Gōichi Suda, per gli amici (e i follower) Suda51,è il fondatore di Grasshopper Manufacture, studio di sviluppo ormai conosciuto nell’ambiente per via dei suoi giochi strambi e politicamente scorretti. La fama al di fuori della stretta nicchia di appassionati, tuttavia, è sbocciata solo a partire dal 2007, anno di pubblicazione di No More Heroes su Nintendo Wii. Fino a quel momento Suda e la sua Grasshopper avevano sviluppato solo titoli estremamente atipici nel game design, cupi nei toni nonchè oscuri e poco chiari nelle tematiche. The Silver Case (una visual novel interattiva), Flower, Sun, and Rain (un titolo ad enigmi) e Killer 7 (uno shooter su binari) sono tutti chiari esempi di questo approccio. No More Heroes, al contrario,  fu il primo titolo colorato, scanzonato e soprattutto pop: una svolta.

Staccandosi da tutta la sua produzione precedente, Suda abbandonò il suo consueto stile cupo e si lanciò in un coloratissimo open world vivace e goliardico. Era tempo di iniziare a vendere, così No More Heroes abbandona le tinte cupe dei precedenti titoli di Suda51 e punta ad un pubblico più ampio, ottenendo un successo di critica e pubblico che lanciò Grassopher Manufacture e Suda 51 nel mainstream dell’industria. Lo stile irriverente, le stramberie, il gore e la cultura pop che permeano il gioco hanno contribuito a creare un piccolo cult. Questo strano titolo, all’apparenza superficiale e caciarone, nasconde un pensiero critico per nulla banale e tutt’ora attuale.

Il protagonista è Travis Touchdown, un otaku, ovvero un nerd semplificando di molto il concetto, ma uno di quelli moderni: niente occhialoni da sfigato, maglioni fuori moda o apparecchio per i denti. Travis ha i capelli sparati col gel, guida una moto e indossa giacche di pelle, magliette a tema pop e occhiali da sole alla moda. La sua caratterizzazione nerd dipende da altro, insomma. Vive da solo in un appartamento pieno di riviste porno, film, videogiochi e action figure. Ovviamente non ha un lavoro stabile e passa il tempo a bivaccare con i suoi hobby chiuso in casa. Travis è un perfetto nerd del nuovo millennio.

Suda51 congegna gameplay e trama affinché funzionino allo stesso tempo da critica ed elogio per i videogiocatori di ogni tipo. Il plot è semplice e scarno, d’altra parte il videogiocatore medio vuole giocare e non ha tempo da perdere: Travis vince una spada laser online e si ritrova coinvolto in un torneo tra killer:10 posizioni da scalare, 10 killer da eliminare, tutto qui. Nel filmato introduttivo troviamo una vera e propria dichiarazione di intenti da parte dell’autore. Travis guarda in camera, si rivolge direttamente al giocatore e gli chiede:  «Voglio essere il numero uno, che ne dici?.Breve e conciso», e poi«Premi il tasto A e iniziamo la carneficina». Nessuna costruzione psicologica, nessun approfondimento di sorta: premi il tasto A e inizia a menare le mani.

L’opening dura appena 3 minuti, abbatte la quarta parete in più punti e non perde tempo. In pochi istanti Suda decide di catapultare il giocatore nel vivo dell’azione, l’impazienza tipica dell’utente medio viene soddisfatta e trova un corrispettivo nell’atteggiamento irruento e aggressivo di Travis. La vita del protagonista su schermo si fonde con la vita di chi impugna il controller che diventa essa stessa un videogioco, il cui scopo principale è eliminare gli altri. L’associazione tra “killer”e “videogiocatore” non è casuale, purtroppo: l’industria videoludica, allora come adesso, spinge molto sulla violenza e la maggior parte dei titoli di largo consumo ha come core gameplay l’uccisione di npc, bot o altri giocatori in multiplayer. Come da copione, Travis riesce a eliminare i più pericolosi killer in circolazione senza troppe difficoltà. Un ragazzo,un nerd, che diventa un killer professionista e senza un’apparente spiegazione logica risulta più forte di tutti i suoi avversari, pur confrontandosi con assassini esperti e navigati. Lo strapotere di Travis trova senso logico attraverso un elemento narrativo e allo stesso tempo extra-narrativo: semplicemente è un videogiocatore controllato da un videogiocatore. Il game design prevede la sua vittoria e, aggiungo io, il videogiocatore è virtualmente il killer più esperto e pericoloso del mondo, perlomeno quando impugna un controller.

