Al largo della Scozia, parecchio al largo guardando a ovest, nel pieno dell’Atlantico, c’è un arcipelago di isole. Si chiama Saint-Kilda, e definirle isole forse è un po’ eccessivo. Sono più moti di ribellione della roccia all’acqua, artigli di arenaria che rifiutano l’immersione e sfidano i flutti. Tuttavia, su alcuni di questi monumenti alla testardaggine scolpiti dall’acqua salata nella roccia, per qualche inspiegabile ragione si ostina a crescere dell’erba. Fatto ancora più inspiegabile: quell’erba è stata calcata per millenni da piedi umani. 

Benché annoverata dall’UNESCO tra i Patrimoni dell’umanità, sia per meriti naturali che culturali, è difficile aver sentito parlare di Saint-Kilda al di fuori dei confini del Regno Unito, dove da più di un secolo è meta di pellegrinaggi pagani sul confine tra antropologia e voyeurismo. Lo ammette persino Éric Bulliard, francese autore de L’addio a Saint-Kilda, pubblicato da 21 Lettere, commentando quanto fosse difficile trovare materiale sull’isola al di fuori della letteratura anglosassone. Deve essere questo il motivo per cui ha deciso di scrivere lui stesso un libro sul quell’arcipelago semi-dimenticato dalla terra ferma. 

L’addio a Saint-Kilda è uno strano ibrido, un oggetto narrativo non identificato direbbe qualcuno, a tratti memoir turistico, a tratti ricostruzione storica romanzata di quegli ultimi giorni in cui l’umanità ha abitato stabilmente Saint-Kilda. Erano non più di cento persone, nell’ultimo secolo di strenua indifferenza agli eventi dell’oltremare. Meno di 80 nell’ultimo decennio; 36 nel 1930, l’anno del “Non è più possibile”.

“Non è più possibile.”
Questa frase nella testa, come un’antifona da vecchia, che si volta, piroetta, torna ancora. Persino quando crede di pensare ad altro, alla pioggia che si avvicina, laggiù, dietro a Dùn, alla pecora che zoppica terribilmente da stamattina e che stiamo per lasciare qui, ai cani che dovremo annegare. Al pastore Munro, col suo pallore, ieri, all’ora dell’omelia. Come se, fosse arrivata la sua ultima omelia. 

Un salto avanti nel tempo: aprile 2014. Il viaggio di una vita, quello che serve per arrivare da turisti su Hirta, la più grande delle isole di Saint-Kilda, quella un tempo abitata. Ore di barca su un oceano che balla, incurante della pioggia e delle facce pallide che lo solcano. Ore che la sgangherata compagnia di turisti di cui Bulliard fa parte affronta per poter mettere piede tra quel che resta di pecore e case di pietra. Per poter dire di esserci stato. 

Poi ancora un flashback, e un altro salto, dalla prima persona singolare alla prima plurale. Da io a noi. Il viaggio di Bulliard è anche un viaggio nel tempo, immaginario per quanto ben documentato. Lo stacco catapulta il lettore tra quelle gelide case di pietra, mentre si decide l’esito di una comunità. Volti tesi, tristi, molti rassegnati: “Non è più possibile”. Per tutti è la fine del mondo, la fine di un mondo. 

Molti se ne erano già andati: America, Australia. Famiglie di uomini e donne forti, sopravvissuti per decenni tra erba, pietre e uccelli, stroncate da interminabili viaggi su traghetti sovraffollati di malattie a cui i loro corpi non erano pronti. Molti altri invece erano arrivati a far visita, coi i loro vestiti raffinati, l’inglese impeccabile, lo sguardo di chi visita una zoo. Eppure a quasi nessun kildiano è mai venuto in mente di preferire quella loro vita più semplice. No; per abbandonare il loro roccioso angolo di mondo è dovuta diventare del tutto insostenibile la loro, di vita. 

