Per la casa editrice Le lupe è un romanzo sulla vendetta, mentre a sentire certi giornali sarebbe un libro che mette il dito sulla piaga dolorosa della brutalità delle forze dell’ordine. Secondo l’autrice invece racconta una storia di amicizia.
Sì e no.
Perché se è vero che tra le pagine del romanzo d’esordio di Flavia Perina – giornalista, già direttrice de Il Secolo d’Italia – troviamo il desiderio di vendetta, la ferocia insensata di un drappello di poliziotti e il conforto e la complicità delle amiche di un tempo, è pure vero che questo romanzo è soprattutto il racconto preciso e puntuale dell’elaborazione di un lutto.
E il vuoto incolmabile, incomprensibile, assurdo, di un genitore che perde improvvisamente il proprio figlio –dopo appena sei righe apprendiamo che per Carlo Livi sono “le due di pomeriggio del suo ultimo giorno di vita” – è il tema principale di questo libro.
Poco importa di chi sia la responsabilità: Carlo Livi potrebbe essere stato investito da un pirata della strada o scivolato su una macchia d’olio e il risultato sarebbe lo stesso.
Alla protagonista del romanzo – Flaminia, media borghesia romana, benestante, madre di due ragazzi, separata e vedova – il destino strappa, subito, nelle prime pagine, il figlio diciottenne appena uscito di casa in motorino per andare a comprare le sigarette.
Un destino incarnato da un casco giallorosso indossato per caso, da tafferugli di tifosi romanisti davanti allo stadio e dalla mano pesante di poliziotti in servizio d’ordine.
La tragedia si consuma nelle prime quattro pagine del libro e in quell’istante ci si apre davanti il vuoto che accompagnerà Flaminia per il resto del romanzo.
Ed è a questo punto che entrano in scena i comprimari di cui si diceva all’inizio, primo fra tutti un sistema giudiziario che non riesce neanche a promettere la possibilità di una giustizia giusta. Ecco allora che per Flaminia arriva, ineluttabile, il momento di prendere in considerazione l’eventualità di una vendetta consumata ancora calda.
Ma è soprattutto l’occasione per riscoprire – sotto i panni della buona madre di famiglia, indossati per convenzione sociale – il furore, le energie e le amicizie degli anni giovanili, relegati in un angolo ma mai, evidentemente, sopiti.
Flaminia scava allora nel suo passato – con lucidità, freddezza e autoconsapevolezza – per riappropriarsi del presente. Lascia da parte le incombenze, le lacrime – la figlia, persino – per riallacciare dei fili e dei rapporti abbandonati anni prima e ricostruirsi la possibilità di un futuro.
La militanza nell’estrema destra di Flaminia e delle sue amiche – che nel tempo hanno preso strade diverse – è lo sfondo, raccontato senza retorica e senza moralismi, su cui si muovono i protagonisti di questa storia. E Flavia Perina ci accompagna nel viaggio della sua protagonista con una padronanza della narrazione che sicuramente le deriva dalla pluriennale esperienza di giornalista e dall’urgenza di narrare una vicenda allo stesso tempo attuale e archetipica.
Lo stesso titolo, Le lupe, richiama infatti – lo ha ricordato la stessa autrice in occasione di una presentazione organizzata a Latina dall’associazione Magma – da una parte quel senso di gruppo di combattimento che caratterizzava, e caratterizza ancora, le amiche di un tempo, ma mette in evidenza il sentimento di protezione verso i propri cuccioli che è la molla che spinge Flaminia all’azione. E i lettori all’empatia, potremmo anche dire.
Le lupe è un romanzo scarno, asciutto, affilato. Arriva dritto al punto – che non sveleremo – in meno di duecento pagine e suscita nel lettore una serie di stati d’animo potenti e incontrollabili. Rabbia, senso d’ingiustizia, desiderio di vendetta, complicità e, su tutti, un’enorme commozione nelle pagine in cui il vuoto creato dalla scomparsa di Carlo Livi – evocato dai gesti quotidiani, abituali, della sorella, della madre, degli amici e compagni della squadra di rugby – diventa tangibile e insopportabile. Flavia Perina, come detto, maneggia nel suo romanzo d’esordio, tutto questo materiale con notevole personalità e autorevolezza.Non rimane che aspettare che inizi a raccontarci un’altra storia.
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