Quando nel 1999 nelle sale uscì Wild Wild West, Will Smith era una sorta di Re Mida che, musicalmente, sul grande schermo o su piccolo schermo trasformava in oro (letteralmente, visiti i risultati ottenuti anche da questa pellicola al box office) tutto ciò che toccava. Da Willy, il Principe di Bel Air, la sua rampa di lancio, non lo ha più fermato nessuno. Barry Sonnenfeld, dal canto suo, portava in dote due film sulla famiglia Addams, l’irresistibile Get Shorty e il grandioso Men in Black, che con Bad Boys (1995) completa un ipotetica triade delle meraviglie di Smith degli anni ‘90. Poteva forse andare male qualcosa? Qualcosina sì. Ma non tanto come hanno voluto far credere.

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Sonnenfeld parte da un genere tanto caro agli Stati Uniti, il western, prendendo ispirazione da una serie tv degli anni ‘60, The Wild Wild West (“Drop the ‘the’ ”, citando Justin ‘ Sean Parker’ Timberlake in The Social Network), demolendone i personaggi (che, di fatto, conservano solo i nomi) e rivoluzionandone la storia, dando vita ad uno script scriteriato e scanzonato, ma tremendamente divertente. Ricapitolando: Will Smith è lo sceriffo (nero! Ringraziando Mel Brooks) che spara prima di interrogare i sospettati, Kevin Kline è sia Artemus Gordon, agente speciale fissato con la tecnologia, che il presidente degli Stati Uniti, Kenneth Branagh è il perfido e mutilato Loveless e la bellissima Salma Hayek è Rita Escobar, che accompagnerà, facendoli innamorare, West e Gordon alla ricerca di Loveless.

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Che non si tratti di un film da Academy Award risulta abbastanza palese, ma va detto che Wild Wild West possiede tutte le caratteristiche ricercate dal grande pubblico: esplosioni, azione, un eroe scanzonato e una co-protagonista che “ha veramente un gran sedere… Da un punto di vista squisitamente botticelliano”, s’intende. Sonnenfeld riesce a combinare questi elementi amalgamandoli con un ritmo sostenuto e sempre gradevole, portando il western nel territorio steampunk, tralasciando qualche caduta di stile che ad un blockbuster movie si può anche perdonare.

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A Sonnenfeld interessa poco della coerenza narrativa, della sospensione dell’incredulità, di qualsivoglia tentativo di realismo: il desiderio era far spegnere il cervello al pubblico e a conti fatti, effetti visivi e sequenze d’azione a parte, a funzionare è la coppia Smith-Kline, premiata infatti con un ambito Razzie Award (uno dei 5 vinti su 9 candidature, un trionfo): due opposti complementari che riescono a risultare esilaranti a più riprese, sfociando spesso nel grottesco e nel demenziale, volontariamente o meno, ma non per questo risultando meno efficaci. Litigano per tutto, i due: per chi sia più furbo, per chi sia più forte, per le attenzioni della splendida Rita, ma sempre nei limiti del politically correct, sapendo che un accordo alla fine si riuscirà a trovarlo. La colonna sonora è firmata dallo stesso Smith, con l’omonima Wild Wild West come canzone di punta: il suo rap per bene e sempre allegro aderisce in maniera funzionale alle atmosfere del film, di cui, nei fatti, costituisce la ciliegina sulla torta dei titoli di testa.

Alla regia avrebbe originariamente dovuto esserci Richard Donner ed il ruolo di James West era stato proposto a Mel Gibson. Onestamente risulta difficile immaginarseli. Senza Will Smith non sarebbe stata la stessa cosa.

Previously, on Players

I LOVE THIS SHIT! VOL.1 – INDEPENDENCE DAY



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