Napoli e la camorra senza toni cupi e lugubri. Anche a Scampia si canta e si balla, e per un gruppo di turisti americani farsi scippare nel quartiere più pericoloso della città può diventare un’esperienza elettrizzante, da raccontare. Perché, pare, oggi a vendere sono soprattutto paura e l’orrore, anche nel turismo.
Allora è meglio riderci su, sembrano suggerire i Manetti Bros., come vogliono farsi chiamare Marco e Antonio. O forse usare gli stereotipi sulla criminalità campana per far divertire. Perché si sa che il grottesco, quanto a risate, paga spesso.
Ciro (Giampaolo Morelli) è una delle due “tigri” che vegliano sul boss don Vincenzo (Carlo Buccirosso) e su sua moglie Maria (Claudia Gerini). Come Benigni ha già insegnato con Johnny Stecchino, il boss in pericolo – per sparire – pensa di far uccidere un ignaro sosia che ha la sfortuna di somigliargli troppo. E qui ci riesce anche. Ma quando un’infermiera (Serena Rossi) per caso vede vivo chi dovrebbe essere morto le cose si complicano: è l’amore di gioventù di Ciro che, nonostante sia dovuto scappare dopo l’omicidio del padre per diventare un sicario, non l’ha mai dimenticata. E che, piuttosto che fedeltà al clan, sceglie l’amore.
L’infilata di gag alterna dialogo e musical, con numeri tutti rigorosamente cantati dagli interpreti. Azione, commedia, humor nero nella Napoli di Gomorra che fa prevalere l’anima vitale e verace al plumbeo pessimismo.
E allora via col valzer della presa in giro dei luoghi comuni, con la napoletanità scanzonata in cui la moglie del boss, nata serva, vendica le umiliazioni domestiche fatte ai più deboli; in cui l’eroe con una sola arma può far fuori nemici a manciate; in cui i segreti – per quanto rinchiusi in una panic room sui generis – alla fine sfuggono inevitabilmente di mano.
Ammore e malavita, terzo film italiano in concorso a Venezia che sbarcherà nelle sale il 5 ottobre, gioca a carte scoperte e senza pretese. Anche nella parodia: le strizzate d’occhio, esplicite e sarcastiche, non mancano, da Grease a 007 fino a Thriller di Michael Jackson. Ovviamente, sempre in salsa napoletana. Perché, in definitiva, la città con la sua disordinata irruenza finisce per diventare uno dei protagonisti del film.
Certo, l’assurdo e il contrasto sono la strada più facile per arrivare alla risata. E i Manetti sono diretti, toccano le corde dell’umorismo più classico giocando con l’abbinamento degli opposti – la morte e il pericolo cantati e maneggiati come una sceneggiata. Senza contare che la durata (133’) risulta leggermente sbilanciata, rendendo a tratti i numeri musicali troppo lunghi e poco utili, per quanto divertenti.
Eppure, soprattutto alla Mostra di Venezia dove spesso i drammi piovono dallo schermo come macigni, farsi seppellire da una risata può essere liberatorio e salutare.
La stampa, alle anteprime del mattino, ha riso parecchio, applaudendo un’ilarità che, senza freni, diventa ancora più efficace. Acqua fresca per il cervello, più di due ore di piacevole e, nonostante tutto, garbato intrattenimento. Perché Ammore e malavita non è mai sguaiato. In più, il cast è in formissima: Morelli regge il gioco dimostrandosi anche autoironico, Buccirosso resta esilarante, la Gerini è una bomba di frizzante comicità, Serena Rossi ha una vocalità da applauso.
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