Travis è arrogante e sicuro dei propri mezzi fin da subito, consapevole del plot armor che lo avvolge. La decostruzione del videogioco moderno messa in atto da Suda non è percepibile solo attraverso i dialoghi metanarrativi, ma traspare da ogni meccanica introdotta in No More Heroes. In questo contesto produttivo la scelta di programmare un open world non è causale: tipicamente questo genere di giochi prevede numerose attività secondarie che per molti giocatori finiscono per diventare un “lavoro“, una sfida da completare. Bene,in No More Heroes queste attività secondarie diventano letteralmente dei lavoretti manuali: tosare l’erba, cacciare scorpioni, raccogliere spazzatura o lavorare in una pompa di benzina. Per poter proseguire nella scalata al rank degli assassini bisogna pagare una certa somma in denaro e per ottenerla bisogna “lavorare”guadagnando soldi dalle attività secondarie. Il gameplay loop di No More Heroes è questo: lavora per poter giocare. Ancora una volta, la motivazione iniziale che ha spinto Travis a diventare un assassino si intreccia col suo controllore nel mondo reale: ho bisogno di comprare dei giochi quindi lavoro.

Il plot twist principale di NMH riguarda le motivazioni dei protagonisti: perché Travis combatte? E di contro, perché il videogiocatore gioca? C’è chi lo fa per staccare la spina o svagarsi e chi invece cerca qualcosa in più, tenendo ben presente le potenzialità del medium. In No More Heroes, apparentemente, Travis non ha  un motivo alto, uccide i killer innanzitutto per passatempo, per diventare il più forte, il più bravo, non dissimile dai tanti multiplayer competitivi come Call of Duty o Fortnite. Il videogiocatore al quale No More Heros fa riferimento è, apparentemente, quel tipo di utente che gioca solo ed esclusivamente per passatempo, senza alcuna ricerca di arricchimento culturale, nessuna riflessione su un qualunque tema, per il quale tutto ruota intorno all’esaltazione del pop, della semplificazione tematica e del menare la mani. Prendi il controller e uccidi con stile perché così dimostri di essere bravo.

Dopo la prima sezione di gameplay effettivo Travis chiede come ricompensa un rapporto sessuale con l’organizzatrice dei duelli. i motivi futili che spingono Travis a fare a fette decine di persone rispecchiano i motivi futili che spingono il consumatore medio a giocare: divertirsi e svagarsi. La potenza di No More Heroes sta proprio nel suo concept e nel suo design, un titolo rivolto al videogiocatore medio, un prodotto creato per il mercato di massa ma che allo stesso tempo si fa portatore di una carica critica opposta, alludendo più volte alla propria natura, sia di prodotto commerciale che di videogioco, strizzando l’occhio a quell’utente più attento che ricerca altro da questo strumento. La sequenza finale è un’esplosione di metanarrativa, critica e citazioni (Star Wars in primis) in cui, senza scendere troppo nel dettaglio, viene rivelato che le vicende e le motivazioni che hanno portato i vari protagonisti ad agire sono tutt’altro che banali o frivole come lasciando intendere. Di colpo, personaggi fino a quel momento goliardici si fanno carico di drammi ed esperienze drammatici, ribaltando la psicologia che li aveva caratterizzati per l’intera esperienza di gioco [se volete più spoiler, qui il video dell’ending. NdClod].

