Non è solo l’ennesimo gruppo di youtuber che tenta la via del cinema e lo si capisce a pochi minuti dall’inizio di Addio Fottuti Musi Verdi, il loro esordio sul grande schermo. Tra montaggi citazione di Edgar Wright ed effetti speciali da cinema di genere di livello, i The Jackal non lasciano davvero nulla al caso.
D’altronde non sono un gruppo di ragazzini nelle loro camerette – l’immagine con cui certa stampa ama ritrarre e liquidare l’intero fenomeno youtube – bensì una casa di produzione cinematografica indipendente fondata nel 2006. In questi 10 anni hanno raggiunto il successo con le loro parodie di Gomorra e le loro web series come Lost in Google, ma si sono occupati anche di spot, videoclip e altre produzioni pensate per il mondo online.
La loro sfida cinematografica trabocca di ambizione e coraggio: arrivare al cinema sì, ma non con la solita commedia italiana. Addio Fottuti Musi Verdi infatti è la tragicomica odissea nello spazio di un giovane grafico napoletano alla disperata ricerca di un impiego dignitoso. Nel tentativo di superare la classica commedia all’italiana e l’immagine stereotipata di Napoli, il film diventa un prodotto davvero raro nel panorama cinematografico italiano per genere, cura produttiva e contemporaneità.
Ho incontrato il regista Francesco Ebbasta (Francesco Capaldo), il produttore Vincenzo Piscopo e gli interpreti Ciro Priello, Simone Ruzzo, Fabio Balsamo e Alfredo Felco per conoscere più da vicino una delle realtà più fresche delle produzioni cinematografiche e web italiane.
Come è nata l’idea di Addio Fottuti Musi Verdi?
FE – L’idea per Addio Fottuti Musi Verdi è nata qualche anno fa. Ci ha ispirato il viaggio di un nostro amico alla volta di Londra in cerca di lavoro: ci siamo chiesti chi di noi avrebbe accettato di lasciare la propria città per realizzarsi, ci abbiamo ricamato molto sopra. Alla fine l’estero è diventato lo spazio.
La fantascienza invece deriva dalla nostra aspirazione adolescenziale di ambientare un film nello spazio.
Cosa vi ha spinto a tentare il salto cinematografico? Il web non bastava più?
FE – A spingerci a fare questo film non sono stati di certo i soldi, ma la voglia di sperimentare qualcosa di nuovo. Siamo abituati alla forma web, che però non è adatta a una storia lunga un’ora e mezza. La storia lunga l’avevamo già nel cassetto e abbiamo colgo questa occasione.
Perché avete scelto un genere “pericoloso” come la fantascienza?
Per quanto riguarda il genere, sarebbe stato più semplice fare la classica commedia italiana e a un certo punto ce lo siamo chiesto anche noi, perché ci siamo infilati in una difficoltà produttiva del genere. La risposta ce l’hanno data le mille persone che l’hanno visto in anteprima alla Festa del Film di Roma: l’accoglienza è stata calorosa e ci ha colpito, soprattutto a noi che siamo abituati ad interagire con il fandom con dei numeri freddi come like e visualizzazioni.
SR – Ma se uno non osa giocando con un sogno che aveva da bambino, che senso ha questo lavoro che facciamo?
AF – Ci sono due concezioni di fantascienza nel film. La prima è quella “tamarra” dei film hollywoodiani con cui siamo cresciuti. Poi siamo passati a pensare alla nostra fantascienza, che è metafora di come è il mondo del lavoro che sognano i nostri giovani e abbiamo molto lavorato sul design delle astronavi e degli alieni perché riflettesse questo mondo lavorativo ideale.
Il film si distingue nello scenario italiano per la cura con cui realizza i suoi effetti speciali. Come avete raggiunto questo risultato?