L'addio a Saint-Kilda

C’è un’immagine che fa da filo conduttore a tutto . È quella dei tre uomini e otto ragazzi rimasti nove mesi abbarbicati Stac an Armin, un dente di squalo che spunta in verticale, duecento metri di roccia che sfugge alle onde. La caccia su Stac è uno degli eventi che scandisce il calendario di Saint-Kilda. Di solito sono 10-15 giorni su una parete verticale: un onore poter catturare le procellarie che ci si dividerà equamente tra kildiani, fino alla prossima stagione della riproduzione, quando il Parlamento nominerà i nuovi prescelti. Quell’anno, però la barca non torna. Giorni e settimane diventano mesi. Un enigma, anche per il lettore. Nove mesi in piedi, in verticale, tra pioggia, guano e piume, prima che la sagoma di un’imbarcazione spunti all’orizzonte, con a bordo un uomo e la più terribile delle risposte. 

Mentre Bulliard lascia appeso il suo pubblico come gli 11 san-kildiani a Stac an Armin, questa vena thriller si aggiunge e si alterna alle altre del suo mutevole oggetto narrativo. Frammenti di storie, che emergono dalle pietre attorno a cui si aggirano improbabili e inzuppate copie turistiche di caratteristi di un film di Ken Loach. Racconti che devono aver interrotto i lunghi silenzi che accompagnavano la vita sull’isola. Quando ci si conosce per nome, e le notizie dall’esterno arrivano solo se il meteo lo consente, non c’è molto di cui conversare. 

Tutt’al più si può fantasticare. Della sabbia bianca dell’Australia, ad esempio, come quella sognata da Malcom MacQueen, sbarcato a Melbourne a ventiquattro anni. O del luccichio dell’oro bramato e inseguito per tutto il mondo da Ewen Gillies, California Gillies per i kildiani che ha salutato tre volte: ” Ebbene, restate a vegetare sulla vostra isola. Tra vent’anni dovrete partire tutti e capirete che avevo ragione.”

L'addio a Saint-Kilda
Il Parlamento di Saint-Kilda, anni ’80 del 1800.

Ineluttabile come il traghetto di ritorno che riporta Bulliard  e i suoi compagni avventurieri a casa, al solo prezzo di un’altra manciata d’ore in balìa delle onde, anche per Saint-Kilda arriva infine il momento di dire basta. Laddove l’influenza, il vaiolo e le carestie avevano fallito, un’appendicite e una testarda infermiera sono ciò che convince Saint-Kilda a dirsi che non si può più rimane aggrappati alla roccia, questa volta non è più possibile. Seguono la lettera alle autorità governative, scritta in un’inglese sorprendentemente impeccabile, il piano di evacuazione, l’annegamento dei cani, la ricerca delle pecore, la partenza.

Non ci sono testimonianze dirette di quel giorno, come chiesto dal Governo scozzese. Non si voleva che l’intimità e il dolore dei san-kildiani finissero in pasto al pubblico. Il 27 agosto 1930 l’addio a Saint-Kilda può cominciare. 

Una volontà rispettata quasi un secolo dopo anche da Éric Bulliard. L’addio a Saint-Kilda si muove su un delicato equilibrio, fermo nella volontà di trasmettere la dignità di una comunità rimasta aggrappata ai proprio luoghi e ai propri tempi non per un senso del dovere, o per rivendicare radici. Ma perchè così è sempre stato. E perchè la vita di Saint-Kilda, resa difficile da roccia e vento, era una vita difficile come tante altre, all’epoca. Ma forse metteva al riparo chi la viveva dal contatto con le vite agiate dei pochi e dal senso di ingiustizia che la conoscenza porta con sé. 

Tenendosi lontano da sentimentalismi o interpretazioni, Bulliard ricompone i fatti attraverso un mosaico che che tiene agganciato il lettore e restituisce umanità ai protagonisti. Per stile, ritmo, ma anche ironia e capacità di raccontare, più volte durante la lettura de L’addio a Saint-Kilda mi è venuto in mente Paolini coi i suoi spettacoli di teatro tra la gente. E mi sembra un gran complimento. 

L'addio a Saint-Kilda

 

 



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , , ,
Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

Similar Posts
Latest Posts from Players