C’era una volta un’estate esce, ahinoi, in pieno autunno e con dicembre proprio alle porte, ed è evidente che un titolo del genere (per quanto l’originale con ripetizione The Way Way Back risultasse impossibile da tradurre senza far alzare qualche sopracciglio) possa contribuire a tener lontani i potenziali interessati/curiosi dalle gelide sale di questo novembre. Tuttavia, l’opera prima del duo Nat Faxon & Jim Rash (professione attori, autoironicamente presenti anche nel film) complessivamente vale lo sforzo.

Peraltro, il titolo italiano fa pure un po’ Stand By Me, cult anni 80 con cui però The Way Way Back null’altro condivide a parte il sentimento malincuorico di un’estate di svolta. L’estate in questione è quella del quattordicenne Duncan, chino sulla sua solitudine e incastrato in una vacanza in un isolato villaggetto balneare insieme a madre, sorella e soprattutto al pedante Trent, insistente e autoritario quasi-patrigno che gli affibbia mortificanti valutazioni (!) (ah, qualcuno dica a Steve Carell che i ruoli da fastidioso coprotagonista gli calzano a pennello anche meglio di quelli comici).

Inizialmente, Duncan ciondola ingobbito e semi catatonico tra gli elementi disturbanti della famiglia ospitante (quella di Trent): la sorella un po’ schizzata Betty (Allison Janney: era la mamma antipatica di The Help, la mamma tosta di Juno, è la mamma sbarellata qui), e una coppia di amici decisamente troppo sbilanciata (perché Amanda Peet è decisamente troppo sexy, di qui un risvolto della trama pigramente risaputo, per quanto in character).

Poi Duncan conosce Owen, impiegato di un parco acquatico (è Sam Rockwell nella solita parte del cazzaro, che, c’è da dire, gli riesce benissimo), il quale diventa per lui una sorta di mentore ‘strafumato’ e atipico padre putativo, mentre il film si trasforma in una versione puberale di Adventureland, in cui il più adulto twenty-something Jesse Eisenberg aveva già salutato l’adolescenza e si preparava a spaccarsi la testa nella maturità, con il cuore totalmente in balìa dei mezzi sorrisi sbilenchi di Kristen Stewart (qui l’interesse amoroso è la dolce AnnaSophia Robb, che ricordiamo insopportabile viziata nella Fabbrica di cioccolato e adorabile sognatrice in Un ponte per Terabithia).

Se in The Way Way Back (di nuovo, un titolo da non confondere col bruttissimo e manicheo The Way Back dell’un tempo grande Peter Weir) si riunisce la coppia di interpreti di Little Miss Sunshine Carell/Toni Collette, almeno per quest’ultima le dinamiche familiari con smorfiette-sorrisetti-frustrazioni annesse e connesse sono le stesse. Rockwell ha la fortuna delle battute migliori (“Le notizie inutili viaggiano veloci“, la canzone Holding Out for a Hero recitata mutandola in una sottospecie di sgangherata richiesta d’aiuto), mentre è un po’ sacrificata Maya Rudolph, capace di ben altro in altri lidi à la Sundance (vedi alla voce American Life del pur poco ben indipendente Sam Mendes).

La pellicola d’altronde ha tutte le caratteristiche del classico indie americano, con gli adulti che sono soggetti da manicomio (ma non troppo e mai troppo sopra le righe) e/o adolescenti impenitenti, con personaggi minori sfiziosi (come il bimbo dall’occhio “che distrae le persone”) e valida colonna sonora a supporto.
Ne risulta un prodotto tenero, un po’ titubante, grazioso senza essere superficiale, via via leggermente annacquato, con qualche azzardo registico (all’interno degli scivoli dell’acquapark si scelgono prospettive quasi da 3D, con steadycam in stile documentario realista). Sconta inoltre una parte finale un po’ imprecisa, ma si risveglia grazie ad un’ultima inquadratura che fa da spiraglio ad una soddisfacente speranza futura.



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