Imagination is not only the uniquely human capacity to envision that which is not, and therefore the fount of all invention and innovation. In its arguably most transformative and revelatory capacity, it is the power that enables us to empathise with humans whose experiences we have never shared. (J.K. Rowling, Harvard commencement speech 2008)

Dov’è finita la J.K. Rowling che si esprimeva in questi termini, e proseguiva sottolineando “And many prefer not to exercise their imaginations at all. They choose to remain comfortably within the bounds of their own experience, never troubling to wonder how it would feel to have been born other than they are“? Perché quella che si manifesta ultimamente via social sembra il bersaglio della critica, e non l’autrice del discorso.

Il nome JK Rowling fino a qualche anno fa richiamava inevitabilmente quello di Harry Potter, negli ultimi tempi però c’è un’altro termine – TERF – che la segue, anzi la insegue visto che l’autrice respinge al mittente l’etichetta che giudica offensiva. Per TERF si intende una femminista radicale trans escludente, una femminista il cui ombrello protettivo lascia sotto la pioggia le persone trans. La fama di essere transfobica, e anche razzista, sta spingendo parte di pubblico a un’opera di revisionismo della saga di Harry Potter che ora viene da alcuni riletta alla luce delle posizioni di Rowling per dimostrare che già nei libri erano presenti i semi del male. Ora, visto che la scrittrice dà ampio modo di essere criticata per le sue posizioni, direi che è sufficiente attenersi a quello che è sotto gli occhi di tutti, piuttosto che fare del revisionismo tentando di scovare a posteriori significati nascosti. Piuttosto, a livello narrativo, quello che io personalmente imputo all’autrice è di essere regredita nel tempo, soprattutto nella rappresentazione dei personaggi femminili, mentre nell’affrontare tematiche delicate non ha saputo argomentare la sua posizione se non appellandosi a un principio di autorità che non esiste in campo scientifico, figurarsi altrove.

Ma andiamo con ordine.

jk rowling

JK Rowling è una di quelle persone che per la quasi totalità del mondo non ha bisogno di presentazioni. La saga di Harry Potter, con 500 milioni di copie, è la più venduta in assoluto da sempre, La pietra Filosofale con 140 milioni di copie si posiziona al terzo posto battuta solo da Il Signore degli Anelli e Il Piccolo Principe anche se entrambi i testi, va notato, hanno dalla loro mezzo secolo in più di vendite e qualche temibile concorrente in meno negli anni della loro pubblicazione – tv, playstation, internet – a contendersi l’attenzione dei potenziali lettori. Tradotta in 68 lingue la saga ha prodotto otto film, parchi a tema, due sequel – Animali Fantastici – che presto diventeranno cinque, un imponente spettacolo teatrale che ha ridefinito il concetto di evento, una mostra permanente fuori Londra, ha cresciuto almeno tre generazioni e formato una base di appassionati e lettori che potrebbe sfidare ad armi pari quella dei fan di Star Wars.

Con questi numeri, la signora Rowling è più che l’autrice maggiormente venduta al mondo: è un impero economico con mire espansionistiche. Riprendendo il paragone con Star Wars, Chris Taylor, autore di Come Star Wars ha Conquistato il Mondo, ha faticato per riuscire a trovare qualcuno nel cosiddetto occidente ancora vergine di Star Wars e pensava di esserci riuscito una volta arrivato nel villaggio navajo di Widow Rock. Probabilmente anche per Harry Potter, tra qualche anno, qualcuno proverà a ripetere l’esperimento. Va sottolineato, però, che al contrario della saga di Lucas, quella di Rowling è riuscita a sfondare anche nel mercato cinese, tanto per rimarcare quanto la saga sia penetrata nella cultura condivisa.

Quando una persona raggiunge un tale status economico e sociale, è molto presente nella vita civile tramite le piattaforme social, ed è estremamente attiva nel campo della beneficenza e pronta a dire la sua in tema di diritti civili, inevitabilmente la rilevanza diventa anche politica: l’opinione di una personalità come Rowling non resta nel campo delle idee, ma produce effetti tangibili. Harry Potter, fin dalla prima uscita della Pietra Filosofale, è stata salutata come un’opera meritoria, oltre che per la qualità della scrittura e la capacità di risvegliare il sense of wonder in ragazzi e adulti, per i messaggi positivi e costruttivi che libro dopo libro hanno formato i lettori attraverso una saga epica nel cui centro vitale risiedono il valore dell’amicizia, il peso delle scelte morali, e le nozione che siano le nostre azioni a determinare chi siamo.

