Ciascuno di noi ha trascorso la quarantena facendosi coraggio come meglio ha potuto, io l’ho affrontata in compagnia di otto stagioni di Dexter, recupero doveroso e colpevolmente tardivo per un’appassionata di serie come la sottoscritta. Quindi, mentre tutti gli altri condividono il resoconto di questi ultimi due mesi passati tra crisi esistenziali, crolli emotivi e la ridefinizione della propria vita e dei rapporti umani messi strenuamente alla prova, io desidero condividere con voi questo pezzo che è sì una recensione su Dexter, ma anche un viaggio attraverso il come una serie partita benissimo, a un certo punto abbia invertito il senso di marcia premendo sempre più sull’acceleratore, fino a schiantarsi contro il muro della professionalità e del senso del ridicolo, investendo nel mentre il rispetto per il pubblico.

Per tante serie vengono scomodati termini quali “arte” o “capolavoro” – pensiamo a Mad Men che ricade in entrambe le definizioni – ma questo non deve far dimenticare che una serie, indipendentemente dal suo valore, è sempre un prodotto realizzato per vendere spazi pubblicitari o abbonamenti: il fatto che intrattenga procurandoci piacere è solo il come e il perché riesca nel suo intento. Nessuna sorpresa quindi che Showtime, trovandosi per le mani un successo come quello di Dexter, abbia deciso di proseguire finché le è stato (dis)umanamente possibile. Ma il percorso complessivo della serie è molto interessante da esaminare: nonostante le stagioni siano otto, la prima è di fatto una miniserie perfettamente autoconclusiva. Partendo da questo presupposto la seconda stagione riapre una storia già chiusa e diventa qualcos’altro, come se da questo punto in poi assistessimo a una serie nuova anche se fortemente ispirata all’originale di cui conserva quasi tutto, e nel “quasi” c’è l’apprezzabile scarto tra una scrittura impeccabile a sostegno di una coerenza narrativa interna, e una scrittura che un po’ alla volta si dirige rovinosamente verso la sciatta distruzione di tutto quello che di interessante e ben costruito era presente nella serie.

[Da qui in avanti SPOILER su tutta la serie, finale incluso]

Le prime stagioni, dalla seconda alla quarta, riescono a svolgere un buon lavoro di imitazione della prima, la quinta segna uno spartiacque – idee buone, realizzazione spesso imbarazzante – mentre le successive e ultime tre segnano il tracollo qualitativo con solo la bravura di Michael C. Hall e Jennifer Carpenter a mantenere un filo di dignità. Ma andiamo con ordine per capire cosa è successo.

Dexter è un serial killer di serial killer. Togliere di torno assassini, pedofili, e pluriomicida che sfuggono alla giustizia può essere vista come un’attività meritoria, se non addirittura auspicabile, ma nell’arco della prima stagione la scrittura non permette di essere sedotti da questo facile fraintendimento. Dexter non è un vendicatore solitario, né un eroe oscuro: è un mostro esattamente come quelli che uccide. Lo ripete lui stesso più volte nei monologhi interiori che puntellano e caratterizzano l’intera serie. La differenza è che lui, al contrario delle sue prede, segue un codice e nella caccia si attiene strettamente a quello: uccide solo killer.

Questo non lo rende buono, o innocuo, ma semplicemente abile e determinato nell’incanalare l’urgenza di sopprimere una vita in un’attività che a conti fatti risulta socialmente utile. Ma Dexter ha bisogno di uccidere, con il suo rituale preciso e chirurgico che coinvolge il fare a pezzi la preda, ed è la soddisfazione di questa necessità a consentirgli di andare avanti con una vita normale. Ma come può essere la normalità di una persona che non prova realmente sentimenti, non come li intendiamo noi almeno, e che conserva nel box dell’aria condizionata una collezione di vetrini di sangue delle sue vittime? Ecco, la normalità di Dexter è un’imitazione di normalità.

Attraverso i flashback, sappiamo che Dexter è stato adottato all’età di tre anni da Harry, poliziotto duro e capace. Il padre adottivo si accorge della pericolosa diversità del figlio ma, anziché affidarlo a medici e istituti, decide di aiutarlo a gestire il desiderio di sangue per poi focalizzarlo, in età adulta, verso quei soggetti che meritano la morte. Il codice di Harry non sopprime le pulsioni di Dexter, ma le riconosce fornendo loro un sistema all’interno del quale esistere e trovare appagamento senza mettere a rischio Dexter, né persone innocenti. Nella prospettiva di convivenza del figlio con il resto del mondo, Harry ha insegnato al protagonista anche come interagire con le persone: osservandole per imitarne i comportamenti sociali comunemente ritenuti normali.

