La vita scorre tranquilla sull’Isola delle Amazzoni, celata al mondo da una fitta coltre di nebbia, dove le guerriere create da Zeus trascorrono il tempo allenandosi e forgiando il carattere della giovane Diana, la più forte tra loro. Un giorno, un biplano comandato dal giovane pilota americano Steve Trevor precipita sull’isola e porta con sè la notizia che altrove infuria una Grande Guerra. Diana decide quindi di abbandonare l’isola e unirsi all’uomo per fermare il conflitto…

Rispetto a Marvel, che corre solitaria verso il traguardo, la squadra DC sembra composta da staffettisti che hanno perso maldestramente il testimone e cercano, senza riuscirci, un inseguimento impossibile. Anche Wonder Woman infatti, come tutti i film che l’hanno preceduta, soffre a causa di un peccato originale: l’assoluta mancanza di pianificazione e strategia e di un nesso causale che leghi assieme le diverse opere di questo problematico universo.

Così, dopo averla vista apparire dal nulla in Batman V. Superman, stavolta Diana racconta al pubblico le sue origini, durante un incipit tedioso e un po’ pasticciato. La svolta, per lei e per gli spettatori, ha le sembianze del simpatico Steve Trevor, che la porta nella cupa Londra di inizio secolo per combattere la Prima Guerra Mondiale. Qui finalmente lo script di Geoff Johns e Allan Heinberg inizia a mostrare un po’ di autoironia (merce rara nei film DC), che rende la parte centrale del film decisamente più godibile, appassionante e divertente. Mischiando azione ed avventura, epica e umorismo, Wonder Woman pare arrivare sano e salvo fino alla fine, salvo purtroppo inciampare in una mezz’ora finale un po’ troppo kitsch e alquanto deludente sotto il profilo tecnico (con i peggiori effetti speciali visti da un bel po’ di tempo a questa parte).

Wonder Woman conferma inoltre una curiosa peculiarità tipica di questo sottogenere cinematografico: riuscire ad appiattire ogni velleità registica, indipendentemente da chi si trovi dietro alla cinepresa. Stavolta tocca a Patty Jenkins (che a ben vedere dopo l’acclamato Monsters del 2003 non ha combinato più nulla di significativo al cinema) che propone una direzione assolutamente ordinaria, senza guizzi nè particolari idee, pavida e poco stimolante, che si adegua ad un trend consolidato da anni. Il focus è ovviamente sui protagonisti e relativi interpreti e stavolta Gal Gadot (bellissima, ma che come “Amazzone” ha una credibilità pari a zero, troppo longilinea ed elegante) convince, ben supportata dall’ottimo Chris Pine, che per una volta si ritaglia il ruolo di spalla/sodale, senza rinunciare ad un breve romance che qui, almeno, ha più senso che altrove.

In un ideale confronto con un altro film superoistico ambientato durante una Guerra Mondiale, il primo Captain America, Wonder Woman chiude i conti in parità, ma la folle policy distributiva scelta da DC continua a costringere gli spettatori a passare di palo in fresca, con personaggi, situazioni e villain proposti senza un ordine e un senso compiuto. Così Wonder Woman fatica a fungere da gancio narrativo per il prossimo Justice League e come opera stand alone si accontenta di finire nella categoria “senza infamia e senza lode”. Un film che intrattiene ma non lascia traccia, insomma, frase questa che negli ultimi tempi ci troviamo a dover utilizzare un po’ troppo spesso…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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