Il pubblico femminile, soprattutto quello più giovane, ha avuto finalmente una protagonista brillante, emancipata e indipendente da amare, ammirare e prendere a modello. L’ascesa di Voldemort traccia un parallelo con l’ascesa del Terzo Reich, e nella conseguente guerra magica condotta contro i sanguemarcio riecheggia l’ideologia razzista che voleva la razza ariana superiore alle altre da eliminare o sottomettere. Un grande insegnamento che aiuta le giovani generazioni non solo a capire in prospettiva cosa sia stato il nazismo, ma anche a metterle in guardia mostrando quanto sia facile scivolare dalla democrazia verso un regime dittatoriale. Negli ultimi anni, soprattutto per via delle politiche di Trump, per i movimenti sovranisti che percorrono l’Europa (da brexit al salviniano “prima gli italiani”), la parte più citata della saga è stata non a caso questo passaggio da I Doni della Morte:

E che cosa diresti, Royal, a quegli ascoltatori che obbiettano che in tempi così pericolosi dovrebbe valere il motto prima i maghi? Gli chiese Lee. Direi che da prima i maghi a  prima i Purosangue, e infine a prima i Mangiamorte il passo è breve, rispose Kingsley. Siamo tutti esseri umani, no? Ogni vita umana ha lo stesso valore e merita di essere salvata.

Insomma, già ben prima che la saga fosse ultimata, JK Rowling non solo era già la scrittrice di maggiore successo e una delle donne più ricche al mondo, ma era anche amatissima e unanimemente ammirata per aver regalato una saga brillante e formativa che le aveva permesso di utilizzare la sua posizione per dare voce e risorse a giuste cause.

Negli ultimi anni, però, l’autrice ha fornito innumerevoli e reiterati motivi per essere messa in discussione quale esempio da seguire. Sono iniziate dapprima le accuse di razzismo, insieme a quelle di queerbaiting, e più di recente quelle che la tacciano di transfobia. A questo punto, però, è opportuno distinguere le critiche legittime e sacrosante, dalla compulsione ad andare a rileggere l’intera saga proiettando retroattivamente l’opinione che oggi si può avere dell’autrice.

Inizialmente, attraverso un tweet di dicembre 2019 Rowling ha offerto solidarietà a di Maya Forstater, una consulente fiscale che a suo dire era stata ingiustamente licenziata per una serie di tweet in cui esprimeva posizioni a difesa del sesso biologico delle donne. Non è andata esattamente così, la donna non è stata licenziata, semplicemente non le è stato rinnovato il contratto in scadenza. La decisione dell’azienda è maturata alla luce di una serie di tweet ritenuti discriminatori nei confronti delle persone trans e il giudice chiamato a decidere ha affermato che le posizioni della donna sono, appunto, discriminatorie e quindi non meritevoli della tutela che va riconosciuta alla libertà di espressione.

Andiamo avanti veloce. Rowling si produce in una serie di tre tweet, in uno dei quali scrive che se le persone trans fossero discriminate, allora marcerebbe con loro, a sottintendere che non lo sono, quando numeri e ricerche parlano di una realtà drammatica a causa di depressione e tentativi di suicidio causati da aggressioni, bullismo ed emarginazione subiti dalle persone trans. A seguito dell’inevitabile polemica, Rowling pubblica un articolo sul proprio blog per chiarire la sua posizione, e qui la situazione si complica ulteriormente. O meglio: la posizione di Rowling si chiarisce definitivamente.

L’articolo è molto vago. L’autrice afferma di aver parlato con numerosi specialisti (quali?), di aver letto libri e studi (di nuovo, quali?) e di aver parlato con tante persone trans (perché allora non dare spazio a loro?) e di essere quindi in possesso di un’opinione informata precisa e scientificamente accurata su tutto quello che riguarda le persone trans. Insomma, ci chiede di fidarci che è così come dice lei perché… lo dice lei. Afferma che da femminista desidera proteggere le donne ed evitare che gli uomini approfittino di presunte zone grige legislative dovute al riconoscimento giuridico delle donne trans quali donne: il suo timore è che gli uomini abbiano libero accesso agli spazi femminili, dal bagno allo spogliatoio, provocando così un aumento di aggressioni. Preoccupazione non supportata da nessuna statistica.

A questo punto, per dimostrare quanto la causa femminile le stia a cuore, decide di condividere per la prima volta il suo passato di vittima di violenza domestica per mano dell’ex marito. Un evento così traumatico e doloroso avrebbe meritato una trattazione a parte, svincolata da ogni sorta di strumentalizzazione. Purtroppo, parlare del suo trauma in questo contesto, legarlo indirettamente al presunto pericolo rappresentato dalle persone trans, non ha prodotto altro risultato che svilire la sua stessa esperienza e privare tutte le donne vittime di abusi domestici di una enorme attenzione che avrebbe sicuramente prodotto effetti positivi tangibili (penso a donazioni, pressioni per normative più adeguate, alla possibilità per altre di raccontare la propria storia sotto il riflettore acceso da Rowling). L’articolo ha detonato ulteriori polemiche e critiche puntuali come questa che ribatte punto per punto le argomentazioni presentate. Qui potete trovare un resoconto chiaro ed esaustivo dell’intera vicenda.