Il Dexter adulto lavora come blood spatter analyst per la Miami Metro Police, ha selezionato una fidanzata – Rita – emotivamente a pezzi, con due figli da un altro uomo, e disinteressata al sesso a causa degli abusi subiti in passato. La donna ideale che non gli chiederà mai una famiglia, un coinvolgimento emotivo e fisico. Il rapporto più vicino alla nostra idea di legame affettivo autentico è con sua sorella Debra, una detective dinamica, con l’eloquio di un camionista, il fisico da modella e i modi spicci da tomboy, che vede nel fratello adottivo il punto fermo della sua esistenza. Dexter dice che se fosse in grado di provare sentimenti, li proverebbe sicuramente per lei. In realtà vediamo che il protagonista è molto vicino a sua sorella: se per lui la parola amore non ha molto senso, nondimeno è perfettamente in grado di riconosce il valore della presenza di Debra nella sua vita, così come Rita e figli mano a mano diventeranno sempre più importanti per lui.

L’esistenza del protagonista scorre dunque tranquilla tra un omicidio e l’altro, i venerdi sera a casa della fidanzata, e una sorella che lo àncora saldamente alla normalità. Tutto questo finché non viene sfidato da un altro serial killer che alla fine scoprirà essere suo fratello maggiore. La rivelazione di come entrambi siano nati una seconda volta da serial killer assistendo alla sanguinosa uccisione della madre, fa nascere in lui il desiderio di poter condividere il suo segreto con qualcuno che lo comprenda e lo accetti esattamente per quello che è: un mostro. Ma alla fine, tra la vita di suo fratello e quella di Debra, Dexter sceglie sua sorella, e nel mentre riesce anche a depistare la polizia vicina a scoprire la sua identità di killer. Non è diventato di colpo un essere umano empatico, ma nei rapporti che ha costruito sia con Debra, ma anche con Rita, ha trovato un mondo in cui poter esistere e funzionare anche come essere umano.

dexter

Le stagioni dalla seconda alla quinta prendono il percorso della prima e lo trasformano in una bullet list ripetendo pedissequamente e in modo schematico quanto già visto: qualcuno è vicino a scoprire la sua identità, ma lui la fa franca. Qualcuno sembra poterlo capire e accettare per quello che è in realtà (Lila, Prado, Trinity, Lumen, Brother Sam, Isaak, Vogel) ma poi le cose vanno diversamente principalmente perché Dexter alla fine deve quasi sempre uccidere questi potenziali compagni di merenda. In ogni stagione Debra si innamora della persona sbagliata e la morale è che sotto sotto è Dexter l’uomo della sua vita. Ciascuna di queste stagioni mette Dexter di fronte a una sfida che rischia di stravolgere il suo mondo, ma alla fine viene ripristinato lo status quo e si riparte nella stagione successiva come se la precedente fosse stata azzerata.

L’unica cosa che avrebbe avuto narrativamente senso sarebbe stata quella di mettere fin da subito Debra sulle tracce del fratello, e questa è l’unica strada che prima viene scartata, poi quando viene imboccata è troppo tardi, la serie ha già un piede e mezzo nell’irredimibilità, e comunque gli autori avevano già gettato la spugna dopo il finale della quarta e non ci hanno neanche più provato a scrivere una serie coerente. Più nel dettaglio.

Miami Metro Police

Si scrive Miami Metro Police ma si legge Agenzia Cuori Solitari. Nella prima stagione gli ammiccamenti del tenete Laguerta all’indirizzo di Dexter sono una nota ironica inserita nel contesto, la storia tra Deb e Brian parte integrante della trama orizzontale. Dalla seconda stagione in poi, si è deciso che tutti nel dipartimento dovessero avere come primo obbiettivo trovare l’Amore e poi, nei ritagli di tempo, indagare – male – sugli omicidi. L’approssimazione, la stupidità e l’incapacità di unire i puntini da parte di detective e agenti è qualcosa che avrebbe meritato una citazione in giudizio da parte della vera Miami Metro Police.

L’unico che riesce a mettere a frutto l’aritmetica di base appresa in prima elementare e fare due più due è Doakes, il solo ad aver scoperto il segreto di Dexter, e anche il solo dotato di carisma e presenza scenica. Ma proprio quando il protagonista pare alle strette, ecco che Doakes viene provvidenzialmente eliminato da Lila sul finire della seconda stagione. Da qui è evidente che gli autori non vogliono compromettere Dexter con l’omicidio di un innocente e che stanno cercando di umanizzarlo il più possibile per permetterci di fare il tifo per lui, e per tirarla per le lunghe ab aeterno: finché si resta in una zona grigia la storia può andare avanti, se Dexter diventa un cattivo tout court bisogna chiudere baracca e burattini. Risultato: dalla seconda stagione in poi Dexter riuscirà a salvarsi sempre grazie a una combinazione di endemica stupidità del corpo di polizia e fortuna sfacciata.

