Qualche tempo fa, a seguito di una pungente intervista, Simon Pegg – spassoso protagonista della ben nota Trilogia del Cornetto diretta da Edgar Wright – aveva lamentato qualche preoccupazione circa gli effetti della cosiddetta nerd culture (o geek colture), sostenendo che l’eccessiva attenzione per alcuni prodotti di intrattenimento avesse in qualche modo instupidito le masse e, di rimbalzo, svilito una produzione culturale sempre più intenta ad assecondare le esigenze “infantili” dei fruitori.
A quelle parole i primi a mobilitarsi erano stati proprio quei fan delusi che, sulla base dei film scelti e interpretati da Pegg, avevano etichettato l’attore come un autentico paladino della cultura nerd, un complice attivo, un amico al quale affidare le proprie serate davanti allo schermo, contestando le sue invettive senza prendersi il tempo necessario per valutarle attentamente.
D’altra parte, coloro che di Pegg avevano sempre avuto una scarsa o nessuna conoscenza, contrariamente ora si trovavano a condividere e rilanciare i suoi timori, sconsacrando gran parte della cinematografia di genere più recente e rimpiangendo l’audace produzione che aveva caratterizzato l’ondata cinematografica targata anni Settanta (che rappresenta un po’ il jolly negli annosi dibattiti tesi a stabilire la presunta qualità cinematografica). Insomma, Pegg ha lanciato una provocazione e coloro che l’hanno raccolta hanno dimostrato di volerlo fare non tanto per occuparsi della questione, ma per schierarsi nel caso di un’imminente guerra d’opinione.
Che cosa ci sia di fondato o infondato, di creduto o solo supposto, nelle parole di Pegg non è dato saperlo, ma che questa sia l’era dei secchioni irriducibili è abbastanza lampante. Siamo di fronte alla concretizzazione di quella brama egemonica timidamente accennata ed edulcorata ne La Rivincita dei Nerds (Jeff Kanew, 1984). Dopotutto, chi altri avrebbe potuto raccogliere lo scettro del potere nel secolo della convergenza digitale se non proprio quelli che, sul pc, avevano investito tempo, denaro e passione? Di conseguenza, colonizzati nel gusto dalla nuova casta di secchioni, molti hanno finito per fare proprie le loro abitudini (la binge fruition), le loro idiosincrasie (la fobia dello spoiler), le loro deformazioni (la catalogazione ossessivo-compulsiva) e naturalmente la loro somatizzazione (la fanart).
Se c’è un problema – che poi è quello che, con tutta probabilità, denunciava Simon Pegg – non consiste tuttavia nell’affermazione e nella diffusione della nerd culture, ma piuttosto nel tipo di ricezione che le masse hanno della produzione culturale tout court e che, nella maggior parte dei casi, non risponde a un autentico desiderio di comprensione e appropriazione (tipicamente nerd), ma piuttosto a un’acquisizione schematica, mimetica e superficiale che soddisfi desideri altri (omologazione e accettazione sociale per lo più). E questo vale per tutti coloro che, appunto, non hanno mai avuto intenzione di investire tempo, denaro e passione in certi “passatempi”, tendendo piuttosto a centellinare ogni risorsa e, soprattutto, a millantare precisi benefici.
Il punto, allora, non è tanto la pervasività di una produzione di stampo nerd che rincretinisce le genti, ma la ricezione di massa – a dire il vero sempre uguale a se stessa – distratta e contratta, che si lascia più facilmente sedurre dall’apparente semplicità di certa produzione, facendone un uso quasi esclusivamente consumistico, ma che non disdegna (quando può) anche realizzazioni più “colte”… Pegg cita come esempi di nobiltà e profondità film come Il Padrino (Francis. F. Coppola, 1972) e Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976), ma possiamo davvero sostenere che l’alta considerazione – quasi unanime – di cui godono questi film non dipenda anche da una quiescenza di massa, una ricezione approssimativa e una lettura sommaria al pari di quelle dimostrate per buona parte del cinema mainstream? E’ la vanificazione, nel dibattito popolare circa l’attuale produzione culturale, la prima (ma non l’unica) risposta ai numerosi prodotti che arrivano sul mercato cinematografico e non può essere solo questa il metro più consono per formulare una stima precisa di ciò che è utile e di ciò che è inutile, di ciò che degrada o meno il gusto e la domanda del pubblico.
Pertanto, prendere sul serio The Avengers (Joss Whedon, 2012) non dovrebbe sembrare più indecoroso della considerazione riservata per Taxi Driver, così come desiderare l’action figure di Travis Bickle a petto nudo con indosso una fondina non dovrebbe creare sensi di colpa nel cinefilo più snob. Oltretutto, fare una stima della presunta stupidità dei prodotti culturali richiede la stessa mole di studio e di lavoro investite nell’assegnazione della discutibile garanzia di qualità. Per cui, buon divertimento a tutti!
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Grazie!
Io, in quanto considerevolmente anziano, ho vissuto sia l’era in cui i geek/nerd erano effettivamente degli sfigati e vivevano chiusi nel loro piccolo fortino inespugnabile, isolati e scherniti dal mondo esterno e quella odierna, in cui dominano il mondo. Direi che entrambe le ere sono caratterizzate da vantaggi e svantaggi. Riconoscersi a vista, scoprire che un estraneo aveva le tue stesse passioni era un’epifania, ma procacciarsi il pane quotidiano (informazioni, strumenti, etc.) costava una fatica immane; oggi si dà per scontato che la maggior parte delle persone della propria generazione conosca i “codici” mediatici, linguistici e comportamentali dei nerd/geek/hipster/sarcazzo e tutto, ma proprio tutto è a portata di click. Giocare con le citazioni è diventato la norma, non l’eccezione, quindi l’effetto WOW si è irrimediabilmente perso. Quello che non avrei mai pensato, ai tempi, ed è una cosa di cui ancora oggi non mi capacito, è la iper-reattività di una parte consistente dell’universo nerd che davvero pare essere costituita in larga parte da cloni del titolare del negozio di fumetti dei Simpson. L’allarme che lanciato Pegg da non lo ritengo inopportuno, anzi. Quelli della mia generazione hanno dovuto confrontarsi comunque con un fondamenta”classiche” (letteratura, musica, tecnologia analogica, etc.) che ritengo ancora fondamentale per la crescita individuale. Una conferma di ciò è il livello culturale infimo che stanno dimostrando i geek di seconda (o terza) generazione: youtubbers che campano di cazzate, blogger incapaci di costruire frasi sensate, persone che rifiutano aprioristicamente tutto quanto prodotto prima del 1982. Ecco, direi che questa è la deriva più preoccupante, considerando anche il fatto che non passa giorno in cui la comunità geek non dà prova di essere soggetta ad enormi limiti mentali e comportamentali (troll, sessismo a iosa, analfabetismo funzionale, etc.etc.).