Nata come epigono in salsa gangsta di Grand Theft Auto, la serie di Saints Row ha subito una drastica svolta concettuale durante il terzo episodio, che si è schiantato sugli stilemi dei videogiochi open world con la delicatezza di una bomba atomica, tracciando una via alternativa per la fruizione di tipo free roaming dei mondi virtuali.

Abbandonata in maniera consapevole e divertita qualsiasi pretesa di realismo, Saints Row The Third puntava tutto sull’assurdo parossistico, servendo al giocatore una metropoli digitale definita su Players #11 come «una versione allucinata di Pittsburgh, che pare edificata dai Jackass e popolata dai personaggi di South Park». Portare avanti tale poetica con Saints Row IV e andare oltre l’eccesso, over the top, è senza dubbio un compito arduo, ma gli sviluppatori di Volition sembrano aver voluto prendere di petto la sfida, partendo in quarta con un prologo scoppiettante.

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Lasciati alle spalle i trascorsi come rampante boss malavitoso, il leader della gang dei Third Street Saints è ora un paladino della giustizia e lo ritroviamo intento a sgominare un attacco terroristico nella maniera più folle possibile, scalando a mani nude un missile nucleare in volo verso gli USA, sulle note di I Don’t Wanna Miss a Thing degli Aerosmith, giusto per sottolineare che, a confronto, il Bruce Willis di Armageddon è un principiante. Dopo aver fatto brillare l’ordigno nella stratosfera, l’eroe si tuffa a pesce sulla Terra per finire dritto sulla poltrona della Casa Bianca, dove viene celebrato all’istante come nuovo presidente degli Stati Uniti. Si tratta, però, dello wharoliano quarto d’ora di celebrità, giacché, appena dopo l’‘elezione’, il pianeta viene invaso da una razza aliena, gli Zin, che teletrasportano il protagonista in un ameno paesino del countryside americano, in stile anni Cinquanta (!). Il luogo si rivela essere una prigione virtuale, a metà tra Matrix e The Truman Show, dalla quale il boss dei Saints riesce a sfuggire grazie all’aiuto di Kinzie, la geek dell’FBI incontrata nel prequel, che, al pari del Morpheus griffato Wachowski, fa materializzare dal nulla doppiette e lanciarazzi per radere al suolo il paradiso artificiale.

I fan della serie e, più in generale, gli amanti dell’assurdo non potranno che scoppiare a ridere battendosi le mani sulle ginocchia dinnanzi a questa kermesse di trovate weird, citazioni pop e umorismo slapstick, ma l’euforia cede il passo allo sconforto non appena il climax iniziale si esaurisce, facendo venire a galla il gioco vero e proprio.

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A dispetto delle invitanti premesse, Saints Row IV è, nella sostanza, una sorta di spin-off del prequel, coperto da una patina parodistica che fa il verso a Matrix. Così, superato l’eclettico prologo, si vestiranno i panni  di una versione politicamente scorretta di Neo, allo scopo di crackare dall’interno la ricostruzione virtuale della Steelport di Saints Row the Third. Quest’ultima risulta pressoché identica alla metropoli esplorata nel precedente episodio e non solo dal punto di vista architettonico-urbanistico, in quanto anche veicoli, abitanti, negozi e oggetti per la personalizzazione sono stati riciclati spudoratamente.

Pure la summenzionata operazione di hackeraggio metropolitano, che costituisce la chiave di volta del gioco, non introduce novità di rilievo, poiché, ai fatti, richiede d’impadronirsi nuovamente della città tramite vari minigiochi o attività distruttive (alcune delle quali prese di peso dai prequel) e di racimolare gli altri membri storici dei Saints (da Pierce a Shaundi, passando per un redivivo Gat), navigando a piacimento tra missioni principali e opzionali, come da tradizione.

La piega cyberpunk presa dalla trama si traduce nel gameplay sotto forma di abilità speciali, che l’alter ego virtuale del protagonista può utilizzare nella Steelport simulata. Si va da poteri dal sapore supereroistico, tra cui sfere infuocate e telecinesi, a performance atletiche sovrumane, come corse che rompono la barriera del suono o salti con elevazione chilometrica. Nel complesso, si tratta di elementi già introdotti in nuce nella serie attraverso il DLC Piccoli Problemi di Cloni e che, soprattutto, non sono stati sviluppati in maniera originale, finendo per aggiungere poco o nulla a quanto già visto in titoli come Prototype. Perciò, l’impressione di giocare a Saints Row the Third visto dall’ottica di un Alex Mercer grava come un’ombra su tutta l’esperienza, impregnandola di un ingombrante senso di déjà vu.

