Resta la polvere affronta grandi domande universali sull’essenza dell’uomo e sul suo rapporto con la natura, eppure il quesito che più ostinatamente continuo a pormi dopo aver letto questo splendido romanzo è piccolo e meschino. Perché un’insegnante universitaria di Nanterre ha deciso di scrivere un libro così brutale, ambientato tra gli allevatori di bestiame della Patagonia?

Sandrine Collette, classe 1970, ha iniziato la sua carriera dalle parti del thriller con discreto successo di critica e pubblico. Poi all’improvviso scaglia un fulmine sul mercato letterario francese, un romanzo che ha un’ambientazione western e il respiro grandi classici europei e americani che mettono al centro le meschinità umane: Resta la polvere travolge il pubblico francese, vendendo 170mila copie. In Italia a proporre per la prima volta l’autrice è e/o, ma l’impressione è che tra un accostamento a Faulkner lì e uno a McCarthy qui, il rombo di questo tuono sia rimasto nel sottofondo del chiacchiericcio letterario italiano.*

Il ribaltamento è curioso, perché solitamente la sottoscritta è l’alfiere di tutta quella letteratura di genere trascurata in favore di una sequenza infinita di storie di umanità meschina e natura selvaggia. Resta la polvere però è vergato con uno stile così magnifico che basta l’apertura del romanzo per rimanere sotto il suo giogo. Non è un rapporto facile, incurante com’è il romanzo delle inclinazioni naturali del suo lettore, tanto quanto lo sono i fratelli di Rafael alla sua incolumità, mentre lo sottopongono a dolorose, pericolosissime vessazioni al galoppo dei loro criollos, strappazzando un piccolo di soli 4 anni.

Le angherie nei confronti del Piccolo costellano il romanzo, tant’è che dal suo ruolo di vittima sacrificale di famiglia Rafael riesce a uscire solo a tratti e solo ripagando con la stessa moneta di crudeltà e indifferenza i tre fratelli aguzzini e una madre durissima e dispotica. Privato di ogni dolcezza dalla vita greve e sfiancante che conduce e dalla mancanza cronica di affetto che regna nell’estancia, il Piccolo prova vero attaccamento solo per i cani pastore e per il suo cavallo, prolungamento del suo corpo e del suo spirito nelle interminabili cavalcate al chiaro di luna. Cavallo e cavaliere vagano in un deserto lunare morti di stanchezza e sonno, dimentichi dello scopo originario di queste passeggiate notturne (la vendetta e la violenza, i veri motori del romanzo), con gli zoccoli imbotti per non far rumore e una stoffa sul viso per proteggersi dal biancore lunare, anche quello in grado di ferire.

Di queste immagini di natura durissima e selvaggia elevata a bellezza primordiale il romanzo è ricolmo, così come di colpi di scena e rivelazioni dure come gli schiaffi che Rafael riceve quotidianamente. Resta la polvere però non cade davvero mai nel giochino letterario e deprecabile dell’utilizzare le disgrazie dei più miserabili per mettere in luce il proprio talento.
Anzi, nel raccontare la lotta per la sopravvivenza di un piccolo allevamento familiare – strozzato dai grandi allevatori di bestiame della pampa e dall’orgoglio che impedisce di vendere gli ultimi manzi e dedicarsi al più redditizio e semplice allevamento di pecore da lana – Collette ci ricorda continuamente che non è semplice comprendere l’origine della meschinità dei suoi protagonisti. I quattro fratelli e la madre vivono in una dimensione di infelicità assoluta, ma l’estancia massacrante e squallida è anche l’unico luogo sulla terra a cui sentano di appartenere. Tutti i familiari sono al contempo prigionieri e carceri delle reciproche vite, incapaci di concepire un’esistenza diversa.

La malvagità è connaturata all’uomo o frutto della durezza imposta dall’ambiente circostante? Uno degli aguzzini di Rafael, estratto a forza dal suo contesto, svilupperà molto in fretta un’umanità insospettabile, mentre proprio il Piccolo sarà incapace di cogliere l’enorme opportunità che si ritroverà per le mani di lasciare famiglia e miseria alle spalle. Pur avendo modo di scoprire le bellezza e la ricchezza del mondo oltre l’estancia, Rafael si rivelerà il suo autentico figlio e guardiano, in una sorta di chiusura ascetica e catartica, non prima però di aver ottenuto la sua vendetta sui familiari accecati dalla cupidigia e dall’invidia.

Resta la Polvere è una galoppata a rotta di collo nell’animo umano, in cui l’eleganza dello stile di Collette ricorda il naturale portamento principesco e potente dei cavalli selvaggi. C’è solo un momento in cui questa sorta di sventurata cronaca familiare lascia intravedere il delicato lavoro di costruzione di un romanzo, la sua natura meditata e artificiale. Nell’introdurre l’elemento che darà una svolta alla seconda parte del romanzo, Collette calca un po’ troppo la mano e finisce quasi per creare un McGuffin volto ad esasperare ancora di più la tensione tra i personaggi.

In un romanzo tanto tumultuoso e forte è normale rimediare qualche graffio, che però non intaccata la bellezza palpitante di una lettura il cui sentore di selvatico e selvaggio rimane nel cuore e nella mente a lungo.

*Ma anche tu l’hai accostata a Faulkner nel titolo, direte voi, il problema è che cliccate solo dietro accostamento ad affermato scrittore americano e maschio, rispondo io con una punta di disperazione.

Disclaimer – L’editore ha fornito una copia del romanzo a titolo gratuito in cambio di un’onesta recensione, quella che avete appena finito di leggere.



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