«Mentre stiamo parlando il tempo invidioso sarà già fuggito. Cogli l’attimo, confidando il meno possibile nel domani.»

Avrete certamente riconosciuto uno dei più popolari versi di Quinto Orazio Flacco, proveniente dal primo libro delle Odi, noti anche come Carmi simposiaci: è il famigerato carpe diem, l’invito del poeta epicureo a cogliere, anzi rubare, il giorno e non confidare nel futuro. Un futuro che è spesso negato all’uomo dalla brevità della vita, un’inezia in confronto alla «pallida morte», il cui piede batte ugualmente alle case dei poveri ed ai palazzi dei poveri. Il rapporto tra la brevità della vita in confronto alla morte non è esclusivo appannaggio della filosofia epicurea: contemporaneamente si interrogarono su di essa anche i filosofi stoici, in particolare il decimo libro dei Dialoghi di Lucio Anneo Seneca, noto anche come De brevitate vitae, e successivamente divenne un tema fondamentale per l’intera letteratura occidentale. Per restare entro i confini nazionali citiamo il più famoso dei canti carnascialeschi, Il trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo de’ Medici:

«Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza.»

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Difficile immaginare dei riferimenti più lontani dall’ultima opera di Scott McCloud, autore e teorico del fumetto statunitense nato nel 1960 a Boston e vissuto a Lexington, Massachussets. Lo Scultore, pubblicato in Italia da Bao Publishing, rappresenta il ritorno alla scrittura del celebre studioso che, dopo aver intrapreso la pubblicazione di Zot! (Eclipse Comics, 1984 – 1990; edito sempre dall’editore milanese) e alcuni lavori minori per lo più ancora inediti nel nostro paese. David Smith è uno scultore che sembra destinato a dover abbandonare il suo sogno di vivere con l’arte. Dopo un breve exploit di popolarità è rimasto solo, perdendo famiglia, amici e mecenati, e senza denaro. Mentre festeggia tristemente il suo ventiseiesimo compleanno, incontra suo zio Harry. Dopo un affascinante dialogo, lo zio propone al nipote un patto faustiano: avrà il potere di plasmare liberamente la materia per duecento giorni, scaduti i quali morirà. David, disposto a tutto pur di poter lasciare un’impronta nell’arte e nella storia, accetterà senza indugio e senza riflettere sulle tragiche conseguenze dell’accordo.

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Abbandonando la commistione tra l’estetica della “golden age” e tematiche contemporanee che aveva caratterizzato le avventure di Jenny e Zot, Lo Scultore è una graphic novel più tradizionale che sembra voler porre in forma narrativa le domande che McCloud sollevava nei suoi saggi: in particolare emerge il rapporto tra l’autore e la realizzazione di un’opera, un atto che determina una separazione, un passo di allontanamento che crea un vuoto incolmabile tra le due parti. Non è un caso che questo si realizzi pienamente solo in due occasioni: un flashback in cui le “colpe” paterne, le aspettative di un uomo forse non soddisfatto dalla sua vita lunga ma ingloriosa, sono fatte ricadere sul protagonista e nell’ultima istanza dove, con una rappresentazione della maternità, la separazione tra il bambino e la madre diviene metafora di quella divisione fisica ed etica che intercorre tra l’autore e l’opera compiuta. Sfortunatamente questi momenti sono raggiunti attraverso una narrazione tumultuosa, quasi preoccupata dal dover caricare il lettore di aspettative ed offrire molteplici chiavi di lettura dell’opera. In quest’ottica, che prevede un necessario approfondimento dei personaggi, emerge solo la figura dello zio Harry: ogni dialogo tra di lui e il nipote prevede un ideale duello epico tra una vita lunga ed ingloriosa e una vita breve, ma gloriosa. Uno scontro che è reso più vivace e vivido dal tratto dell’autore e soprattutto dall’ambiguità della figura dello zio, figura che riunisce in sè gli archetipi del guardiano della soglia, del mentore e del mutaforma, spesso ricordando all’avventato protagonista il peso della propria scelta. L’eccessiva volubilità e distrazione di David vorrebbero sottolineare la normalità del personaggio, la sua incapacità di comprendere che la vita ha ancora valore e che, se avesse davvero una dote artistica, forse non si sarebbe arreso così in fretta e non avrebbe accettato un dono così terribile.

