Elliot Udo, proprietario di un jazz club parigino, già afflitto da mille problemi (è divorziato con una figlia scapestrata e non riesce più a suonare in pubblico dopo la morte di un altro figlio), precipita nel baratro quando il suo socio viene assassinato dopo essere stato coinvolto in loschi affari. L’esistenza del suo club, il The Eddy, è a rischio, ma diventa anche l’ultima speranza cui aggrapparsi…

A me il jazz fa uno strano effetto: se lo ascolto in qualsiasi modalità che non sia live, lo reggo per 10 minuti (a star larghi), ma quando vado a un concerto, resterei lì per delle ore. Ecco, The Eddy riesce ad incarnare alla perfezione questa ambivalenza: se si riesce a resistere alla estenuante lunghezza delle puntate, dilatate all’infinito e riempite con troppe cose (oltre alla musica ci sono drammi familiari e una pessima side story crime di cui si sarebbe potuto fare a meno), si ha in cambio una serie umanissima, affascinante, perfetta nel riprodurre l’irregolarità e la genialità del jazz e applicarli alla vita vera, fatta di pochi alti e tanti bassi, problemi e sfighe assortite, che però spariscono al suono della prima nota.

A tirare le file di un gruppo (fin troppo numeroso) di bei cervelli che hanno partecipato alla creazione dell’opera, tra registi, sceneggiatori e “showrunner”, c’è Damien Chazelle che co-produce e co-dirige (comunque siamo proprio agli antipodi di La La Land eh, “non è nemmeno lo stesso sport”, come direbbe Jules Winnfield) alcuni episodi, ma il vero deus ex machina è Jack Thorne, reduce dall’esperienza tutto sommato positiva di His Dark Materials – Queste oscure materie.

The Eddy ha, ovviamente, una forte impronta musicale e non sono pochi i minuti dedicati all’interpretazione ed esecuzione integrale dei brani, jam session, altri concerti improvvisati ed esibizioni di bravura da parte dei componenti della scalcinata band che suona nel locale (per la maggior parte gli attori sono effettivamente musicisti). Qui è dove The Eddy brilla di luce intensa, dimostrando l’universalità del linguaggio musicale ed il suo valore catartico. Qualche riserva c’è invece sulla sceneggiatura e sulla caratterizzazione dei personaggi, entrambe tese ad estremizzare ogni atteggiamento e drammatizzare ogni volta che pare emergere un flebile anelito di speranza per i protagonisti, tutti loser all’ennesima potenza.

Molto apprezzabile è un’ambientazione parigina lontanissima dai canoni classici del cinema tradizionale e la scelta di far comunicare i personaggi utilizzando un misto di inglese e francese (la serie fa del contesto multicultuale uno dei suoi punti di forza) , molto meno la scelta di creare una side story crime poco credibile, pensata male e realizzata con eccessiva sufficienza. L’ottima regia, che utilizza continui movimenti di camera a mano e molti piano sequenza, riesce a garantire un fantastico ed appagante senso di immersività.

Più convincente quando improvvisa che quando segue un rigido copione, The Eddy merita sicuramente una visione se siete melomani e sufficientemente pazienti da sopportare qualche fastidiosa ridondanza narrativa: il cast è perfetto, la musica eccezionale e la serie ha coraggio da vendere.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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