“Voglio far conoscere Lupin nel mondo e fargli vivere ancora tante avventure”.

Per quanto ci riguarda, questa inequivocabile dichiarazione d’intenti con cui Monkey Punch decide di chiudere Lupin III – The First, il film che segna il ritorno del più grande ladro di tutto il Giappone sul grande schermo, è anche il punto di partenza per ogni ragionamento sulla pellicola. La nuova incarnazione – tridimensionale e digitale – di Lupin III nasce infatti dal desiderio del suo autore di far tornare al centro della scena un personaggio a cui i millennial sono ancora molto affezionati, ma che risulta quasi del tutto estraneo alle nuove generazioni.

Per riuscirci sarebbe servito un gioco di equilibri, indispensabile per non snaturare il personaggio a cui gli appassionati sono legati da decenni e al contempo introdurre elementi innovativi affascinanti per i più giovani, la cui equazione risulta tuttavia riuscita solo in parte.

L’ultima avventura di Lupin III affonda le sue radici nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, quando il Prof. Bresson riesce ad affidare a sua figlia il libro che custodisce i segreti dell’Eclipse dietro un impenetrabile meccanismo, proprio qualche istante prima che i nazisti facciano irruzione in casa sua. Il volume riemerge anni dopo in un’asta a cui partecipa, ovviamente, anche Lupin. Il ladro gentiluomo però non è il solo a voler mettere mano sull’oggetto che aprirebbe le porte del misterioso tesoro. Sulla scia del segreto di Bresson appaiono anche una giovane ragazza e una sinistra organizzazione che pare avere numerosi legami col passato.

Proprio il concetto di eredità, in un gioco un po’ metareferenziale, è il tema portante del film. Da un lato Lupin III deve confrontarsi con l’unico oggetto che suo nonno, il capostipite Arsenio Lupin, sembra non essere stato in grado di rubare, dall’altro la giovane ladra si rivela ben presto essere Letitia, nipote inconsapevole del Prof. Bresson. Tranquilli, è un spoiler relativo, il legame è chiaro da subito, almeno allo spettatore. In un certo senso, dunque, l’eredità a cui vene riservato il tributo più grande è proprio quella legata al classico schema narrativo delle storie di Lupin, riproposto senza alcun ammodernamento, ingenuità incluse.

Letitia è la classica giovane di buon cuore, innocente e pura d’animo, sempre un passo indietro al suo compagno (cit.), ma a volte persino due o tre, al punto che la sua naïveté a tratti persino irrita. E se di solito questo tratto è compensato da una Fujiko astuta, crudele, spietata, triplogiochista e sexy ben oltre gli standard della femme fatale, questa volta non solo il suo ruolo nella vicenda risulta depotenziato, ma anche la sua malizia appare inspiegabilmente smorzata.

Da un lato dunque il motore comico dell’avventura è affidato all’ormai rodata coppia Lupin-Zenigata, con quest’ultimo più in forma che mai e seguito da un reparto di polizia che sulla scia dei Lemmings si rende protagonista delle gag più divertenti della pellicola. Il lato avventuriero, invece, rimanda un po’ a Indiana Jones e un po’ al Tin Tin di Spielberg, tra grotte piene di trabocchetti in Sud America e potentissimi macchinari energetici di origine aliena.

Purtroppo la produzione è meno ricca rispetto alla trasposizione in CGI delle avventure del detective di Hergè. Dopo una prima parte ambientata in una suggestiva e coloratissima Parigi, la seconda metà del film perde la spettacolarità delle ambientazioni esterne. ridotte in molti casi a distese desertiche, anche quando gli inseguimenti conducono Lupin e la sua gang in un Brasile per nulla lussureggiante.

La sensazione è confermata anche dalla qualità altalenante dei modelli. Lupin e Zenigata sono stati ricreati in digitale con una buona fedeltà, supportata da animazioni facciali che ricordano la gommosità delle loro espressioni tipica dell’animazione tradizionale, mentre Jigen e Ghemon godono di una modellazione molto meno dettagliata. Se non fosse per la dimensione del seno, poi, sarebbe spesso difficile distinguere tra Fujiko e Letitia i cui volti sembrano sovrapporsi.

Non manca comunque la spettacolarità, il cui apice è l’inseguimento aereo a metà film, entusiasmante e ben diretto, così come le strizzate d’occhio agli appassionati storici (la 500!) o le scenette ricorrenti (i disegni in faccia col pennarello!). L’impatto generale, tuttavia, è meno pomposo di come la pellicola a tratti vorrebbe essere, e i motivi sono più tecnici che narrativi. I modelli ricordano un po’ tutti la plasticosità delle cinematiche dei giochi giapponesi come i Resident Evil o i Final Fantasy di qualche anno fa, mentre la resa dei materiali è un po’ acerba e finisce per far assomigliare tutto a simil-pelle.

L’intreccio invece pur senza eccellere né sfoggiare colpi di scena imprevedibili regge, sostenuto da un ritmo che non cala per l’intera ora e mezza di proiezione e da un’atmosfera da avventura scanzonata che calza a pennello al personaggio. Il vecchio Lupin, insomma, c’è tutto, incluso il suo vezzo di farsi beffe delle autorità questa volta incarnate da nazisti di ritorno, dipinti come inutili idioti a cui la Storia non ha insegnato nulla, ovviamente perchè mai studiata. E l’inatteso legame che emerge con le gesta di nonno Arsenio è un tocco di continuity notevole, nonché un assit a chiunque voglia fantasticare sui rapporti che hanno legato i destini del ladro per antonomasia all’elegante Professor Bresson.

Quel che manca è il nuovo Lupin, un approccio davvero nuovo al personaggio che vada oltre la forma, comunque apprezzabile, ma probabilmente non sufficiente ad attrarre le nuove generazioni, abituate ormai a un altro tipo di narrativa. Al di là di queste considerazioni, Lupin III – The First resta un film piacevole da guardare, che riesce a dosare umorismo e avventura sostenendoli con un buon ritmo e che, almeno a tratti, appaga anche la vista per la bontà dell’animazione tridimensionale. Certo non sarà la pellicola destinata a soppiantare nei ricordi Il Castello di Cagliostro, ma considerato il destino toccato ad altri personaggi simbolo della gioventù dei millenial nella transizione verso la modernità, Lupin III – The First si accoglie con un sospiro di sollievo, perché i valori produttivi non saranno eccelsi, ma poteva andare molto, molto peggio.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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