Warning: Il primo paragrafo è spoilerfree, dal secondo, nonostante la trattazione dei temi generali della saga, i riferimenti all’intera storia sono numerosi e riguardano questioni cruciali: se non avete letto i sette libri, o quanto meno visto tutti i film, evitate la lettura. In ogni caso, se conoscete la saga solo per sentito dire e desiderate capire perché Harry Potter piace così tanto ai bambini guardate i film, se volete capire perché attrae anche gli adulti: leggete i libri.

Sono stata a Milano per la Harry Potter Exibition, in un momento del mio soggiorno sono caduta, non so come mi sono ritrovata carponi a terra come una Neville da manuale e, guardando il ginocchio sbucciato, ho pensato sarebbe stato ironico se mi fosse rimasta una cicatrice a forma di piantina della metro di Milano (“Le cicatrici possono tornare utili. Anche io ne ho una, sopra il ginocchio sinistro, che è una piantina perfetta della metropolitana di Londra” Silente, La Pietra Filosofale, capitolo 1).

Ecco, un’opera che entra nell’immaginario collettivo è quella che non solo si afferma ai vertici dell’industria dell’intrattenimento, ma entra anche nella quotidianità, nei gesti più minuti e nelle situazioni più disparate. La saga di Harry Potter è riuscita a impregnare la cultura divenendo un classico con sorprendente rapidità grazie e soprattutto all’essere trasversale: la più grande magia di Harry Potter è stata infatti quella di aver staccato sia i ragazzi che gli adulti dalla playstation, da internet, dalla tv – da qualsiasi cosa assorbisse in quel momento la loro attenzione – e averli ricondotti, o condotti addirittura per la prima volta, su un libro. La fascinazione per il potterverse ha stregato indipendentemente da età, sesso, professione, indirizzo di studi, gusti letterari, livello culturale, e sarebbe una semplificazione fuorviante e scorretta liquidare la faccenda come un desiderio di ritorno all’infanzia da parte degli adulti.

Quindi cos’è che ha calamitato tutta questa attenzione al contrario di quanto avvenuto per altre opere di indubbia qualità che, pur avendo un loro seguito, non sono riuscite a sfondare un metaforico tetto di cristallo? Mi viene in mente per esempio Queste Oscure Materie, una trilogia indiscutibilmente amata, con al centro della storia due adolescenti che si destreggiano tra misteri, universi paralleli, streghe e oggetti dai poteri prodigiosi che sì, sta ricevendo un trattamento televisivo – dopo aver avuto anche una discutibile e travagliata trasposizione cinematografica – ma che non si è mai neanche lontanamente avvicinata ai livelli di fama della creatura di J.K. Rowling.

Una delle (mie) risposte possibili è che in giro di adolescenti versati in teologia ce ne sono pochini, mentre i più grandi trovano materiale adulto filtrato dalle esigenze dei ragazzi, sia protagonisti che lettori: la negoziazione tra il materiale adulto, che costituisce il cuore della trilogia, e la componente avventurosa/adolescenziale è evidente e toglie qualcosa sia da una parte che dall’altra. L’universo di Queste Oscure Materie, per quanto costruito in modo dettagliato e suggestivo, è un universo chiuso, non fornisce un campo da gioco all’interno del quale divertirsi, esercitare la creatività, immaginare e, soprattutto, è un universo che non mette voglia di tornare e restare semplicemente perché non se ne ha motivo, l’ambientazione si esaurisce con la fine della storia. Sia chiaro, non sto dicendo che l’universo di QOM non può essere espanso dall’autore, semplicemente è un luogo che, al contrario di Hogwarts, non si presta a essere importato nella quotidianità del lettore. (NB amo Queste Oscure Materie).

L’universo di Harry Potter è un universo magico ma già perfettamente conosciuto da tutti noi perché lo viviamo, l’abbiamo vissuto e continueremo a viverlo: la scuola, il professore terribile, l’ansia per gli esami, lo sport, i migliori amici, le piccole e grandi invidie, le situazioni senza vie d’uscita, i colleghi di lavoro in ufficio, la morte, l’ottusità della politica, la discriminazione razziale, lo spettro del nazifascismo (quanto è tornato attuale tutto questo per di più in modalità perfettamente illustrate a partire dal quinto libro?).

J.K. Rowling non ci presenta nulla di nuovo, ma rinnova quello che già conosciamo: non si limita a dare ai lettori solo un nemico da sconfiggere, ma congegna la storia per indurre un senso di appartenenza. Con la cerimonia di smistamento l’autrice smista anche i lettori, non solo i personaggi. Da quel momento prendiamo parte alla storia non solo seguendo Harry, ma immedesimandoci nelle caratteristiche di un personaggio piuttosto che dell’altro, nelle peculiarità di una Casa in particolare (e questo nonostante sia Grifondoro a fare la parte del leone).

