Se in generale l’affidabilità dell’informazione nostrana è ai minimi storici, c’è un argomento su cui è buona regola non credere mai a quello che si legge (o si ascolta): la Corea del Nord. Per ragioni facilmente immaginabili, le informazioni verificate provenienti da quella striscia di terra a nord del 38° parallelo sono merce incredibilmente rara, mentre per motivi altrettanto intuibili ogni notizia o presunta tale che riguarda Kim Jong-un  e il paese che la sua famiglia amministra da ormai tre generazioni arriva alle nostre orecchie avvolta in una patina di grottesco. La Corea del Nord rappresenta per l’occidente un enigma indecifrabile, una sfinge che ci guarda con aria di sfida e ci racconta di sé solo ciò che vuole, attraverso la lente che il regime guidato da Kim Jong-un, il grande successore, decide quotidianamente di imporre alla comunicazione ufficiale, l’unica ad avere voce sia all’interno che all’esterno dei confini.

Per fortuna, in giro per il mondo non tutti si accontentano di tradurre nemmeno troppo fedelmente le veline di regime o le sparate di un qualunque tabloid, tanto vendibili quanto poco fondate. Anche se la credibilità del giornalismo mainstream ha toccato i minimi storici praticamente ovunque, c’è ancora chi prova a raccontare le notizie dopo averle vissute o quanto meno verificate in prima persona. E se l’argomento è la Corea del Nord, pochi possono risultare più autorevoli di Anna Fifield, direttrice della sede cinese del Washington Post nonché più volte inviata nella penisola coreana in qualità di reporter.

E proprio un reportage sebbene dai presupposti bizzarri apre Il Grande Successore, con Anna Fifield incastrata in un sedile aereo al fianco di un gigantesco wrestler, a breve protagonista di un torneo dedicato all’amicizia organizzato dal leggendario Antonio Inoki. Giuro, ho dovuto rileggere anche io quest’ultima frase per assicurarmi di non essermi inventato nulla, ma questo aneddoto non è in fondo nemmeno il più strano tra quelli raccontati nel libro, quanto piuttosto un esempio paradigmatico delle occasioni che il regime nord-coreano utilizza per mostrarsi e raccontarsi di fronte agli occhi di un selezionatissimo gruppo di giornalisti internazionali.

Fifield Anna (courtesy of the author)

L’impossibilità di conoscere davvero l’oggetto delle proprie attenzioni  è il problema principale affrontato da Fifield, come da lei stessa dichiarato in questa recente intervista con Mattia Salvia* di Rolling Stone in cui si dice consapevole di non poter definire il suo libro una biografia, perchè una biografia di Kim Jong-un non può esistere: nessuno lo conosce davvero. Per capire la portata di questa affermazione basta pensare che fino al compimento dei suoi 26 anni solo una ristrettissima cerchia di alti funzionari della Corea del Nord era al corrente della sua esistenza. Il resto della popolazione l’ha conosciuto nel momento in cui gli è stato presentato come il grande successore di Kim Jong-il, futuro reggente nonché discendente della “stirpe del Monte Paektu”, mitologia ad hoc creata per giustificare il dominio della dinastia Kim.

L’unico approccio immaginabile per smarcarsi dal mare di suggestioni ed esagerazioni attraverso cui viene abitualmente narrata la Corea del Nord, anche per volontà della Corea stessa, dunque, è quello di raccogliere il maggior numero di informazioni, verificarle per quanto possibile, e affiancarle alle testimonianze dirette di coloro che hanno vissuto lì almeno parte della vita. Quel che emerge dalla parte iniziale del libro è un Kim inedito, per quanto immaginabile, nei panni di un ricco ragazzino viziato in collegio in Svizzera o in vacanza in Italia. Quel che sarebbe interessante conoscere è invece il Kim Jong-un degli anni intercorsi tra il suo repentino rientro in Corea e l’esordio sulla scena pubblica come erede della dinastia governante, quel percorso formativo che l’ha trasformato in un principe macchiavellico, consapevole che la propria sopravvivenza dipenda interamente dal mantenimento del potere costituito.

Ma quel Kim non esiste, perchè non ci sono testimoni diretti a a ricostruirne frammenti, a differenza del Kim ottenne riverito dai generali o del ragazzino appassionato di basket che fatica a legare coi compagni occidentali. Dietro il meme e il rocket man coniato da Trump emerge invece il Kim Jong-un capo di stato, dittatore, erede della dinastia, raccontato attraverso un percorso cronologico molto utile per orientarsi nel mare di tweet e storie tanto bizzarre quanto poco credibili che lo raffigurano ora come un imbecille incapace di usare un binocolo, ora come un sadico disposto a far sbranare suo zio da un branco di cani.

Attraverso lo stile secco e asciutto  di Anna Fifield, la vita del solo millennial in possesso dei codici per un’arma nucleare inizia finalmente ad acquisire senso, anche se di rado – va ammesso – l’autrice finge di dimenticarsi che la Corea del Nord mostra solo ciò che vuol vedere, soprattutto quando il Kim ufficiale combacia così bene con la lettura che ne sta proponendo in quel momento. Che Kim Jong-un sia osservato da una prospettiva esclusivamente americano-centrica, tuttavia, è così evidente da non risultare fuorviante, anzi, a tratti è quasi paradossale leggere da una fonte americana, parte integrante dell’estabilishment, degli effetti nocivi e tossici di un capitalismo endemico.

Gli effetti benefici, invece, dell’approccio di Fifield mirato alla ricostruzione di una versione il più possibile vicina al vero degli eventi si avverte soprattutto nell’ultimo terzo del volume, quando il racconto prima si avvicina e poi sfocia nell’attualità, dalla paradossale amicizia con Rodman e alla rincorsa alla bomba all’idrogeno culminata nella distensione dei rapporti con i vicini del Sud e l’America di Trump. Se Kim Jong-un resta una figura problematica, inevitabile per altro vista la sua infanzia, le sue azioni scremate dalle esagerazioni, mitizzazioni e falsità costruite di proposito assumono finalmente un senso di realtà.

Pur senza nascondere mai il disprezzo per la dittatura dei Kim e i valori che incarna, Il Grande Successore di Anna Fifield (pupubblicato in Italia da Blackie Edizioni) rende un servizio enorme alla Corea del Nord e a Kim Jong-un, ma soprattutto al lettore, perchè in poco meno di 350 pagine (tradotte da Lorenzo Vetta) riesce a trasmettere un’immagine per molti inedita del paese asiatico e del poco-più-che trentenne che lo amministra, trascinando entrambi fuori dal quel universo grottesco in cui i media amano tratteggiarli per piazzarli poi di peso nel contesto del reale. Dopo averlo letto sarà impossibile tornare a credere alla prossima surreale fake news che occuperà per qualche giorno le prime pagine dei giornali di mezzo mondo: era ora.

* Mattia Salvia è anche la mente dietro Iconografie del XXI secolo, un progetto di ricerca attraverso le immagini su ciò che resterà di questi anni: per quanto miri riguardo, è lo sguardo più interessante sull’attualità che si possa trovare in giro, e ha anche un Patreon.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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