Dei giochi sopravvalutati parleremo tra qualche giorno (giusto il tempo di prenotare un biglietto aereo di sola andata per un’isola remota del Pacifico). Oggi segnalo alcuni titoli della generazione oramai quasi terminata, che secondo me non hanno avuto la fortuna che meritavano. Sono tutti giochi di successo, chiaro, alcuni hanno stravenduto, altri meno (purtroppo), ma per me sono state delle vere e proprie sorprese: dopo una iniziale diffidenza, sono stati capaci di conquistarmi e mi piacerebbe che venissero giocati da tutti, prima che cali il sipario su questa generazione.

The Lost Legacy: Il migliore Uncharted è quello che non ti aspetti. Un po’ spin-off, un’po episodio “quattro e mezzo”, l’opera di Naughty Dog si staglia spanne sopra la concorrenza (interna ed esterna). Un gioco che, a mio parere, ha solo meriti: tanto per cominciare dura il giusto, non ha filler, pause di sorta e il gameplay è impercettibilmente più raffinato rispetto ai titoli della saga principale. Le due protagoniste sono eccezionali e i dialoghi sono i migliori in assoluto che abbia mai ascoltato in un videogioco. Niente drammi strappacore, semplicemente la storia di due donne avventurose, che lavorano assieme per raggiungere il proprio obiettivo e, nel mentre, si scambiano opinioni sulla vita e tutto il resto. Aggiungiamo la solita tecnica fuori parametro dei ragazzi di Santa Monica è il capolavoro è servito.

Assassin’s Creed: Odyssey: con 90 ore sul timer, si aggiudica il premio di “gioco sul quale ho speso più ore in assoluto” di questa gen. Povera Ubisoft, viene sempre cazziata da tutti (e spesso a ragione eh, mica faccio l’avvocato del diavolo) ma è l’unica software house che cerca di innovare i franchise esistenti e lanciarne di nuovi a getto quasi continuo. Chiaro, non va sempre tutto per il verso giusto e so che molti puristi non hanno apprezzato la svolta Rpgistica di Origins, ma io a girare per la Grecia classica studiata ai tempi del liceo, mi sono divertito un mondo e sticazzi se la lama l’ho usata giusto un paio di volte. Cassandra è super carismatica (Layla Hassan è invece il meno riuscito dei personaggi della saga, ma per fortuna di vede poco) e il chiacchiericcio sulla nave l’ho sopportato molto meglio dei pipponi kojimiani. Se riuscissero a sistemare una AI ancora molto deficitaria e togliere il non necessario, sfrondando quà e là, potrebbero davvero avere per le mani un gioco da 10 (senza lode).

Ni No Kuni II:Il Destino di un Regno: tutto sommato per gli appassionati di JRPG quella oramai agli sgoccioli è stata una buona generazione, con tanti titoli di buon/ottimo livello. Ni No Kuni II: Il Destino di un Regno rappresenta un quantum leap pazzesco rispetto al già ottimo primo capitolo. Ludicamente parlando, non differisce molto da un Jrpg standard, ma aggiunge alla formula due elementi decisamente accattivanti: la gestione dello Stato, che mette il giocatore in grado di costruire e espandere varie strutture utili a progredire nel gioco (un mix tra Suikoden e Sim City, tanto per citare due padri nobili) e una sezione “strategica” a-la-Cannon Fodder (ve lo ricordate, vero?) durante la quale si devono combattere battaglie “campali” per difendere il territorio o espanderne i confini. Il peso di queste due attività collaterali (si fa per dire, visto che sono necessarie per portare avanti anche la storia) occupano almeno il 50% del tempo, conferendo a Ni No Kuni II: Il Destino di un Regno una varietà di situazioni fuori del comune.

Thimbleweed Park:L’avventura grafica ideata da Ron Gilbert e Gary Winnick non è solo una delle migliori mai realizzate, ma permette agli appassionati dei classici Lucas (e qui lo siamo, non si fosse capito…) di prendere “letteralmente” una DeLorean e tornare indietro a trent’anni fa, quando ci spaccavamo la testa sugli enigmi di Maniac Mansion e Zak McKraken e trascorrevamo le estati per risolvere Day of the Tentacle.Sono passati trent’anni da Monkey Island ma non per Ron e la sua combriccola, che elaborano una sceneggiatura di ferro e regalano agli utenti un’esperienza nuova/vecchia assolutamente irripetibile. Decine e decine di citazioni ai vecchi classici, non solo Lucas, un equilibrio perfetto tra mistero e umorismo, un’interfaccia verbale che funziona ancora alla grande, una grafica esaltante, che richiama la tradizione, attualizzandola in maniera quasi invisibile. Il gioco trabocca di momenti memorabili, ma tra tutti, splende ed irradia puro genio il finale, che va annoverato tra i migliori “ending” di tutti i tempi, degnissimo erede di quello, storico, di LeChuck’s Revenge, che fece versare litri di inchiostro sulle riviste specializzate. E’ un cerchio che si chiude, il passato che ritorna, emozioni adolescenziali sopite che tornano prepotentemente a segnare la vita di un adulto.

Mad Max:Il gioco più sottovalutato del 2015 è in realtà uno dei migliori e dopo averci speso 50+ ore posso affermarlo con una certa cognizione di causa. E’ fedele alle atmosfere del film, piuttosto vario in termini di cose da fare, graficamente spacca, grazie a visuali mozzafiato e ai migliori cieli e cicli giorno/notte mai visti in un videogioco. La storia principale non è un granchè, certo, ci sarebbero mille idee da implementare per un eventuale sequel (un multiplayer con più fazioni che battagliano per conquistare il territorio sarebbe il massimo) ma Mad Max si merita molto più dei 6/7 stringati che ho visto in giro.



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , , , ,
Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

Similar Posts
Latest Posts from Players