Questo per quanto riguarda l’etichetta di TERF. Rowling è stata accusata anche di queerbaiting soprattutto in occasione dell’uscita di La Maledizione dell’Erede per come rappresenta il legame tra Scorpio e Albus Severus: l’autrice strizza costantemente l’occhio al pubblico lgbtq+, ma lascia sempre alla fantasia degli spettatori/lettori immaginarsi il resto: lei non mette in scena nulla che non possa passare per una storia eteronormata. Dopotutto, abbiamo appreso dell’omosessualità di Dumbledore a saga ultimata e, al secondo film della serie Animali Fantasticiquesta omosessualità è ancora di “atmosfera”.

Le accuse di razzismo sono iniziate a circolare con maggiore insistenza in occasione della pubblicazione delle storie riguardanti le scuole di magia sparse per il globo. Nel costruire la tradizione di Ilvermorny il retaggio culturale dei nativi americani è stato omogeneizzato, semplificato e, in ultima analisi, utilizzato come nota folkloristica. Una volta resa nota la posizione geografica delle “nuove” scuole di magia – Nord America, Giappone, Brasile e Africa –  è subito saltato agli occhi la svogliatezza nella scelta di nomi e caratterizzazioni, ma soprattutto l’insultante decisione di dotare l’Africa di una sola prestigiosa scuola di magia come se l’Africa fosse un unico Paese e non un intero continente. Sia la scelta del nome – Uagadou –  che quella di trattare una varietà di etnie e culture come un unico calderone è stata criticata anche se in questo pezzo del Washington Post si fa notare come al contrario l’idea dell’autrice possa essere storicamente opportuna. In ogni caso, nessuno chiede a Rowling di essere una rigorosa esperta di tutte le culture del mondo, ma l’autrice è certamente nella posizione di dotarsi di uno staff di esperti per qualsiasi progetto le venga in mente di realizzare. Semplicemente, non ha ritenuto opportuno farsi assistere da figure professionali in grado di consigliarla. Se questo non è razzismo, è sicuramente indice della presenza del precursore di ogni tipo di razzismo: il disinteresse.

E arriviamo, a ritroso, alla saga di Harry Potter. Nello screenshot qui sopra, l’autore di un canale youtube ha ritenuto il caso di manifestare la sua distanza dalle posizioni di Rowling modificando il titolo di uno dei suoi video. Nel video in questione l’autore loda le capacità di Rowling, quindi non solo il nuovo titolo è mistificante rispetto al contenuto, ma crea involontariamente un corto circuito per il quale sembra che essere una TERF sia una caratteristica agevolante nello scrivere un ottimo mystery.

Il problema è che da diversi anni a questa parte la saga di Harry Potter è oggetto di revisionismo, e le recenti e allarmanti posizioni dell’autrice hanno incentivato questo approccio nonostante perfino questa ricerca abbia evidenziato che i giovani lettori di HP, crescendo, dimostrano di essere più empatici e inclusivi dei loro coetanei. E infatti la saga è proprio orientata in questa direzione. A rileggere, attraverso gli anni, sentiamo la mancanza di una maggiore rappresentazione che non sia stereotipata, ma quando ci si accanisce verso il presunto antisemitismo che la scrittrice ha mostrato attraverso la caratterizzazione dei goblin, bisognerebbe anche menzionare l’opposizione senza sconti che Rowling ha condotto contro Corbyn, l’ex leader del partito laburista inglese, a cui l’autrice ha imputato posizioni antisemite.

Adesso il personaggio di Rita Skeeter viene riletto come personaggio trans e da qui la caratterizzazione di persona inaffidabile, pericolosa, un personaggio da tenere continuamente a bada. Tonks è stata interpretata da subito come un personaggio gender fluid, ma il repentino matrimonio con Lupin viene ora riletto come il tentativo di Rowling di stigmatizzare gli adolescenti trans e mostrarli come ragazz* indecisi a cui serve semplicemente essere rimessi sulla strada giusta, ed è in quest’ottica che secondo alcuni Lupin si rivolge alla futura moglie chiamandola Dora e non Tonks: per privarla cioè del nome di genere neutro che si è data forzando un femminile.

Il problema piuttosto è che Rowling, tra i numerosi meriti, non ha quello di saper congegnare storie d’amore, sente che dovrebbero esserci ma non sa metterle in scena. Lily detestava James, ma a un certo punto ha repentinamente cambiato idea, l’ha sposato e noi, come Harry, ci chiediamo cosa sia successo nel frattempo per mutare il suo animo in un modo che sembra così ingiustificato, che Harry ipotizza perfino possa essere opera di un incantesimo.

