Enzo Ceccotti, un ladruncolo che vive nella periferia romana, viene a contatto con una sostanza che lo rende invincibile e dotato di una forza sovrumana. Inizialmente pensa di sfruttare questi poteri per agevolare la sua attività criminale, ma cambia idea quando incontra Alessia, una ragazza orfana e svalvolata che crede che Enzo sia l’incarnazione del celebre Jeeg – Robot d’acciaio. La vita dei due è però minacciata dallo Zingaro, un piccolo ma feroce boss che vuole ottenere i superpoteri per mettere Roma a ferro e fuoco…

Il complimento più sincero che si può fare a Lo Chiamavano Jeeg Robot è che non sembra un film italiano. E’ girato al costo di un tozzo di pane secco e un po’ acqua, ma mostra eccelsi valori produttivi; ha un cast composto prevalentemente da semisconosciuti, ma tutti recitano alla grande; è girato nella periferia di Roma, ma potrebbe essere quella di una metropoli di qualsiasi altra parte del mondo; ha uno script agile e immediato, ma capace di insinuarsi sottilmente nel cuore e nella mente dello spettatore, sembra un film ispirato ai film sui supereroi ma è un film di supereroi, a tutti gli effetti.

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Gabriele Mainetti non finge e non simula: Roma è Roma, il dialetto è romano, la quotidianità è quella squallida di una periferia abbandonata a sè stessa. La prima grande idea è relativa al contesto: la città, che subisce attacchi terroristici di non precisata natura, ha bisogno di un eroe che, come tradizione vuole, sarà il personaggio più improbabile. Il cavaliere ha sempre una dama da salvare, che anela un vestito da principessa e intanto si ingozza di yogurt e fantastica di eroi giapponesi degli anni ’70. Il buono ha bisogno di una nemesi credibile, un supercattivo con la fissazione della pulizia, ultraviolento e magari con un trascorso a Buona Domenica e tanti sogni infranti risposti in un cassetto. Ecco la seconda buona idea: calare tutti i topos classici del genere in un contesto italiano, romano, unico nel suo genere e risultare perfettamente credibile, arricchendolo con alcuni veri colpi di genio (i graffiti cittadini, la scelta delle canzoni e delle location).

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Poi c’è il cast, che ci mette del suo. Santamaria, forse anche grazie al suo “understatement” naturale, è perfetto nell’incarnare l’eroe schivo, confuso, solitario e misantropo redento. Le due grandi sorprese sono la brava Ilenia Pastorelli, una ex concorrente del Grande Fratello (per la serie: come trovare il diamante grezzo nella miniera di carbone…) all’esordio sul grande schermo, che anima un personaggio che riesce miracolosamente a mantenere una sua coerenza narrativa e funzionale dal primo all’ultimo minuto e l’eccezionale, pazzesco Luca Marinelli che conferisce ironia e spessore ad uno dei “villain” più godibili della storia del genere superoistico. Il suo “Zingaro” è assolutamente strepitoso e la caratterizzazione dell’attore perfetta: un po’ Alex de Large, un po’ Joker, un po’ borgataro incazzato (a ragione…) col mondo intero.

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Lo Chiamavano Jeeg Robot è un film importante per molte ragioni: metriche, narrativa, transizioni, capacità di muovere la macchina da presa e utilizzare un linguaggio fresco, moderno e creativo sono tutti elementi che nel cinema nostrano non si vedevano da un pezzo o non venivano adeguatamente valorizzati. Non è perfetto, ma è il film di cui il cinema italiano aveva bisogno in questo momento. Resta ora da compiere l’ultimo gesto, questo davvero da super-eroe: convincere il pubblico nostrano che anche opere come queste meritano di esistere: noi restiamo tutti con te, perche’ tu, tu sei Jeeg!!!



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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1 Comment

  1. spero di vederlo al più presto

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