Il codice di Harry

Harry è il demiurgo di Dexter. Dotando il figlio di un codice, insegnandogli a pensare e agire come un poliziotto e a coprire le sue tracce, ha reso possibile la co-esistenza di Dexter con gli altri esseri umani. I flashback della prima stagione ci permettono di conoscere il protagonista, e capire come è arrivato a essere un very neat monster perfettamente integrato, ma con il proseguire della storia i flashback si trasformano in ricordi rimossi che piano piano affiorano alla coscienza di Dexter permettendogli di scoprire una realtà fino a quel momento sepolta sia nel subcoscionso che sotto pile di file negli archivi di polizia.

Con le stagioni successive la presenza di Harry non è più collocata all’interno dei flashback ma diventa una manifestazione della psiche di Dexter. Idea interessante in partenza che però nel corso di sette stagioni viene usata in modo random se non incoerente: Harry diventa di volta in volta, a seconda dell’occorrenza, la voce della ragione, l’inconscio di Dexter, un mezzo per evitare a Dexter 10 minuti di monologo interiore, un modo per guadagnare minutaggio, una presenza ridondante per chiarire situazioni che ci erano già evidenti cinque scene prima. La riscrittura finale del personaggio, come avviene nell’ultima stagione, finisce poi per depotenziare retroattivamente tutto quello che abbiamo conosciuto di lui nella prima.

Rita e famiglia

Quello di Rita è un personaggio che ho apprezzato da subito. Ama Dexter, grazie a lui trova la forza per rimettersi in carreggiata, e quando crede che il fidanzato sia un tossicodipendente insiste per farlo disintossicare piuttosto che abbandonarlo ai suoi problemi e continuare con la sua vita, cosa che le converrebbe fare ora che l’ex marito è morto e lei è non solo libera, ma anche psicologicamente in grado di vivere al meglio questa libertà. La seconda stagione è detestabile per il modo in cui riconduce due personaggi femminili all’offensivo stereotipo che vuole le donne divise in due categorie: quella materna e premurosa (Rita) e quella ipersessualizzata e tentatrice(Lila) trasformando Dexter nel povero uomo conteso. Ma alla fine Rita ne viene fuori bene mostrando una capacità di perdono unita però a una dose di pragmatismo.

Rita e Dexter si sposano, hanno un figlio, e a questo punto il protagonista ha moltissimo da perdere, non può più sfilarsi dalla situazione e nemmeno lo desidera. La morte di Rita, al termine dell’ottima quarta stagione per mano del Trinity Killer, sembrava dunque essere proprio quello scossone necessario alla serie per staccarsi dai corsi e ricorsi narrativi, e per mettere finalmente Dexter di fronte alle sue colpe: ha depistato la polizia per avere Trinity tutto per sé, poi ha evitato di ucciderlo quando poteva per sopprimerlo rispettando il suo rituale, e alla fine il serial killer ha avuto tutto il tempo e l’opportunità di uccidere Rita morta in effetti a causa dell’egoismo di Dexter. Inizia la stagione successiva, i figli di Rita vengono prontamente sbolognati dai nonni, Dexter torna a vivere nel suo vecchio appartamento con Harrison affidato h24 a una super tata. Tempo due episodi ed è di nuovo tutto come prima, si ricomincia con un’altra possibile compagna che però lo lascia a fine stagione. È come se ogni volta gli autori avessero premuto il pulsante reset.

Il Dark Passenger

Nella prima stagione, con questa suggestiva espressione Dexter spiega il suo bisogno di uccidere. Poi le cose si complicano, per tirare avanti sette stagioni di monologhi interiori il Dark Passenger si deve adattare a essere un po’ tutto quello che passa per la testa degli autori: diventa un modo per rappresentare la sua addiction, poi la manifestazione del suo trauma, infine l’espressione viene ridicolizzata da Hannah secondo cui non esiste nessun Dark Passenger. E nell’ottava e ultima stagione pare proprio che il Dark Passenger in realtà non sia mai esistito, Dexter è sempre stato l’unico al comando e adesso, grazie all’Amore, sente di poter rinunciare a uccidere perché il sentimento per Hannah è più forte di qualsiasi altra sua pulsione. Miracoli di Yvonne Strahovski.

Il finale: il peggiore di sempre

Al termine della sesta stagione Debra scopre il segreto di Dexter. Nella settima, ci impiega un po’ a digerire la notizia ma alla fine non solo accetta lo stato delle cose, ma gli piazza anche un ordine: eliminare Hannah, una specie di Poison Ivy in real life. Da qui inizia un drammone perché Dexter si è innamorato della tizia e favoleggia una vita a tre con la donna che, dettagli, ha ucciso da minorenne e continuato a farlo ogni volta che qualcuno le procurava un problema. Dexter è ormai irriconoscibile, perfino le sue prede sono serial killer macchiettistici che dovrebbero morire solo di vergogna per come sono stati pensati.