Negli amori nati “perché sì” rientra perfino la coppia formata da Harry che a un certo punto si innamora di Ginny la quale all’improvviso, da timida bimba con una cotta, diventa bellissima, abilissima, tostissima. Il matrimonio tra Remus e Tonks avrà comprensibilmente deluso chi vedeva in quest’ultima un personaggio inclusivo, ma leggere nel loro matrimonio la malignità di riallineare una persona non binary è una riscrittura della storia. E in ogni caso, è perfettamente normale che tra innamorati si scelgano nomi o vezzeggiativi utilizzati solo dalla coppia, come ad esempio “Dora”.

Harry Potter, ora, rischia di essere visto come uno che finisce a fare il poliziotto con l’accezione negativa in riferimento alla police brutality, e da qualche parte ho letto anche un ironico “defund the aurors” che però ha buone probabilità di diventare una presa di posizione seria. Insomma, andando a ritroso, con in mano i tweet di Rowling, tutto nella saga può essere rivisto come il Disegno di una TERF che si è annidata dietro ogni singolo personaggio e ogni singola scelta narrativa per manipolare le giovani menti e condannare il non conforme.

Non dobbiamo dimentica che la saga è stata scritta più di venti anni fa da una giovane donna che all’epoca della pubblicazione della Pietra Filosofale aveva 32 anni (25 quando iniziò a concepirla), era una madre single con stipendio da insegnante: non esattamente il ritratto del privilegio, ma comunque una persona bianca, eterosessuale, con un alto livello di istruzione, e tutto questo – come accade per praticamente chiunque scriva – si è riflesso inevitabilmente nella sua opera. JK Rowling ha parlato di ciò che conosceva attraverso la sua esperienza di bianca europea. Anzi, con la vicenda di Hermione e della sua lotta per la liberazione degli elfi domestici, mette in scena perfettamente il complesso da white saviour occidentale: la giovane strega è animata dalle migliori intenzioni possibili, ma vuole imporre ciò che ritiene giusto a una popolazione di cui non sa nulla, trattandola come incapace di esprimere una scelta consapevole senza un’imposizione dall’alto a fin di bene. Ed è tutta qui la differenza tra Harry che libera Dobby, la cui emancipazione è un processo che l’elfo stesso aveva avviato in prima persona attraverso la disobbedienza alla casata di appartenenza, e la povera Winky, affranta per una liberazione che non aveva cercato e che l’ha privata di un suo posto nell’ordine delle cose.

La saga di Harry Potter, riletta adesso, ha degli evidenti limiti che riflettono una società occidentale – e un certo classismo British – che dà per scontato che l’essere bianchi ed eterosessuali sia la norma, e tutto ciò che deroga da questa rimanda ad avvilenti stereotipi. Ma questo è accaduto tanto per le sorelle Parvati, quanto per le studentesse francesi di Beauxbatons descritte come bellissime, aggraziate e snob. Rowling era semplicemente molto interessata ai protagonisti della saga mentre tutti gli altri sono stati poco più di plot device o riempitivi che non hanno goduto dell’attenzione dell’autrice che ha pescato nel cestone dei luoghi comuni: in definitiva la saga è character driven quando si parla dei protagonisti, plot driven quando si parla di personaggi di contorno, siano esse le sorelle Parvati, siano le bianche studentesse di Beauxbatons, e sinceramente non mi figuro i francesi come minoranza oppressa.

Analizzare i limiti della saga è legittimo e sacrosanto, leggerci una volontà già espressa di indottrinare è malafede soprattutto perché, come dicevo, Rowling è ormai una fucina di posizioni pericolose e non c’è alcun bisogno di piegare il passato a una rilettura opportunistica. Dove l’autrice ha realmente fallito, a proposito di inclusività, è proprio nei suoi ultimi lavori. Animali Fantastici, con il senno di poi, poteva essere l’opportunità di dare spazio a più etnie, di introdurre una reale diversity, e invece i prequel non solo falliscono in questo senso, ma segnano anche un deciso e offensivo passo indietro per la rappresentazione femminile (il personaggio interpretato da Zoe Kravitz è divisa tra l’amore per due uomini e infine si sacrifica morendo per salvarli entrambi, per esempio).

Ma tutte le critiche che possiamo muovere non pregiudicano nulla della godibilità di un mondo fantastico in cui lettori e lettrici possono abitare – e fare proprio – a pieno titolo in base alla propria etnia, al proprio orientamento, credo e sensibilità. Restare fino alla fine con Harry non vuol dire restare fino alla fine con Rowling.



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Mara Ricci

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