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La trama si dipana nel corso di quasi cinquecento pagine la cui edizione è curata con estrema attenzione da Bao Publishing, che mantiene la qualità dell’originale statunitense l’ottimo e lo presenta ad un prezzo equo – ricordo che McCloud ha lavorato esclusivamente in digitale, come lascia intravedere un’eccessiva pulizia del tratto (talvolta volutamente ‘sporcato’) e una certa vuotezza degli sfondi. Nel complesso la vicenda sembra protarsi per un numero di pagine eccessivo che, oltre che distrarre il lettore, non sembra sfruttato adeguatamente: alcuni personaggi piuttosto interessanti (e le cui influenze hanno un discreto peso su quanto accade nella vicenda) non riescono a ricevere la dovuta attenzione e si ha la sensazione che l’autore fosse persino ‘preoccupato’ di dare un senso più profondo alla propria opera. Sfortunatamente è difficile apprezzarne il messaggio finale. Alla luce dell’ultimo colpo di scena e delle ultime pagine del racconto, si ha la sensazione che l’intera storia abbia un’eccessiva carica moralistica che richiami una visione del tempo come ingegno continuo, non-otium negato: David riceve la possibilità di agire, ma non lo fa perché non vuole (o non si rende conto che dovrebbe) farlo. Se da un lato questo dà adito a un’interessante interpretazione, che muove una critica alla concezione contemporanea del tempo come un eterno presente e dell’opera d’arte come performance temporalmente determinata (e spesso caduce, destinata a deperire), d’altro canto è difficile compatire pienamente un protagonista che, nonostante gli ammonimenti e la collaborazione della maggioranza, agisce in maniera inconvulsa proprio a causa della mancanta conoscenza di sé – una qualità ribadita sin dalle origini della filosofia occidentale e che richiede proprio l’otium per poter essere raggiunta.

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La riflessione mossa da Scott McCloud ricade in un circolo vizioso che trova nella contrapposizione manichea tra vita breve e tranquilla due soli esiti: l’estremo sacrificio, accompagnato dalla capacità di abbracciare una fine prematura, o una fragile tranquillità in cui l’esser vivi necessita di una prova precisa, un’affermazione che, anche nell’impossibilità di vedere e toccare, ribadisca che «sei vivo». Un traguardo piuttosto banale e semplicistico per un’opera che si protrae eccessivamente, tentando di arricchire un sostrato di riflessioni che distrae il lettore e diluisce eccessivamente il compiersi della storia. Anche questa visione di un’inevitabile fato, a cui ogni personaggio sembra essere sottoposto (compreso zio Harry) sembra non considerare secoli di riflessione filosofica, risolvendosi in una ‘inevitabilità’ deresponsabilizzante ed eccessivamente indulgente verso gli errori di David. Un’artista troppo intellettuale, uterino, come l’opera di cui è protagonista: forse McCloud deve riuscire a liberarsi, allontanarsi dalla teoria, per poter riconquistare quella ‘techne’ di cui Lo Scultore manca.



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Dario Oropallo

Ho cominciato a leggere da bambino e, da allora, non ho mai smesso.

Anzi, sono diventato un appassionato anche di fumetti, videogiochi e cinema: tra i miei autori preferiti citerei M. Foucault, I. Calvino, S. Spielberg, T. Browning, Gipi, G. Delisle, M. Fior e S. Zizek.

Vivo a Napoli, studio filosofia e adoro scrivere. Inseguo il mio sogno: scrivere.

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