Rowling ha capito le regole basilari del tifo e della tifoseria e le ha giostrate in modo tale da stimolarci sia a partecipare che a parteggiare. Tutti i lettori hanno il professore o il libro preferito, il personaggio più odiato o amato e, nella rilettura e con il passare del tempo, le nostre preferenze possono cambiare, può succedere per esempio di rivalutare e rileggere l’intero personaggio di Neville con maggiore maturità e profondità là dove inizialmente è molto più immediato, in particolare per un bambino, voler essere Harry.

[Attenzione: da qui in poi, spoiler]

In Harry Potter la vera magia dell’autrice è nell’aver trovato la quadratura del cerchio veicolando temi e messaggi profondi, complessi e universali all’interno di un mondo attraente capace di essere scoperto e riscoperto a seconda dei propri anni. Il merito della saga è nel raccontare l’oscurità, ma con l’implicita promessa della luce, mostrare il peso e le ripercussioni delle scelte, ma allo stesso tempo anche la nobiltà insita nell’accettazione delle stesse, rendere evidente quello che è giusto e ciò che è sbagliato senza manicheismi e mai a scapito della complessità della vita. Quella di Harry Potter è una saga che tra magia e avventure, incantesimi, burrobirre e quadri parlanti, nella sua intima essenza parla soprattutto dell’elaborazione del lutto e della mortalità dell’uomo: in ultima analisi quello che divide Harry da Voldemort, sancendo la vittoria del primo sul secondo, è tutto qui. Harry accetta la sua mortalità, e quindi la naturalezza della morte, là dove Voldemort è ossessionato dalla vita eterna.

Dice Silente ne La Pietra Filosofale: “la morte per una mente bene organizzata è solo un’altra avventura”. La mente di Voldemort è obnubilata dalla brama di potere – l’unica cosa che capisce – e questo gli preclude non solo la chiarezza d’intenti, ma acutizza un’altra sua grave mancanza: l’assenza di curiosità. Ossessionato dalla ricerca della vita eterna, Voldemort ha un orizzonte piuttosto ristretto: nei confronti dell’esistenza non prova alcuna curiosità né in senso pratico – desidera esperire solo il potere – ma nemmeno filosofico. La conquista del potere circoscrive e ghettizza il suo sapere che risulta limitato dall’incapacità di spaziare per il semplice gusto della scoperta e della conoscenza senza fini utilitaristici. Anche in questo Harry – come Hermione, Ron e Silente stesso – gli è superiore: il sano gusto per l’avventura, unitamente alla curiosità di esplorare, lo hanno arricchito come essere umano e come mago. È la rete di amici e persone che lo amano, e si sentono ispirate da lui, a consentirgli di sopravvivere fino allo scontro finale verso il quale viene accompagnato dai suoi morti, mentre Voldemort ha dalla propria parte semplici servitori che riflettono la limitatezza del proprio padrone e la pochezza della sua esistenza.

Mi viene in mente una frase di cui ignoro l’autore “Replace the fear of the unknown with curiosity“. Voldemort teme tutto ciò che non comprende e il fatto che il tocco di Harry, all’inizio, abbia il potere di annientarlo è la summa del concetto: viene distrutto dall’amore che non conosce, non comprende, e non ha mai nemmeno tentato di capire stigmatizzando il sentimento come una debolezza, un difetto della volontà.
In ultimo Voldemort, al contrario di Silente, è completamente sprovvisto di ironia che è uno strumento portentoso per elaborare e scendere a patti con la realtà.

Nella Pietra Filosofale il primo insegnamento del Preside ad Harry viene impartito in occasione della scoperta dello specchio delle brame. Di fronte a quell’artefatto magico, in grado di mostrare i desideri più profondi materializzati, Silente fa capire ad Harry che non tutti i desideri sono legittimi e sani, e che è sempre bene guardarsi dalla fantasticheria, dall’intrattenersi costantemente ma sterilmente con un pensiero rinunciando a vivere. Anche in questo Voldemort è stato un alunno disattento non imparando un semplice concetto: i desideri non devono possederci ma dobbiamo essere noi in grado di sceglierli.

La Pietra Filosofale e La Camera dei Segreti sono i testi più comprensibilmente etichettabili come materiale per ragazzi, ma è proprio in questi due primi testi che il world building inizia a esercitare la sua magia sui lettori mentre l’autrice dissemina elementi che si riveleranno cruciali per lo sviluppo dell’intera trama. A fine saga è infatti un piacere tornare indietro per scoprire quanto ci è stato rivelato senza che noi ce ne accorgessimo, quanto fossero già presenti le storyline che deborderanno nel corso della narrazione. Ma questo sarà materiale per un altro articolo.

Note

La trilogia Queste Oscure Materie di Philip Pullman è pubblicata da Salani.

I sette libri di Harry Potter di J.K. Rowling sono pubblicati da Salani.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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