro di queste due posizioni ne sono usciti vincitori i fan più reazionari, rumorosi, ottusi e, immagino, anche i più munifici visto che Disney e Abrams hanno optato per una marcia indietro totale per ristabilire in modo tanto brutale, quanto prosaico, lo status quo pur di dire ai fan hardcore più avvelenati: “Tranquilli, siete ancora voi il centro dell’universo”. Con questa premessa siamo stati derubati del film conclusivo della trilogia: anziché avere Episodio IX, abbiamo avuto anti-episodio VIII.

L’ascesa di Skywalker ha quindi come problema principale quello di non avere realmente una storia da raccontare, ma solo una lista da spuntare di tutte le scelte precedenti da delegittimare e sconfessare.

La prima parte del film è una sterile e frenetica quest a caccia di oggetti utili per avere altri oggetti per arrivare a un luogo, prima di arrivarne a un altro ancora, in attesa della grande rivelazione che ormai abbiamo intuito fin dalla lettura del rullo: Palpatine è tornato quindi Rey deve essere una Palpatine perché sia chiaro una volta per tutte: la forza è una questione dinastica. Cari bambini sognate quanto vi pare ma, appunto sognate, perché il vostro albero genealogico vi ha già condannati all’irrilevanza, o destinati a grandi cose. E questo è il più sonoro schiaffo in faccia alla storia raccontata da Johnson, ma non l’unico.

Anzi, è incredibile quanto tempo Abrams abbia voluto o dovuto dedicare – a detrimento di una storia originale – allo scopo di rettificare quasi ogni singola cosa detta in precedenza e che sia stata motivo di backlash. Come fa Rey a essere così potente senza addestramento? Ecco che vediamo Rey addestrarsi. Ma come fa Leia a usare la forza senza aver mai ricevuto un addestramento da Jedi? Ecco un giovane Luke che addestra una giovane Leia. Come si permette Luke di prodursi nell’atto sacrilego di gettare via la spada laser! Ecco Luke tornare apposta per insegnare a portare rispetto alle tradizioni. Non sopportiamo Rose e l’attrice che la interpreta! Ecco che Rose viene stralciata via dalla storia e di fatto sostituita da Charlie di Lost il cui ruolo è congegnato apposta per sottrarle battute e inquadrature. (Su Kylo ci rivediamo tra qualche paragrafo).

L’arco narrativo di Poe consiste nell’essere promosso a generale da Abrams dopo essere stato declassato al rango di capitano da Rian Johnson. In Episodio VIII viene smitizzata la figura dell’eroe spregiudicato e ribelle, il tipo che salva la giornata facendo di testa propria, per mostrare quanto questo atteggiamento abbia un costo, e che questo costo venga invariabilmente pagato a caro prezzo sempre dagli altri. In Episodio IX si scongiura l’eventualità che Poe possa essere maturato, e si ripiega sul collaudato background da simpatica canaglia col passato da contrabbandiere ma, soprattutto, con il passato da eterosessuale: il personaggio di Zorii, seconda solo a Palpatine per repentini cambi d’idea, serve né più né meno che a questo.

Ma arriviamo al punto cruciale. Il villain finale ripescato dall’oltretomba – per la gioia dei vecchi fan – è di nuovo Palpatine. Peccato che il problema dell’Imperatore sia più la demenza senile che non Rey: vuole la ragazza morta, poi viva, poi vuole essere ucciso da lei, ma subito dopo si attiva per scongiurare questa eventualità. Una girandola priva di senso, direzione, valore narrativo ed emotivo figlia di un plot che non può permettersi di convivere con una scelta morale o artistica per più di cinque minuti perché questo intralcerebbe la missione principale che è quella di smantellare Episodio VIII e procedere a un calco, scena per scena, dei veri Star Wars. La  vecchia trilogia, però, seguiva una storia tutta sua, L’Ascesa di Skywalker è una resa incondizionata all’utente medio arrabbiato, quello che non vuole rivivere lo spirito della saga, ma desidera solo rivedere quello che già conosce e per di più nel modo in cui l’ha già esperito.

