Non capita spesso di poter leggere a stretto giro le nuove voci della narrativa giapponese in traduzione italiana, anche quando sono travolte da un successo clamoroso.

La mia fallace memoria suggerisce che l’ultima volta era forse successo con Wataya Risa, arrivata in Italia per Einaudi forte di una vibrazione da nipotina di Banana Yoshimoto e della vittoria del prestigioso premio Akutagawa.
Per concludere questa settimana di letture fuori dall’ordinario sotto l’egida di edizioni e/o,eccomi qui a spendere qualche riga sul giovane Sakumoto Yōsuke e il suo romanzo d’esordio, Il giovane robot.

Hold your horses e trattenete gli entusiasmi, perché ancora una volta ci troviamo di fronte a un romanzo che di genere ha giusto la buccia, che a tempo debito rivelerà un frutto letterario dal sapore fresco, ma lontano da quello che vi aspettereste da un libro con Robot nel titolo e recensito dalla sottoscritta. Eppure anche la premessa va a pescare in certi lidi a me molto congeniali: in un periodo piuttosto difficile della sua vita, il 19enne Sakumoto legge un classico SFF come Fiori per Algernon (premio Nebula 1966), che gli tocca corde così intime da ispirarlo nella stesura del suo primo romanzo.

La copertina italiana del romanzo.

Tradotto in italiano da Costantino Pes, Il Giovane Robot si distingue innanzitutto per una cura editoriale che ahimè troppo spesso manca quando ci si trova sulla sponda letteraria “sbagliata” dell’Oceano Pacifico. La traduzione così a naso sembra coerente e scorre gradevolmente nella lettura, ma soprattutto non ci si limita a buttar lì un dizionarietto a fine volume per assistere il lettore poco avvezzo alla cultura giapponese. Il testo presenta un buon equilibrio tra testo e note esplicative a cura del traduttore, mai troppo ossessive ma sempre puntuali nel guidare il lettore italiano nel sottotesto altrimenti perduto di un romanzo ambientato nella quotidianità scolastica giapponese.

Il robot del titolo si fa infatti chiamare Rei Tezaki e vive in incognito tra gli umani, in qualità di studente delle scuole medie. La missione che il suo creatore gli ha assegnato è quella di rendere felici le persone, ma il suo software non è sempre in grado di comprendere le sfumature emozionali degli altri, tanto che finirà per causare parecchi traumi, a sé stesso e ai suoi compagni di classe.

Riassumere così la trama del romanzo non è certo l’ideale per invogliare alla lettura ma bisogna fare a monte una scelta: o svelare le tematiche profonde attorno cui ruota il romanzo (che verranno rivelate ben oltre la metà del tomo) o fermarsi a descrivere questo frutto recente della narrativa giapponese al suo aspetto esteriore, senza intaccarne la buccia.

Io ho deciso di fare così, un po’ perché ci sono abbastanza appigli per dare un’idea di come sia senza spoilerare troppo (alla fine siamo pur sempre in zona amori e amicizie liceali giapponesi), un po’ perché il piacere maggiore della lettura sta nel soppesare man mano quanto sia tutt’altro che distaccata la posizione dell’autore (di cui vi consiglio di leggere solo successivamente la biografia, nel caso siate interessati).

Oltre la sottile irritazione che mi causa sempre constatare quanto ancora una volta qui la componente fantascientifica sia utilizzata in chiave prettamente simbolica e/o metaforica (ancor di più che in Reincarnation Blues), qualche pecca Il giovane robot ce l’ha.

Innanzitutto si sente tutta la giovane età dell’autore e la sua inesperienza di scrittore, soprattutto nel modo in cui risolve sin troppo velocemente e chirurgicamente il nodo riguardante l’uomo misterioso che spia il protagonista. Riguardo invece ai lunghi intermezzi dedicati alle sfide agonistiche del club di ping pong a cui partecipa Rei Tezaki, o la prendete sul piano informativo rispetto a uno sport che in Occidente si conosce davvero poco o vi rassegnate a sorbirvi (o a saltare a piè pari) queste parti, immaginando cosa debbano provare gli stranieri di fronte all’italica ossessione con cui rievochiamo le vittorie mondiali degli Azzurri (in particolare Spagna 1982).

Pur con tutti i suoi limiti da esordiente, quello di Sakumoto Yōsuke rimane comunque una lettura piacevole, persino toccante per chi si può riconoscere in certe situazioni per età e disagi personali. Non mi sorprende quindi di vederlo ben rappresentato su Instagram e Youtube. Con la sua leggerezza (talvolta magari un po’ banale agli occhi di un adulto o un lettore di lungo corso di storie liceali ambientate in Giappone) e il suo sguardo limpido sul mondo scolastico Il Giovane Robot è  un’alternativa perfetta a un bel manga scolastico, anche e soprattutto per i lettori più giovani.

Non solo per loro, anzi: non mi sorprende che in Giappone abbia avuto un successo strepitoso, dato che rientra in quelle creazioni narrative ambientate tra i banchi di scuola sugli amori più sentimentali e puri per cui nel Sol Levante tutti i lettori sembrano provare una nostalgia fortissima. Qui da noi chiunque abbia amato le atmosfere di Your Name o i romanzi di Wataya Risa stessa (che però come scrittrice trovo più incisiva e sorprendente), o più in generale quanti adorano etichettare la letteratura nipponica come “delicatissima” (perdonali Kirino Natsuo, non sanno quello che fanno) sono convinta ne rimarrà rapito. Lasciate che vi dia un consiglio; lasciate perdere il romanzo di Your Name di Makoto Shinkai – che farebbe bene a limitarsi a fare il regista – e se siete in quel mood orientatevi piuttosto su questo titolo. Ai fan della letteratura giapponese tradizionale e/o novecentesca, consiglio di lasciar perdere senza rimpianti: vi deluderà più o meno quanto Wataya Risa & co.

La copertina giapponese del romanzo.

Disclaimer – la casa editrice mi ha fornito una copia staffetta del romanzo per formulare un’onesta recensione a riguardo, quella che avete appena letto (apparsa in origine sul blog di Elisa, Gerundiopresente. NdR).



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