Alfredo Felco – Per gli effetti speciali abbiamo ricercato parecchie società affinché ogni effetto digitale – dalle astronavi agli shoot della terra vista dallo spazio – fossero in grado di non sfigurare con quanto siamo abituati a vedere dagli Stati Uniti, con lo standard Marvel insomma. Alcuni aspetti li abbiamo curati noi stessi, perché dopo le web series e le parodie, abbiamo una certa dimestichezza.
Qual è stato il momento più difficile?
FE – Ci ha colto di sorpresa la lunga durata del girato: 7 settimane di set con le temperature estive in città sono veramente lunghe, soprattutto per noi che siamo abituati a concentrare tutto in pochi giorni.
FB – Anche la scrittura rapportata alla forma lunga è stata impegnativa.
SR – Per me il momento più difficile è stato il momento in cui mi solo lanciato da 7 metri d’altezza, nella scena d’inizio del film.
FE – Io ero un po’ preoccupato perché è comunque il mio migliore amico e gli ho chiesto “Simone, ma sei sicuro?” lui mi ha risposto un po’ titubante, ma poi si è lanciato ed è andato tutto per il meglio.
Il film è crossmediale: in questi giorni è arrivato in fumetteria anche un fumetto dedicato, pubblicato da Bao Publishing. Perché avete voluto “invadere” anche la dimensione cartacea?
FB – Abbiamo pensato sarebbe stato figo poter leggere le avventure del tenente Ruzzo, che però sarebbe costato davvero troppo portare su grande schermo.
FE – Ovviamente ci piaceva l’idea di essere crossmediali e approfondire la dimensione “meta” del film.
Sul fronte citazionistico il film è ricchissimo di perle nascoste. Quali sono stati i film che avete più omaggiato?
FE – Sicuramente la trilogia del cornetto di Edgar Wright, Dio ci perdoni se abbiamo osato! Ci hanno davvero ispirato, soprattutto perché il nostro film aspira ad essere una commedia di genere che parla della contemporaneità, esattamente come avviene nei suoi film. Ci sono poi molte chicche dedicate al nostro pubblico con qualche autocitazione, ma il film in realtà è fruibile davvero da tutti.
Non avete paura che un film di genere abbia poco appeal sul grande pubblico?
FE – Sicuramente un pubblico dall’educazione “classica” è meno attratto da un film di questo tipo, ma il nostro sforzo è stato quello di essere trasversali, il più possibile.
CB – In questo senso abbiamo fatto un test poco scientifico, mostrando il film alle nostre mamme, ed è andata piuttosto bene.
Perché fate il verso alle pellicole statunitensi di genere?
FE – Volevamo omaggiare il genere fantascientifico che abbiamo amato da ragazzi, ma anche schernire l’attitudine da “figo” con cui i personaggi fanno cose paradossali. In AFMV si vede cosa succede dopo che il personaggio dice la battuta figa, quando l’eroe è un precario napoletano che evidenzia ironicamente.
Come avete convinto Gigi D’Alessio ad essere della partita in un ruolo tanto ironico?
FE – Cercavamo un simbolo della Napoli classica, della canzone napoletana e della sceneggiata. Gigi d’Alessio è stato il primo nome che ci è venuto in mente, è noto in tutto il mondo come simbolo di napoletanità: volevamo che il suo personaggio passasse il testimone alla “nuova Napoli”, quella che combatte con i fucili laser gli alieni.
CP – Per convincerlo gli abbiamo promesso che avrebbe potuto cantare nello spazio!
Quali sono le vostre aspirazioni per il futuro? Magari un sequel?
FE – Più che un sequel, ci piacerebbe trovare la forma ideale per presentare un nuovo progetto lungo a cui stiamo lavorando.Potrebbe ben adattarsi a un film, ma non escludiamo possa diventare una serie televisiva.
CP – Mi piacerebbe molto potermi calare prima o poi in un ruolo drammatico e molto estremo, tipo quello di un folle alla Joker di Nolan.
FB – Sicuramente continueremo a sperimentare nuovi progetti e media, senza però perdere di vista il web. Anche mentre siamo in tour per promuovere il film, la nostra attività online non si ferma mai.
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