Passo indietro. Il Ritorno dello Jedi si conclude di fatto con Luke che dice “Sono uno Jedi, come mio padre prima di me”. In quella frase c’è tutto: il percorso di Luke Skywalker perfettamente compiuto, l’accettazione del proprio destino, il dominio sul lato oscuro e non il suo semplice rifiuto, e tutto questo unito a una grande compassione, orgoglio perfino, di un figlio verso il padre. La sconfitta su tutta la linea dell’Imperatore è già lì, prima ancora di essere scaraventato nel baratro. Tutto quello che accade successivamente è quasi un’appendice. Han e Leia sono insieme, i pianeti della galassia festeggiano la liberazione dall’Imperatore, Luke è benedetto dalla visione del suo personale pantheon famigliare. La saga degli Skywalker* è conclusa: loro hanno vinto, l’Imperatore perso, e l’equilibrio nella forza è ripristinato.

Nella nuova trilogia Luke, Leia e Han non tornano per riaprire i conti con un passato già perfettamente risolto, sono ospiti in veste di traghettatori per consegnare le chiavi della galassia alla nuova generazione. La loro storia si è già compiuta, hanno già vinto la loro guerra contro l’Imperatore, e tocca ora alla generazione successiva affrontare e sconfiggere una nuova minaccia, non la zombificazione di una vecchia. Palpatine non ha alcun senso, né posto in questa vicenda.

Proprio Abrams aveva messo in scena l’intuizione giusta rendendo Kylo Ren un instabile emule di Vader, spunto che per altro risuona con il momento storico e politico che viviamo: Hitler non è più una minaccia, il nazismo è stato sconfitto, la vera minaccia sono i suoi emuli (Kylo Ren, appunto) che dalla Storia non solo non hanno imparato nulla, ma tentano di ripeterne i presunti fasti fingendo che la sconfitta politica, umana e storica sia stato solo un incidente di percorso. Palpatine/Hitler non è il nemico che oggi fa paura, la sua presenza è solo al servizio di un effetto nostalgia.

Ma questa non doveva essere una nuova trilogia per una nuova generazione? Il leggendario villain creduto morto ma sopravvissuto grazie alle arti oscure, l’orfana che scopre di avere ascendenze importanti e di essere viva grazie al sacrificio dei genitori che l’hanno lasciata in un luogo inospitale e privo di affetti per tenerla al sicuro, l’aiuto di due amici, e una presenza conflittuale e controversa che pare voglia ucciderla ma che in realtà sta solo cercando di proteggerla… tutto questo i ragazzi e le ragazze l’hanno già visto: in Harry Potter. Saranno contenti i fan duri e puri che a forza di scalciare hanno ottenuto che una storia assurta al rango di mito sia stata talmente manipolata a loro beneficio da perdere autenticità, e finire per riecheggiare fortemente quello che è adesso il franchise rivale da battere.

Certo l’errore a monte è stato quello di non affrontare la trilogia avendo in mente fin da subito una visione d’insieme. A questa saga è mancato uno showrunner che vegliasse sulla coerenza interna della storia e che assicurasse un’evoluzione credibile, per questo anche le parti migliori ne sono risultate sacrificate. Rey non ha spazio per crescere, deve correre da una parte all’altra della galassia, mentre scena dopo scena i suoi poteri crescono fino ad arrivare alla taumaturgia. Non c’è pathos, non c’è epicità se non negli scontri con Kylo Ren.