Quello che era iniziato come un affascinante viaggio nella vita di un serial killer perfettamente infiltrato nella comunità, si è stemperato mano a mano in una serie guardabile solo mandando avanti veloce tutte le parti da soap opera messicana che riguardavano personaggi secondari a cui è stato concesso uno spazio inspiegabilmente spropositato. Ma come fare quando la soap riguarda il protagonista, unico di cui a conti fatti ci può ancora importare qualcosa? Dexter, arrivati all’ottava stagione, è ormai l’ombra del personaggio degli inizi. Solo Debra se la passa peggio. La ex detective viene fatta sprofondare in una spirale di autodistruzione e in questo modo gli autori la derubano di ogni intenzione e agenda personale. Debra che scopre la verità su Dexter avrebbe dovuto procurare un terremoto narrativo, ma la situazione riguarda solo e soltanto la ragazza: in dipartimento nessuno ha il minimo sentore di nulla, Dexter è angustiato ma bene o male continua la sua solita vita, e anzi si innamora perfino!

Debra ha sacrificato il suo intero sistema di valori per salvare Dexter uccidendo Laguerta, non è più un poliziotto, non ha più un baricentro morale, non ha più il fratello come punto di riferimento. Risultato: gli autori la fanno muovere a caso. Prova a confessare da ubriaca, tenta un omicidio suicidio, si lascia convincere da Vogel che tutto sommato ha compiuto la scelta giusta, per poi benedire l’unione tra il fratello e Hannah, la donna che l’ha avvelenata due volte, e che lei ha aveva eletto come nemica giurata. Tutto questo prima di morire nel finale per mano dell’ennesimo mediocre serial killer che Dexter non ha ucciso perché è innamorato e vuole fare la cosa giusta. Se vi sembra che tutto questo non abbia senso è perché effettivamente non ne ha.

L’investimento emotivo accordato al personaggio è stato dilapidato da Scott Buck, showrunner delle ultime tre stagioni, per focalizzarsi su una storia d’amore stupida e nonsense tra due personaggi per di più privi di alchimia. Ma il punto più basso della stagione non è la parte in cui Dexter si dirige con la sua barca verso l’uragano per inscenare la sua morte. Il livello più infimo viene raggiunto quando, di punto in bianco, gli autori fanno dire al piccolo Harrison: “Voglio bene ad Hannah, vorrei che fosse la mia mamma”. L’intera impalcatura su cui si regge l’arco narrativo della stagione finale – Dexter infine deciso a rifarsi una vita con Hanna in Argentina – è affidata a una battuta pretestuosa, inverosimile e di comodo messa in bocca a un bambino di tre anni che ha giocato con la fidanzata di papà due volte e mezza.

Alla fine di tutto questo, vedere Dexter, Harrison e Hannah felicemente in Argentina sarebbe stato, per quanto pessimo, molto più dignitoso che far decidere improvvisamente a Dexter di essere deleterio per tutte le persone a cui vuole bene, ritirarsi a vita privata nel nord per una vita da solitario taglialegna, lasciando il figlio in mano a una fidanzata dell’ultima ora, ex galeotta, e avvelenatrice per passione.

Mi piace pensare che la contemporaneità tra la messa in onda dell’ultima stagione di Dexter e quella di Breaking Bad sia una sorta di punizione divina per mortificare gli autori.

Ho fruito della serie nell’arco di un mese e mezzo e ho trovato le ultime due stagioni insultanti e il finale offensivo, il mio pensiero va a chi ha investito otto anni della propria vita per vedersi trattare in questo modo.

Note

Clyde Phillips, lo showrunner delle prime quattro stagioni, le uniche che valgano la pena di essere viste, aveva in mente tutt’altro finale: per quanto lo riguardava l’intera serie sarebbe dovuta essere un lungo flashback di Dexter in prigione, in attesa dell’iniezione letale:

That everything we’ve seen over the past eight seasons has happened in the several seconds from the time they start Dexter’s execution to the time they finish the execution and he dies.  Literally, his life flashed before his eyes as he was about to die.

Chip Johannessen è stato showrunner della quinta stagione, accettabile a patto di un’olimpionica sospensione d’incredulità. Scott Buck di sesta, settima e ottava: le peggiori.

La Showtime ha imposto agli autori che Dexter sopravvivesse.

Dexter getta il corpo di Debra in mare: non c’era alcun motivo che Dexter riservasse al corpo della sorella lo stesso destino delle sue vittime, anzi è stato un gesto decisamente offensivo. Caricare la salma di Debra in barca avrebbe avuto senso se si fosse suicidato davvero e avesse inteso restare simbolicamente con la sorella fino alla fine.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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