Ognuno reagisce a una gioventù passata sotto i riflettori a modo suo: da qualche tempo Jennifer Lawrence sembra alla ricerca dei ruoli più fisicamente estremi e psicologicamente mortificanti che si trovano sulla piazza.
Per il thriller Red Sparrow la star è tornata a lavorare in coppia con Francis Lawrence, il regista dei sequel di Hunger Games.
Se la loro precedente collaborazione vi era sembrata cupa e senza speranza, vi conviene stare alla larga da un film che sembra avere come proprio scopo quello di mortificare l’intrattenimento del pubblico, tramutando ogni nudità, scena d’azione (e di tortura) e colpo di scena in una stilettata al barlume di speranza che tiene in piedi la protagonista.
Dovrebbe essere un thriller commerciale che si affida alla sua protagonista per attirare il pubblico in sala, reclamizzandone l’immagine super sexy e le svolte action del suo personaggio. Sebbene la Lawrence affronti una sua prima scena di nudo e il film non si faccia nessuna reticenza di fronte alla violenza o alla sessualità (anzi, talvolta esibendole in maniera esasperante per ribadire il suo “essere adulto”), non c’è davvero nulla del blockbusterone sexy e accattivante in un film che, sin dal suo minutaggio (2 ore e 20 minuti), sembra studiato per mettere alla prova il suo pubblico.

La trama è un mix sapiente dei peggiori stereotipi da thrilleraccio d’aeroporto con i luoghi comuni sulla vecchia e cara Madre Russia, per cui ci si affida subito al carisma di Jennifer Lawrence imparruccata e costretta a fare l’accento standard russo (che un giorno qualcuno ci spiegherà) per portare avanti il film. Lei ci mette tutto quello che ha, ligia al dovere tanto quanto la ballerina del Bolshoj che interpreta, ben più che in progetti precedenti (che avrebbero meritato da parte sua maggior attenzione).
Il suo personaggio funziona perché, vivendo del luogo comune della spia dal passato nella danza classica (cfr: la Vedova Nera), finisce poi a lambire a sorpresa territori tanto prevedibili quanto concreti, confermati dai surreali fatti di cronaca degli ultimi anni.

Red Sparrow è inaspettatamente durissimo sin dalla ripresa della plateale frattura che trasforma la protagonista in una zoppicante figlia che non sa come provvedere alle cure della madre e che finisce per bussare alla porta dello zio che lavora nei servizi segreti. Zio ovviamente interpretato da Matthias Schoenaerts, che in quanto belga e biondo agli occhi di Hollywood può esibire con comprovata sicurezza qualsiasi passaporto europeo.
Dominika è ben consapevole della meschinità del parente e delle mire che cova nei suoi confronti, ma neanche lei disillusa giovane russa può immaginare l’inferno che le si para davanti alle porte della Scuola Statale Quattro. Ad attenderla c’è Charlotte Rampling, scelta di cast quasi obbligata di fronte alla gelida e amorale istruttrice degli sparrow. Le spie della nuova Russia vengono istruite all’ombra del sogno di dominio della vecchia, minacciate e piegate all’obbedienza alla nazione con gli stessi metodi di un tempo: una pallottola in testa, una famiglia distrutta.

Una scuola per puttane, la bolla Dominika, che in qualche modo riesce a trarsi d’impiccio da un addestramento alla manipolazione psicologica e alla seduzione che mira innanzitutto a mortificare ogni amor proprio, a rendere donne e uomini pronti a qualsiasi pratica sessuale a comando.
La missione che le viene affidata non le lascia grandi possibilità di cavarsela una seconda volta: deve sedurre un’agente della CIA (un Joel Edgerton così incolore da rischiare di fondersi con lo sfondo) e farsi dire il nome di una talpa che si annida ai vertici più alti dell’intelligence russa.

Dominika e Jennifer questa identità se la suderanno affrontando ogni dolore fisico e mortificazione psicologica possibile, parrucconi improponibili compresi. La forza di Red Sparrow sta nel scegliere di dare tutte le risposte più verosimili che semina a partire dai suoi presupposti, lasciando che la fascinazione stia ancora una volta nel dare al pubblico quello che Hollywood nega: un film pensato per un pubblico adulto e mai reticente nel descrivere la realtà. Laddove però Atomica Bionda stuzzicava e seduceva lo spettatore, Red Sparrow lo mette alla prova, giovando la carta del fascino di una Russia decadente, corrotta, superiore moralmente al blocco occidentale solo perché acutamente consapevole della sua natura e del tradimento intrinseco della sua missione comunista.

In mezzo ai giochi sporchi dei due blocchi si ritrova la povera Dominika, che ha una sua agenda ma a cui non viene concessa nemmeno l’illusione di poterla davvero mettere in pratica. Il fascino di Red Sparrow sta tutto nel gioco di seduzione di una donna che vive una vita dove l’amore e il sesso sono strumenti di sottomissione altrui e personale, immerso in un’atmosfera perfetta. Il monumentale lavoro alle scenografie di Maria Djurkovic dà concretezza e spessore più della sceneggiatura stessa del film (un po’ come accadeva per la precedente hit mancata della Lawrence, Passengers) insieme a una regia accuratissima che mai ci poteva aspettare dal Lawrence degli Hunger Games.

Di fronte all’assoluto protagonismo della diva, al resto del cast non rimane molto da fare se non muoversi per questi immensi edifici da regime stalinista, questi interni dimessi e decadenti da ex blocco sovietico, questi paesaggi gelidi quanto l’interiorità delle persone che li attraversano.
Non è un film facile Red Sparrow, perché non ha un grande regista iconoclasta capace davvero di pigiare sull’acceleratore del trasgressivo vero. È però un film che ha lo spudorato coraggio di prendere la via più difficile per un progetto che poteva avviarsi in territori prevedibili e più sicuri. È un film che fa scelte dimesse (la prima ballerina del Bolshoj vive in una casetta decisamente vissuta e dimessa con la madre) o estreme (la scena di tortura con l’attrezzo per il trapianto di pelle è raggelante) e va a scadere nel verosimile in maniera quasi deprimente. Dominika non diventa una maestra di arti marziali o di lingue con intensi allenamenti di qualche settimana, no, diventa una escort al soldo dello Stato sacrificabile al primo intoppo.

La strada di Dominika è costellata da uomini che vogliono solo un intercorso o peggio una sottomissione sessuale da parte sua: vogliono possederla, farle violenza, penetrarla a loro piacimento, sbarazzarsene quando mette in forse il loro potere. Il fatto che il film con grande nichilismo non le offra mai facili scappatoie potrà turbare e suscitare dibattito, ma allora decidiamoci: da una parte Weinstein ci insegna che le donne affrontano tutto questo in ogni momento, ma dall’altra al cinema bisogna costantemente alimentare l’empowerment femminile con visioni in cui la trappola sessuale non scatta mai o viene superata senza colpo ferire?

In conclusione da Red Sparrow non mi aspettavo che il peggio, invece mi sono ritrovata un film che mi ha irretito per la sua durezza e la sua capacità di prendere scelte controintuitive. Per una carriera come quella della Lawrence è un suicidio spettacolare, per un visore casuale probabilmente una noia mortale. Personalmente l’ho trovato l’ennesimo ottimo film di spionaggio che partendo da una base commerciale cerca di fare qualcosa di inaspettato, cupo e adulto. Se dovesse disgustarvi o annoiarvi però avrete tutta la mia comprensione: non tutti amano crogiolarsi nell’orizzonte desolante che è la Russia come raccontata dal cinema di spionaggio statunitense.

Il blog di Elisa è GerundioPresente



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