Francesco Piccolo è uno scrittore, giornalista e sceneggiatore: tra i suoi lavori più conosciuti spiccano le sceneggiatura di Paz!, Habemus Papam, Giorni e Nuvole, e Il Caimano. Collabora con l’Unità, insegna al DAMS, e ha scritto un buon numero di romanzi. A cinquant’anni, è un esempio praticamente perfetto di quella che in Italia si considera la categoria degli “intellettuali”, e per lo più “di sinistra”. Gli italiani hanno un rapporto conflittuale con la categoria: un ristretto numero di persone lo rispetta e lo segue, compra La Repubblica, L’Unità e altri quotidiani dell’area, ascolta Radio 3, guarda Rai 3, e frequenta festival e manifestazioni dove i nomi degli invitati si ripetono spesso. Questo micromondo è molto più piccolo di quanto possa sembrare: il numero di copie vendute per un quotidiano nel nostro paese è straordinariamente basso, almeno quanto il numero di persone che leggono libri nel nostro paese. La grandissima maggioranza dei cittadini italiani ignora il mondo degli intellettuali, e una minoranza sembra guardarlo con sospetto.

Piccolo ha recentemente pubblicato un libro autobiografico, Il desiderio di essere come tutti (Einaudi),  che racconta due cose: la sua vita, e la sua vita da militante di sinistra. La sua passione politica, nata dopo aver esultato per un gol della Germania Est ai mondiali del ’74, si espande con un rapporto mai del tutto convinto con i gruppi di giovani comunisti negli anni ’70, ed entra in crisi nel periodo che va dai piani per il compromesso storico e finisce con la morte di Aldo Moro, e quella di Berlinguer qualche anno dopo. La vita personale di Piccolo (famiglia, amori, amici, carriera) viene alternata al racconto dell’evoluzione della sinistra e dei suoi avversari. E nel corso del libro l’autore racconta il percorso che l’ha portato alla realizzazione di tutti i problemi e le ipocrisie del mondo di cui ha fatto parte per tutta la sua vita.

Tutti

Piccolo identifica il punto di svolta della sinistra moderna nella morte delle ambizioni di Berlinguer nel creare un ponte tra comunisti e Democrazia Cristiana, un momento in cui sembrava che la sinistra avrebbe smesso di fare opposizione e avrebbe cominciato a contribuire concretamente al governo del paese. Una volta saltata quella possibilità, Berlinguer decise di seguire una nuova linea di opposizione continua, che ha condannato la sinistra all’inseguimento di un’idea di purezza che, negli anni, è diventato un perverso gioco alla delega delle responsabilità, alla ricerca di nemici a cui scaricare le colpe dei problemi del paese. Piccolo racconta questo meccanismo con lucidità, ammettendo di esserne stato complice, anche se riluttante: gli intellettuali di sinistra sono stati per molto tempo la voce di questo sentimento purista, finanziato da un sistema culturale nel quale i finanziamenti pubblici hanno per decenni creato un’illusione di ricchezza anche in prodotti (quotidiani, libri, festival) il cui effettivo successo era sempre più limitato, ma che grazie all’aiuto di connessioni statali poteva mantenere l’illusione di essere rilevante.

C’è una tragica ironia in un gruppo di persone che dichiara di voler il bene dei più deboli, e passa decenni a costruire una barriera che li separi dal resto del mondo; guarda il quotidiano da dentro un palazzo di vetro, dentro il quale i membri possono dirsi uno con l’altro parole rassicuranti sul fatto che siano buoni, che siano i più buoni, nonostante non escano mai dal loro castello. Ora che quel castello sta crollando, è rassicurante vedere qualcuno dei suoi abitanti cominciare a capirne i connotati.

Berlingben

Anche se in maniera non dichiarata, questo libro parla del rapporto di un uomo con la Fede: la storia dell’Italia è la storia del suo rapporto con la Fede e con le diverse forme con cui si presenta (dalla chiesa al calcio al comunismo, passando per la famiglia). In Italia tutte le fedi che hanno avuto successo condividono un aspetto fondamentale: la delega. Così come il credente cattolico delega i propri peccati al perdono dei preti, il militante lo fa con il Partito, il tifoso alla squadra, o all’arbitro, o alla traversa, a seconda dei casi. Alla fine del suo percorso, Piccolo decide di smettere di far parte di questo meccanismo; di non permettere di lavare i suoi peccati firmando petizioni e raccolte di firme (l’equivalente “di sinistra” della confessione), e decide di prendere la responsabilità delle sue azioni.

Il libro di Piccolo è interessante per le sue analisi politiche, ma funziona soprattutto per la precisione con cui racconta il quotidiano, le memorie più intime, momenti piccoli ma importanti, descritti con grande efficacia e forza emotiva. Piccolo è un’ottimo narratore, e sa portare il lettore dentro le sue paure e vicino ai suoi sogni. Grazie a questo talento e alla lucidità delle riflessioni sul paese, i primi tre quarti del libro sono ottimi. La parte finale non funziona altrettanto bene, se non altro perché non è facile concludere una biografia di un uomo che si spera abbia ancora qualche decennio di storie da vivere e raccontare. Ma nonostante questo, Il desiderio di essere come tutti è un ottimo libro, che sta facendo parlare molto di sé in un momento in cui la sinistra sta attraversando un momento di forte cambiamento.

Alla fine della lettura, la sensazione è di liberazione, perché sembra che il discorso politico in Italia sia finalmente in grado di ampliare, lentamente, il proprio vocabolario, e che il ristretto circolo degli scrittori/intellettuali/commentatori nel nostro paese stia provando ad uscire dal suo guscio. Ma allo stesso tempo è difficile non restare con l’impressione che la lentezza dei riflessi di chi nel nostro paese faccia cultura non continui ad essere un problema enorme. Forse la lezione che le generazioni successive a quella di Piccolo possono prendere dal libro è quella di cercare di avere il coraggio delle proprie opinioni da subito; cercare di metterle in campo, anche a costo di essere coperti di ridicolo, ma con l’idea che il confronto e la produzione di nuove opere sia il cuore della cultura, più che la fedeltà alla linea.



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Emilio Bellu

Scrittore, cineasta, giornalista, fotografo, musicista e organizzatore di cose. In pratica è come Prince, solo leggermente più alto e sardo. Al momento è di base a Praga, Repubblica Ceca, tra le altre cose perché gli piace l'Europa.

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