Quindici anni sono trascorsi dalla prima pubblicazione di Destroy All Humans!, ip sviluppata ai tempi dagli ormai defunti Pandemic Studios e prodotta da THQ. Un titolo pervaso da sadica allegria, perfettamente veicolata attraverso una sostanza ludica votata al divertimento. Ai (miei) tempi, le parabole di devastazione predicante dal grigissimo Crypto furono motivo di tante, forse troppe, ore di gioco spese davanti a un tubo catodico firmato Mivar e a un succo skipper all’arancia. Ma tutto quel divertimento, oggi, è ancora osservabile in questo remake?

Annunciato da THQ Nordic allo scorso E3 (meravigliosamente accompagnato da Ich Will dei Rammstein) e subito presentato non come un terzo e nuovo capitolo, bensì come una riproposizione del capitolo originale, Destroy all Humans! è stato infine affidato allo sviluppo ai tedeschi di Black Forest Games. Il risultato finale è tanto divertente quanto l’originale, notevole sul piano estetico, ma che non apporta sostanziali migliorie rispetto alla materia d’origine.

Come premesso, questo remake presenta la medesima trama della sua fonte d’ispirazione facendoci vestire i panni di Crypto, alieno appartenente alla fredda e bellicosa razza dei Furon. Essendo questi prevalentemente dei cloni, la nostra missione prioritaria sarà quella di recuperare un nostro simile catturato dal governo americano in quello che potremmo definire una Roswell alternativa. In tal senso, il gioco ci presenterà sei differenti scenari in cui andremo a compiere un totale di circa ventidue missioni canoniche, queste selezionabili attraverso l’hub centrale della nostra nave madre. Proprio in questo spazio famigliarizzeremo con Orthopox, la figura di comando che ci guiderà in ogni missione, oltre a proporci le numerose migliorie del nostro arsenale, l’altra grande fonte di divertimento dell’opera.

La natura remake del titolo è osservabile prevalentemente dal parco missioni, non invecchiato benissimo, in cui ci viene richiesto di destabilizzare, rapire e distruggere la qualunque in giro per gli Stati Uniti. Gli scenari in questione si presentano come piccole mappe open world, in cui dovremo raccogliere collezionabili, estrarre dna dai poveri e bigotti cittadini, ma anche svolazzare e incenerire cose con la nostra navetta oltre a cimentarci in quattro diverse tipologie di sfide: Armageddon, Corsa, Rapimento e Devastazione. Quest’ultime, così come lo svolgimento delle missioni canoniche, va ammesso, sono tanto divertenti quanto ormai vetuste. Purtroppo l’età concettuale dietro quel tipo di meccaniche si fa sentire; personalmente era davvero da parecchio che non affrontavo una sfida a tempo. Tuttavia, il valore di Destroy All Humans! resta invariato grazie soprattutto allo spirito dissacrante attraverso cui recupera quei luoghi comuni che la cultura pop (e pulp) hanno sdoganato attraverso gli anni ’50 e ’60.

Vecchio, ma non obsoleto!

Come accennavo qualche riga sopra, nel complesso le meccaniche di Destroy All Humans! appaiono piuttosto datate. Il gameplay di fatto è il medesimo del 2005 e propone una routine di comandi e azioni oggi largamente superata. Ciononostante, è innegabile quanto queste siano ugualmente apprezzabili in termini di praticabilità e divertimento. Il gioco non annoia mai, se non dopo alcune palesi ridondanze. Utilizzare la telepatia per scagliare umani e vacche a decine di metri di distanza, polverizzarli con il disintegratore o estrarre loro il materiale genetico attraverso una sonda anale risulterà sempre e comunque piacevole, oltre che esilarante. Non voglio certamente nascondere le fragilità del titolo, facilmente individuabili e altrettanto facilmente disprezzabili, come per esempio alcune fasi stealth poco ispirate e persino poco idonee alla verve del gioco, ma Destroy All Humans! non pretende di essere il gioco dell’anno, bensì una chiara rievocazione di un certo modo fi fare i videogiochi, oggi ormai tramontato.

A tener testa allo scorrere del tempo è senz’altro il gunplay, fluidificato, ma ugualmente vicino alla controparte originale che pure senza finezze tecniche riusciva a restituire un feedback decisamente apprezzabile.

Ad aiutare all’ammodernamento  dell’esperienza c’è invece la rinnovata veste grafica. L’utilizzo dell’Unreal Engine 4 mette in risalto l’ottima visuale in stile cartoon e garantisce sin da subito una fluidità delle immagini davvero notevoli.

Un ritratto inequivocabilemente pulp

Uno degli aspetti di maggior pregio della produzione (i cui meriti vanno anche e soprattutto ai Pandemic Studios), è il brillante utilizzo dei canoni della cultura pop. Il gioco si incastra in una cornice dai fortissimi richiami alla science fiction di stampo Golden Age (dagli ’30 agli anni ‘50), ma soprattutto alle narrazioni dai contorni catastrofici e mistery apparsi nei primi pulp magazine, come Amazing Stories, Weird Tales o Astounding Science Fiction e Unknown. Naturalmente l’altra grande impronta concettuale proviene, come spesso accade, dal cinema: richiami soprattutto al cinema di genere, con dediche a storiche pellicole pulp come Attack of the 50 Foot Woman o The Man From Planet X.

Al di là della cultura popolare, Destroy All Humans! ricostruisce attraverso un sottile approccio satirico parte dell’agglomerato sociopolitico degli States nell’immediato secondo dopoguerra. Al netto di richiami topografici come l’Area 42 o Rockwell, uno degli elementi che subito salta agli occhi è il diffusissimo Maccartismo. Tutto è ridotto alla profondissima paura del comunismo, ai tempi realmente tratteggiato come il più terribile dei mali. Inoltre nel gioco questa fobia rossa è contestualizzata ricorrendo a gag davvero esilaranti, come il voler credere che Crypto altro non sia che un invasore comunista.

Come da buona tradizione, i nostri amici Furon sono, fra le tante cose, dei telepati. Così, girovagando per le mappe, avremo la possibilità di passare in rassegna i pensieri dei passanti. Attraverso questi scorci sulla psiche umana ascolteremo le premure e gli interessi di una popolazione alle prime prese con il capitalismo, intenta a maledire un rivale a lavoro per il proprio tornaconto, vivere per apparire belle grazie a una lozione per capelli e, naturalmente, odiare i comunisti. Uno spaccato di realtà dove gli usi e i costumi di una nazione vengono esacerbati attraverso una cattivissima ironia. Anche il militarismo è una costante nel gioco, in particolare se contestualizzato nella realtà temporale di ambientazione del gioco (un periodo che sarebbe terminato con il Vietnam) [in realtà comunque non così lontano dal clima odierno o da quello dei primi 2000, NdClod].

Per concludere, questo remake di Destroy All Humans! sviluppato dai ragazz* di Black Forest Games, è stata una divertentissima riproposta di un franchise che avrebbe meritato senz’altro più fortuna. Nonostante una serie di meccaniche già viste e al di là della mancata innovazione lato gameplay, il notevole restauro grafico, coadiuvato dalla pungente scrittura del gioco, consentirà a Destroy All Humans! di sopravvivere nei ricordi per un’altra quindicina d’anni.



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