L’anonimo design estetico e concettuale degli Zin non aiuta a migliorare le cose, così come l’effettiva inconsistenza, sia ludica che narrativa, di alcuni aspetti sovraesposti in fase promozionale (primo tra tutti il ruolo di presidente degli Stati Uniti, il quale si esaurisce durante le summenzionate battute iniziali del gioco).

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Ciononostante, Saints Row IV riesce a enfatizzare al massimo la particolare poetica sviluppata dalla serie e basata sulla possibilità di giocare in maniera spensierata, nonché sempre più ardita, con l’ambiente sandbox, come se quest’ultimo fosse un enorme luna park.

Il merito va soprattutto alle trovate bizzarre che ravvivano l’azione e donano al titolo una personalità propria. In tal senso, sono degne di menzione le armi speciali, da affiancare ai superpoteri come in una sorta di Bioshock semplificato e tutte caratterizzate da effetti esilaranti. Si trovano, per esempio, cannoni in grado di creare buchi neri, mitragliatrici che sparano BPM technoidi per fare ballare a morte le vittime, fucili che gonfiano le teste dei nemici sino a farle esplodere od ordigni capaci d’innescare un’adduzione extraterrestre, con tanto di raggio trattore luminescente.

Altrettanto brillanti risultano alcune missioni principali, che parodiano varie declinazioni del videogioco mainstream anni Novanta, introducendo parentesi stealth in stile primissimo Metal Gear Solid, momenti di puro beat ‘em up a scorrimento orizzontale sulla falsariga di Streets of Rage o fatality à la Mortal Kombat. Si tratta di spunti ludici che fanno il paio con riferimenti audiovisivi pop risalenti al medesimo decennio, rintracciabili in ogni aspetto del prodotto, dallo script carico di citazioni cinematografiche, come quelle ad Armageddon e a Matrix, appunto, sino alla colonna sonora, la quale include alcune delle hit più caratteristiche dell’epoca, tra cui la caustica Song 2 dei Blur o il tormentone disco dance What is Love di Haddaway.

Anche la stessa Steelport non è più illuminata da neon anni Ottanta, ma adesso risulta avvolta da nubi plumbee e da tonalità livide, simili a quelle della Seattle di Kurt Cobain, che gettano letteralmente una nuova luce sulla città, completando un affresco vintage coerente, vibrante e coinvolgente.

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In definitiva, Saints Row 4 è più un DLC assai ricco e ben caratterizzato, come Red Dead Redemption: Undead Nightmare, piuttosto che un nuovo capitolo degno di tale definizione. Del resto, il gioco nasce proprio dalle ceneri di un’espansione per Saints Row the Third, provvisoriamente intitolata Enter the Dominatrix.

Si può criticare la sfacciataggine mostrata da Volition nel vendere a prezzo pieno un pacchetto ludico gonfio di elementi riciclati e si può storcere il naso davanti ad alcuni buoni spunti lasciati a metà, ma diverse innovazioni introdotte da Saints Row IV impattano positivamente sul gameplay della serie in maniera assai significativa, più di quanto accade con i sequel di vari giochi da “tripla A”. Così, questo quarto atto dell’epopea dei Saints risulta, in fondo, un’esperienza divertente e scanzonata, se affrontato con la giusta dose di leggerezza, intonando My United States of Whatever!

Saints Row IV è attualmente disponibile per PC, Playstation 3 e Xbox 360.



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Piero Ciccioli

Coniuga da anni la sua professione di ricercatore scientifico a quella di articolista e saggista specializzato in videogiochi, cinema d’exploitation, horror, fumetti e nei più disparati prodotti di entertainment d’origine nipponica. Nutre una viscerale predilezione per tutto ciò che è weird e sogna di radere al suolo una riproduzione in cartapesta di Tokyo, vestito da Godzilla.

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