Ora che anche The Dark Knight Rises è stato archiviato, e che la trilogia cinematografica di Batman è conclusa, se ne può tentare un’analisi complessiva. Al di là di prove attoriali, scelte compositive o presunte infedeltà filologiche con gli albi originali, il terreno narrativo va innanzitutto verificato sulle opposizioni dei valori che sono alla base delle pellicole, soprattutto alla luce di una filmografia, come quella di Nolan, da sempre costruita strutturando tutti i dettagli secondo progetti dotati di estrema coerenza.
In Batman Begins è apertamente dichiarata l’evoluzione che accompagna la nascita del Cavaliere Oscuro: il riuscito tentativo di trasformare la paura, da difetto paralizzante, in forza. Di qui la scelta di utilizzare come simbolo il terrore infantile dei pipistrelli, così come la presenza dello Spaventapasseri, nemico che agisce terrorizzando il prossimo, e che soccomberà per mano di Batman subendo la sua stessa moneta.
Sullo sfondo rimane il tema portante dell’intera trilogia, quello della giustizia, che qui viene problematizzato attraverso la crescita del suo eroe. Subita la grave perdita dei genitori, a Wayne viene dapprima negata una giustizia personale, e in seguito è lui stesso a sceglierne apertamente una differente, non strettamente civile. Lo svolgimento di questi valori mostra la mancanza di incisività che all’epoca caratterizzava il polso di Nolan, troppo tenero nel risolvere la problematica opposizione tra giustizia e vendetta in due fasi eccessivamente sbrigative.
Nel suo esilio iniziale, al termine dell’addestramento nella Setta delle Ombre, Wayne sceglie di non condannare il nemico; nel finale, l’opposizione viene invece risolta facendo magicamente corrispondere le due posizioni, dato che si scopre che Ra’s al Ghul è indirettamente responsabile della criminalità a Gotham e quindi della morte di Thomas e Martha Wayne.
Discorso diverso per The Dark Knight: l’aver scelto due valori fondamentali come l’ordine e il caos non è l’unica accortezza del regista, che qui deve dividere i meriti con gli autori originali. Batman acquista in caratterizzazione e profondità proprio grazie al suo avversario. Joker è d’altronde il suo esatto speculare, sia a livello visivo che valoriale: balbettante, nervoso, senza principi. Indossa un vestito elegante, con tanto di giacca, gilet e cravatta, ma con sgargianti colori da clown.
Al contrario, Batman indossa un costume da pipistrello ma di un sobrio nero opaco, ed è caratterialmente votato all’equilibrio e al silenzio. Da qui deriva la forza del progetto complessivo, dotato di una straordinaria coerenza tra tutti i livelli: ordine e caos si traducono immediatamente in Batman contro Joker, e nella figura intermedia di Dent-Due Facce, che assume su di sé entrambe le posizioni passando dal polo positivo a quello negativo durante tutto lo svolgimento della pellicola. La giustizia di Begins si trasforma quindi in una moltiplicazione di giustizie. Quella di Batman, vicina alla vendetta ma non scevra di moralità; quella naturale, brutale e tribale di Joker, che si appoggia al caos; quella civile di Dent, a cui entrambe le altre saranno sottomesse per esplicita scelta.
La morte di Rachel, d’altronde, mostra cosa accade quando è il caos ad imporsi. Quindi persino Batman e la polizia, rappresentanti categorici del loro diritto, dovranno sacrificare la verità all’ordine, facendo di Dent un eroe e del Cavaliere Oscuro un criminale. La forza della pellicola sta in questo: nel personificare in situazioni e personaggi ben caratterizzati le opposizioni che ne sono alla base.
A dispetto delle apparenze, in Rises c’è un tentativo di continuità anche rispetto al precedente capitolo, soprattutto per la parziale riproposizione dell’opposizione fondamentale, perpetuata nella messa a ferro e fuoco di Gotham, e nell’immobilizzazione sia di Batman che del corpo di polizia. Dove il film perde in efficacia è invece nella scelta di porre alla base non opposizioni tra semplici valori, ma tra processi, troppo complessi per essere efficacemente riassunti in personaggi o situazioni emblematiche.
Non solo, se nei primi due episodi l’organizzazione profonda riguardava principalmente l’uomo-pipistrello, centro drammatico di tutta la strutturazione narrativa, qui si allarga la questione alla maggior parte dei comprimari. Il tipo di trasformazione di cui sono interessati è il seguente: abbracciare ciecamente qualcosa (la fede di cui parla Alfred) per ottenere il suo opposto. Per Batman è il cercare la paura per avere coraggio, la morte per ricominciare a vivere; per Selina è invece cancellare il passato per assicurarsi un futuro; quanto a Miranda, odia suo padre solo per infine perdonarlo, e ama Wayne per annientarlo.
Persino l’esplosione finale è scaturita da un ordigno inizialmente realizzato per fornire energia illimitata. Una scelta così complessa, per di più moltiplicata per i molti attori, rende necessariamente verboso e didascalico il risultato generale. Forse deve aver pesato più del dovuto la morte di Ledger, che per un regista attento come Nolan deve aver significato l’abbandono totale del personaggio di Joker. Almeno così sembra osservando Bane, che nonostante all’ottima prova attoriale di Tom Hardy, non riesce a rappresentare degnamente la somma di caos e distruzione.
Il risultato è un villain volutamente più freddo e anonimo, perfettamente esemplificato dalla gestualità composta e, soprattutto, dalla maschera. Sebbene più volte verbalizzato, il suo progetto di portare Gotham e Batman alla disperazione attraverso un’illusione di speranza, rimane contraddittorio, e privo di coerenza. Lo stesso si può dire del risultato complessivo della pellicola: sostituire dei processi ai valori, ha portato Nolan ad una diluizione delle sottotrame e del ritmo, sottolineate ulteriormente dalla mancanza di efficaci personaggi riassuntivi.
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Consiglio la lettura di questo pezzo per approfondire il terzo film e, in parte, la trilogia tutta. C’è molta più carne al fuoco su cui riflettere.
http://www.popmatters.com/pm/feature/162559-reflections-on-the-revolution-in-gotham-of-burke-and-batman/