A questo punto Abrams avrebbe dovuto quanto meno far leva sulle cose buone per le quali lui stesso ha un preciso merito: si ritrova per le mani un Adam Driver nel momento clou della sua maturazione artistica e sul punto di esplodere come star, uno che è solo questione di tempo vinca l’oscar – se esiste un dio già il prossimo anno – e lui cosa fa? Con una ennesima retromarcia sul cadavere di Episodio VIII, gli rimette la maschera in faccia: che non sia mai qualcuno qui si metta a recitare sul serio! La scena in cui Kylo Ren racconta la post-verità a Rey sarebbe potuta essere mitigata almeno in parte nella sua bruttezza dall’intensità di Driver, e dall’alchimia tra lui e Rey/Daisy Ridley, ma era evidentemente più importante rivendicare la scelta della maschera e della voce distorta per far riecheggiare Vader.

La parte finale, che pure ha i suoi momenti – l’omaggio a Dunkirk, l’arrivo di Ben Solo, e prima ancora il combattimento tra le onde giganti – si chiude con il sacrificio non necessario di Ben che deve morire salvando Rey così come Vader è morto salvando Luke.

Nondimeno l’epilogo è commovente. Nonostante tutto tornare su Tatooine con Rey, vederla adottare il nome Skywalker e salutarci mentre il leggendario tramonto binario infiamma il cielo, tutto questo compone un’immagine che fa gonfiare il petto, bagnare gli occhi e che suscita un moto di gratitudine verso questa saga che ci ha cresciuti. Ma sia chiaro: quest’emozione non è un regalo che ci fa Abrams, è Abrams che sta parassitando sul nostro investimento emotivo pregresso perché la colpa più grande di tutte, al netto di qualsiasi critica a regia e sceneggiatura, non è la mancanza di originalità, ma l’assenza di qualsiasi traccia di autenticità.

Note

La scelta di concludere la nuova trilogia su Tatooine non ha alcun senso se pensiamo a Leia: quel pianeta per lei non significa nulla, ci è stata anzi portata come schiava. Luke, d’altra parte, per tutta la sua vita non ha fatto altro che desiderare di fuggire da quel posto. L’isola degli Jedi avrebbe avuto molto più senso come luogo in cui far riposare le spade di Luke e Leia, ma capisco l’impatto emotivo della scelta, e il desiderio di chiudere il cerchio proprio là dove tutto ha avuto inizio.

Per me il finale è molto chiaro: Rey è su Tatooine per omaggiare la sua famiglia adottiva, ma vedo che alcuni hanno interpretato il fatto come una scelta definitiva. Rey ha costruito la sua spada laser, non mi sembra il gesto di qualcuno che ha deciso di ritirarsi a vita solitaria.

In occasione di Episodio VIII il pubblico era stato avvertito della presenza di un momento di silenzio all’interno del film. In occasione di Episodio IX il pubblico è stato avvertito della presenza di una sequenza supereccitante per la presenza di lampi e flash che avrebbe potuto procurare problemi a chi soffre di epilessia. Non so se sia stato intenzionale, ma persino in questo i due film devono posizionarsi agli opposti: da una parte il silenzio, dall’altra il sovraccarico.

Finn, e la sua fotocopia al femminile, sono sensibili alla forza. Abrams è tutt’altro che uno sprovveduto e ha dato un contentito a tutti quelli “ma la forza è di tutti”. Peccato che in questo modo toglie retroattivamente valore alla storia di Finn: la sua diserzione non è più la scintilla di umanità che sopravvive ad anni di condizionamento, ma una scelta predestinata.

*Dicevo, la saga degli Skywalker si è conclusa al cinema con Episodio VI ed è per questo che il Luke Skywalker di Johnson sembra così diverso da quello che conoscevamo. Le favole si concludono con un “e vissero felici e contenti” proprio perché non è il loro fine raccontare cosa avviene dopo la lezione impartita, i torti riparati, e la giustizia ristabilita. Il Luke eroico e puro ha ultimato il suo percorso, quello di Johnson è un Luke in un altro momento della sua vita, dopo aver vissuto fallimenti, conflitti e aver maturato una propria idea filosofica ed esistenziale sulla forza e sul suo posto nell’universo: aspettarsi di non vedere fratture tra il Luke Skywalker di 40 anni fa e quello di oggi era comprensibile, ma pigro e irrealistico.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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