Tutto ci viene però rivelato durante una cutscene a velocità aumentata, come se si stesse andando avanti su un video a16x. Solo rallentando il filmato si può assorbire lo “spiegone” e comprendere l’intera trama, ora drammatica e violenta. Una storia che se fosse stata sviluppata e raccontata nel dettaglio avrebbe richiesto privato il prodotto della classificazione Pegi 16, in molti paesi importantissima per le vendite: nel finale si fa diretta menzione alla natura mainstream del prodotto e all’autocensura. La sequela di plot twist e rivelazioni nella fase finale rasentano il grottesco e e presentano numerosi richiami alla narrativa giapponese, spesso intrisa di fratelli, sorelle e parenti che si scontrano, si odiano e si amano (c’è spazio anche per l’incesto).

Il duello di chiusura tra Travis ed Henry (un personaggio misterioso che appare giusto una manciata di vole durante il gioco) esula dal mero contesto narrativo per assumere significati fortemente meta-narritivi, al punto che che i personaggi, dopo essersi rivolti direttamente al giocatore e aver riflettuto sul ruolo del finale in un’opera narrativa, convengono sia meglio lasciare la lotta in sospeso cosi da tenersi pronti per un sequel, anche al costo di condannare lo spettatore a un conclusione tronca qualora le vendite non raggiungano le aspettative.

Henry e Travis ne discutono apertamente:
H: «Come intendi dare un taglio a tutto questo?»
T: «Come come? Adesso dovrei essere io a sistemare tutto?»
H: «Sei tu il protagonista, io sono solo una comparsa attraente e fica al punto giusto. […SPOILER]. E’ un lavoro che spetta a te»
T: «Non c’è nessuna via d’uscita vero?Nessun modo per svignarsela. Allora andiamo in cerca dell’uscita estrema: il Paradiso!»

Il duello si interrompe nell’istante in cui i due si stanno per colpire. Immortalandoli in un quadro l’autore sceglie di non scegliere e chiude,“in cerca dell’uscita estrema”, con un cliffhanger.

Al di là di quanto appena detto, No More Heroes è un titolo che merita di essere giocato ancora oggi, nonostante risulti tecnicamente superato: il gameplay riesce a divertire, i filmati sono curatissimi e la trama, per quanto banale, pone le basi per il prosieguo della serie (sono in commercio già due seguiti e nel 2020 è atteso I, il quarto titolo del franchise). Ciò che però rende No More Heroes davvero degno di considerazione a 13 anni di distanza dal suo esordio è la sua potenza critica, forte a tal punto da meritarsi un gameplay al suo servizio. Tutta l’opera è costruita sui diversi stereotipi del videogioco di successo; Goichi Suda,con delle trovate narrative e metanarrative geniali, mette a nudo il problema della mercificazione del videogioco, che in primis deve vendere quante più copie possibili. Il concept e il game design di NMH sono strutturati in modo tale da essere essi stessi il messaggio e non solo un mezzo per trasmetterlo. Il giocatore potrebbe sentirsi raggirato quando si renderà conto che ha passato le ultime due ore a pulire le strade dalla spazzatura o a fare il pieno di benzina a degli automobilisti inanimati, ma da lì a breve avrà quello che cerca: azione, sangue, robot, katane, pistole e personaggi esteticamente unici e postmoderni.

Non ci sono più eroi, solo consumatori che hanno bisogno di divertirsi e di passare il tempo. Non è un caso che dopo No More Heroes, Grasshoper Manufacture abbia prodotto una sfilza di videogiochi colorati e strambi. Suda51 si è defilato dalla figura del director e ha assunto un ruolo più amministrativo e di consulenza. Solo nel 2019, dopo 12 anni, Suda51 è tornato a dirigere in prima persona un gioco indie, Travis Strikes Again (anche questo un titolo fortemente metanarrativo e pieno di riferimenti alle sue vecchie opere). Nel 2020 invece è atteso No More Heroes 3 su Nintendo Switch. L’auspicio, oggi, è che autori come Gōichi Suda riescano a realizzare i loro prodotti senza dover pensare solo ed esclusivamente al guadagno, un’utopia che secondo alcuni oggi può trovare la sua realizzazione solo nel mercato indie e non di certo nell’industria tripla A. Forse solo la critica e lo studio del game design potrà portare gli autori a ricevere attenzioni per la loro potenza espressiva e non solo per le vendite e sviluppare idee e messaggi prima ancora che prodotti, ma quel tempo deve ancora venire.



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