Cosa accadrebbe se il Messia apparisse all’improvviso nel mondo del 2020, magari proprio in quella polveriera chiamata Medio Oriente? La cosa non sfuggirebbe all’attenzione degli Americani, che metterebbero sulle sue tracce la CIA e tutti i servizi segreti possibili & immaginabili per cercare di smascherarlo o catturarlo, facendolo passare per pericoloso terrorista. Ovviamente i social impazzirebbero e così pure i media tradizionali, felici di avere un personaggio controverso e “notiziabile” da mandare in pasto al pubblico, quest’ultimo desideroso di trovare una guida carismatica, per attraversare tempi difficili. Scenario verosimile? Proprio così.

E’ da questi presupposti che nasce una delle serie più bizzarre ma tutto sommato riuscite degli ultimi mesi, firmata Netflix e creata e prodotta da Michael Petroni: Messiah è un animale strano, in quanto mixa generi completamente diversi tra di loro, riuscendo però a spostare il proprio baricentro dall’uno all’altro senza soluzione di continuità e risultando sempre convincente, al netto di qualche inevitabile “momento WTF”. Si passa così dal thriller al drama, dallo spionaggio al crime, dalla sci-fi (sì, non manca nemmeno quella) al documentario. Questo isterismo narrativo è probabilmente alla base della marcata differenza di gradimento che la serie sta ricevendo dalla critica (che l’ha cazziata senza pietà, tant’è che sull’aggregatore Rotten Tomatoes gravita attorno al 30%) e dal pubblico, che pare invece la stia apprezzando molto.

Io, per una volta, sto con la massa, perché, oltre a essere tremendamente avvincente (è Lui o non è Lui?), Messiah è straordinariamente efficace nello spiegare e mettere in scena (grazie ad alcune sequenze di massa oggettivamente mozzafiato) uno dei grandi misteri del mondo e dell’umanità: la nascita di un culto. Il Messia del titolo, Al-Massih, magnificamente interpretato dallo semisconosciuto (fino a ieri) Mehdi Dehbi, infatti, emerge dal nulla, seppur in una situazione critica (una città assediata dall’Isis) e, dopo aver “invocato” una salvifica tempesta di sabbia, non effettua molti altri miracoli, iniziando però ad essere seguito da una folla sempre più ampia di persone. Spostatosi “magicamente” negli USA, ottiene lo stesso risultato, ulteriormente amplificato dai media e dai social fino ad una “plateale” dimostrazione dei suoi poteri che lo consacra “star” e, appunto, Messia.

Lo script di Petroni, valorizzato dalla valida regia di James McTeigue (che di certo non ha un curriculum particolarmente esaltante, fatta eccezione forse per il solo V per Vendetta) è particolarmente efficace sia nel mostrare le dinamiche che portano persone “non credenti” a cominciare a nutrire dubbi…sulle loro incertezze (l’unica granitica nelle proprie convinzioni è la co-protagonista Michelle Monaghan/Eva Geller, Agente della CIA che indaga su Al-Massih) sia nel descrivere le tipologie di persone e personaggi che tendono a farsi blandire e convincere dal deus ex machina di turno (non per nulla, ad un certo punto della storia appare l’immancabile “predicatore” americano, con tanto di tv privata al seguito).

Tra colpi di scena, una galleria di personaggi tanto eterogenea quanto efficace e graziato da un finale di stagione quasi perfetto, che potrebbe funzionare alla grande anche come “vero finale” nel caso la serie non dovesse essere rinnovata per una seconda stagione (possibile, nonostante il successo, visto che le polemiche non sono mancate, specie da parte dei rappresentanti delle tre religioni mostrate), Messiah è la prima grande sorpresa del 2020. Chi ben comincia…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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