Gli Stati Uniti d’America non esistono più. Nel futuro descritto nella trilogia di Hunger Games, gli USA si sono trasformati in un nuovo paese chiamato Panem, nato da una sanguinosa guerra che ha portato ad una dolorosa ridistribuzione delle risorse, ben lontana dai sogni socialisti: Panem è divisa in dodici distretti che ruotano attorno alla Capitale.

Lì la vita è tranquilla e opulenta, un’utopia per ricchi costruita sul lavoro degli altri dodici distretti, ognuno dedicato ad un diverso settore e controllato tramite un sistema da stato di polizia instaurato dopo la guerra. I distretti sono sottomessi, sfruttati, e infelici. Per essere sicuri che i sottomessi non alzino la testa, i burocrati della Capitale hanno inventato gli Hunger Games, un reality show nel quale ogni anno un cittadino e una cittadina dei dodici distretti vengono scelti tramite estrazione e portati in una grande arena piena di ostacoli, armi, e trappole. I partecipanti al gioco devono uccidere gli altri partecipanti e sopravvivere alle trappole sparse per l’arena. La ricompensa per l’unico sopravvissuto sarà una vita nel lusso, nella gloria, e nello sfortunato caso in cui abbia una coscienza, nel rimorso.

Katniss Everdeen, la protagonista della trilogia, ha sedici anni e vive nel dodicesimo distretto, il più disastrato di tutti, costruito attorno all’industria mineraria. Suo padre è morto in un incidente di lavoro, e lei vive con sua madre e una sorella minore, Primrose. La sua vita è spartana, ma stabile. Grazie ad un arco lasciato in eredità da suo padre, ha imparato a cacciare, e passa i pomeriggi a girare nei boschi che circondano la città con il suo migliore amico, Gale, spesso portando a casa abbastanza selvaggina da permettere un buon tenore di vita alla sua famiglia. Questo fino a quando non arriva il giorno dell’estrazione per settantaquattresimi Hunger Games.

È il primo anno in cui Primrose è di età per essere scelta, e il caso vuole che il suo nome venga estratto. Katniss decide di offrirsi volontaria per evitare che la sorella sia mandata verso morte certa. L’altro estratto è Peeta, figlio del panettiere del distretto, un ragazzo che Katniss conosce a malapena. La coppia verrà allenata da Haymitch, l’unico vincitore dei giochi per il dodicesimo distretto, ventiquattro anni prima, oggi un alcolizzato, distrutto dall’esperienza da assassino in pubblico. Katniss e Peeta entrano nell’arena consapevoli di essere carne da macello. I combattenti provenienti dai distretti più vicini alla capitale sono sempre i favoriti, più allenati e fisicamente potenti. E in ogni caso, anche la vittoria sarebbe amara, ottenuta tramite l’omicidio di giovani, alcuni appena dodicenni. Ma Katniss deve sopravvivere. Per la sua famiglia, per la sua gente. Anche se non riesce ad allontanare il pensiero che lo stesso atto di giocare possa significare la vittoria di coloro che opprimono la sua gente, mostrato a tutto il paese per ricordare chi comanda.

Il primo libro della trilogia Hunger Games è diventato un bestseller in poco tempo. L’autrice Suzanne Collins, reduce da anni da scrittrice in televisione, ha messo assieme un racconto perfetto per il pubblico dei “giovani adulti”, oggi particolarmente ambito dalle case editrici dopo i successi di Harry Potter e Twilight. La storia di Katniss è piena di colpi di scena, di emozioni, di amori impossibili e di azione. E violenza. L’idea dietro agli Hunger Games è agghiacciante, e ha echi di Battle Royale, un libro dai contenuti raccapriccianti, che ha dato vita ad un film altrettanto brillante e terrificante. Ma dove Battle Royale è una satira al vetriolo di una società oppressiva, nella quale l’educazione è vista come una corsa ad ostacoli in cui la competizione è giudice inappellabile della qualità dei giovani, Hunger Games ha echi di Orwell, Bradbury e Philip K. Dick; parla di una società strutturata in maniera rigidamente piramidale, dove la percezione pubblica delle cose è l’unica realtà che conta, e dove lo spettacolo è questione di vita o di morte. È panem et circenses all’ennesima potenza.

La narrativa per i giovani adulti tende a mantenere un certo livello di ottimismo. Le avventure di Harry Potter, per quanto difficili e spesso tragiche, non perdono mai completamente leggerezza. Sono uno specchio delle speranze e delle paure dell’adolescenza: il senso dell’essere al centro di un mondo dove gli adulti sono ostili, ma dove è possibile trovare una via d’uscita nel momento in cui si capisce quale sia il proprio spazio, il proprio talento, la propria famiglia. Il primo libro di Hunger Games tocca molte di queste corde, e a questo deve il suo successo. Ma dal secondo libro la situazione cambia. La storia di Katniss assume contorni molto più ampi. La trilogia si rivela come una storia di guerra e di lotta sociale. Ma soprattutto, è una riflessione su quello che significa essere simbolo involontario di un movimento che vuole cambiare, e perdere la possibilità di scegliere per sé stessi.

Così la trilogia di Hunger Games trascende il genere nel quale viene inserito sugli scaffali delle librerie, e al terzo capitolo arriva ad un finale che è un pugno nello stomaco. La Collins decide che consolare il lettore significa tradire una storia che parte come una tragedia e descrive una situazione disperata, che si può superare solo affrontando il fuoco senza paura. La rete è piena di lamentele da parte di lettori che si sarebbero aspettati una chiusa più rassicurante e solare. Ma la Collins ha deciso di portare alle conseguenze estreme le premesse su cui ha costruito il suo mondo, ed è una scelta che ha dato vita ad un piccolo classico della letteratura distopica. Tre libri veloci da leggere, ma non leggeri da digerire. Un pugno nello stomaco che ricorda quanto sia importante non dare al lettore quello che vuole.

Titolo Libro: The Hunger Games, Catching Fire, Mockingjay
Autore: Suzanne Collins
Editore: Scholastic Press
Anno: 2008 – 2010
Prezzo di Copertina: $5.39, $9.46, $9.46
Pagine: 384, 391, 400
Edizione Recensita: USA

Questa recensione è tratta da Players 11, che potete scaricare dal nostro Archivio.



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Emilio Bellu

Scrittore, cineasta, giornalista, fotografo, musicista e organizzatore di cose. In pratica è come Prince, solo leggermente più alto e sardo. Al momento è di base a Praga, Repubblica Ceca, tra le altre cose perché gli piace l'Europa.

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3 Comments

  1. Complimenti per l’articolo. Mi riprometto di leggere il primo capitolo dopo aver visto il recente film (in lingua originale): mi aspettavo una schifezza soporifera in stile Twilight e invece, con mia grande sorpresa, mi sono ritrovato davanti a un film di fantascienza cupo e oppressivo, angosciante e pieno di belle intuizioni su una società violenta e voyeuristica e sulla televisione come mezzo di controllo. Magari lo svolgimento è un po’ banalotto (ma ormai è impossibile trovare storie rigorose e originali che partono da buone premesse e non affogano nello scontato, vedi In Time) ma gli elementi di attrazioni ci sono tutti, nonostante la saga cartacea sia stata demolita da Stephen King.

    1. Demolita? Siam sicuri? A me pareva di aver visto che addirittura lo usano come testimonial sul retro.

      1. Sì in effetti ho esagerato io, da quello che ho letto io ha criticato la trama come ingenua ma ha detto che crea dipendenza… me ne scuso!

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