“Anal nathrakh, urth vas bethud, dokhjel djenve” fu la solenne litania che Merlino proferì nel celebre lungometraggio diretto da John Boorman, Excalibur (1981); pellicola culto che ridefinì – ex aequo con Conan Il Barbaro – lo standard concettuale del genere fantastico su grande schermo, e che restaurò e sublimò l’intera iconografia della più notoria fra le leggende: quella del sovrano di Camelot, Artù Pendragon.

Ogni elemento rientrante nella Materia di Bretagna costituisce senza dubbio alcuno una delle composizioni più affascinanti e sicuramente più inflazionate dal genere Fantasy. Non poche, infatti, sono le congetture Arturiane mutuate nell’odierno immaginario fantastico: reami mistici e fatati, stregoni e streghe, prodi paladini e mogli fedifraghe. Tutto ciò rispecchiava pedissequamente il costrutto sociale dell’alto e basso Medioevo, riproducendolo sotto forma di allegoria. Al di là di questa presumibile funzione, l’epica cavalleresca ci ha donato uno dei concept e dei setting preferiti da chi racconta il fantastico, ed è anche per questa ragione che a qualcuno piace sovvertirlo: come nel caso di Unholy Grail di Cullen Bunn e Mirko Colak.

L’Ucronia, per definizione, rappresentala più elementare risposta a un semplice quesito: “cosa sarebbe successo se?”. Di What If? la narrativa ne è piena – Dick, Silverberg, Turtledove, Harris – tutti definiti da una determinata diegesi narrativa, ossia porre un punto di svolta nella storia comprovata e da lì mutarlo affinché il corso degli eventi risponda alla domanda di cui sopra. Nel caso corrente, non è dato per certo dagli storiografi se il Ciclo Arturiano sia pura res fictae o res gestae – finzione o realtà – ma concettualmente, alla base di quest’opera a fumetti, troviamo né più né meno, una visione certamente ucronica della leggenda di Re Artù e compagine.

Un demone, un diavolo asceso dagli inferi per l’irresistibile richiamo della manipolazione umana, uccide e prende le sembianze del celebre Mago Merlino, cominciando sin da subito a traviare le menti, dapprima di un Uther Pendragon su letto di morte, e poi di un neo-re Artù. Bunn sostiene, almeno così è riportato nella prefazione, di aver covato il soggetto di questa storia per anni, originariamente concepito per un romanzo (ed è chiarissimo) che a causa di non pochi intoppi non è mai riuscito a terminare, finché Aftershock, validissima label a stelle e strisce, non ha deciso di partorirla, affidando le sue illustrazioni alle matite di Mirko Colak e le sue colorazioni alla spagnola Maria Santaolalla.

Serializzato in patria in cinque albi, Unholy Grail si presenta bene ma non fino in fondo, proponendo un dark fantasy coerente nella forma ma non nello stile: grande infatti è la mancanza di quella forte esperienza visiva di fulciana memoria, fatta di orbite avulse, arti volanti e torrenti purpurei. Sia ben chiaro, l’opera è intrisa in un’ottima dose di crudo, ciononostante risulta fin troppo edulcorata e fin troppo debole rispetto ad altri titoli appartenenti alla medesima cerchia; The Goddamned di Aaron e Guéra primo su tutti.

Un soggetto solido e dotato di una buona coerenza stilistica, che tuttavia manca in fase di sceneggiatura di solidità e forma, ulteriore comprova della sua natura romanza. Le ottime illustrazioni al contempo danno un certo senso estetico, definendo in toto il perfetto senso dark o grim di questo fantasy. Ben caratterizzata infatti è la platea di personaggi che compone l’opera: lineamenti somatici ben definiti, capaci di conferire un certo senso di realismo, così come è ben rappresentata l’intera morfologia dei corpi, sia nei basilari movimenti – sessuali compresi – sia nelle fasi di combattimento.

Ultimi, ma non ultimi, gli splendidi colori della Santaolalla, che appongono il sigillo sulla canonicità stilistica, quindi estetica, di questo dark fantasy; questo perché se c’è, nell’interezza dell’opera, un elemento che definisce propriamente il canone estetico dello stesso genere, questi sono proprio i colori. La Santaolalla sembra non aver risparmiato nulla della tavolozza, con ampi utilizzi di verde, blu e ovviamente rosso.

Tornando alla sua narrazione, una dei meriti maggiori di Bunn è quello di aver comunque incluso ogni caposaldo degno di rilievo all’interno del Ciclo Arturiano. Naturalmente ognuno di questi elementi, seppur autentico nella forma e nella sostanza, è stato privato della sua logica originale per far posto alla nuova interpretazione redatta dall’autore. L’identità di Merlino non sarà l’unico grande stravolgimento. Morgana per esempio è introdotta in maniera a dir poco orrorifica, rasentando idee degne di Yuzna e Gordon, plasmata letteralmente dalla stessa bile intrisa di adulterio e peccato carnale che Ginevra vomiterà dopo aver consumato per l’ennesima volta con il suo amato Sir Lancillotto.

La discordia che il reo posseduto Merlino disseminerà a corte porterà buona parte dei Cavalieri della Tavola Rotonda a compiere gesta dalla dubbia moralità e…utilità, non a caso il fantomatico Graal che nel mito originale viene rinvenuto da Sir Parsifal e che porterà alla redenzione Artù, qui si rivelerà essere nient’altro che un bluff, un bluff orchestrato ad hoc, un bluff che finirà per dissolversi assieme al povero cavaliere.

Infine, la sempiterna Dama del Lago, nonché figura preponderante nella leggenda, viene qui definita attraverso una chiara dicotomia: soave, bella, quasi dolce, almeno finchè non vediamo scivolare dalla sua silhouette dozzine di appendici tentacolari che rievocano un certo stile Lovecraftiano. Questo è Unholy Grail, un’opera a fumetti che tenta di attingere a quello stile fantasy tipico di un certo post modernismo, con una forma mentis che ricorda il duo Mignola – Byrne, ma che non riesce ad andare oltre quel velo che sa un po’ troppo di esercizio di stile. Eppure fatevi un favore, leggetelo…leggetelo e divertitevi, il fantasy serve a questo.



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