Forse l’ingrediente segreto per azzeccare un buon gioco a prescindere da tutto il resto è una bella ambientazione western. Magari è meglio  evitare di scegliere un protagonista con un’enorme erezione intenzionato a prendersi con la forza una nativa americana, ma una volta scongiurato quel pericolo il gioco è fatto. Non riesco a quantificare, ad esempio, le monetine lanciate nel cabinato di Sunset Riders, prima di convincere qualche parente a regalarmi la cartuccia per Mega Drive, letteralmente consumata negli anni, o l’attesa spasmodica per Red Dead Revolver, che in fondo non era questo capolavoro, ma ha l’indiscusso pregio di aver posto le basi per i suoi seguiti, due pietre miliari. C’è da dire che i titoli ambientati nella polvere del vecchio west non sono poi così tanti, ma quelli meno che buoni sono davvero pochi, e Desperados non è di sicuro tra questi.

Uscito nei primissimi ’00, Desperados: Wanted Dead or Alive sfruttava senza nascondersi la scia di Commandos, capostipite di quel genere inspiegabilmente poco esplorato che unisce l’infiltrazione stealth isometrica alla strategia a gruppi di X-Com declinata però in tempo reale: ok, messa così in effetti un motivo per cui il genere è poco esplorato sembrerebbe esserci, ma è più facile a giocarsi che a descriverlo, credetemi. Confermando la teoria del cappello introduttivo, Desperados aggiungeva la variabile western alle meccaniche di Commandos, spostando lo scenario dalla Seconda Guerra Mondiale alla frontiera selvaggia dell’ovest, portando a casa un risultato finale buono, ma non abbastanza da consentire a una tipologia di gioco così di nicchia, e per altro relegata solo al PC, di proliferare a lungo.

Dopo alcuni anni di oblio, tuttavia, ci ha pensato Mimimi a riportare in auge questo filone spesso bistrattato immergendolo nelle atmosfere orientali di Shadow Tactics: Blades of the Shogun, degno erede dei suoi nobili progenitori, ma anche riscaldamento ideale prima di mettere mano al ben più impegnativo (almeno in termini di reputazione) Desperados 3.

La preparazione è servita, perchè Desperados 3 è una bomba. Anzi, forse sarebbe meglio dire che è un bussolotto di dinamite, di quelli che si piazzano vicino a dei grossi massi, in cima a una sporgenza, e si fanno esplodere al momento giusto, mentre sotto passa una pattuglia nemica. O un gattino, se vogliamo paragonarlo a qualcosa che piace a tutti, di quelli che una volta sguinzagliati in giro per lo scenario rappresentano una distrazione irresistibile per i nemici che sentiranno l’irrefrenabile impulso di abbassarsi ad accarezzarlo. O ancora un pianoforte, come… no, ok, ho finito i paragoni, ma in Desperados 3 si possono eliminare nemici anche con un pianoforte, se si riesce ad attirarli sulla sua ombra abbastanza a lungo per tagliare la corda che lo sorregge. Cosa ci faccia un pianoforte appeso, però, non chiedetelo a me.

Non c’è bisogno di chiedere a Mimimi invece cosa  abbia l’asciato in eredità la lavorazione di Shadow Tactics, visto che lo Shadow Mode fa bella mostra di sé fin dal preludio, consentendo di concatenare una serie di azione tra i diversi personaggi in scena. E a proposito di personaggi, se il branco di stereotipi western che compongono il pacchetto iniziale dicono poco, ma svolgono bene il loro ruolo di idealtipo, l’aggiunta di Isabelle dopo circa un terzo di gioco aggiunge al mix una salsa voodoo che di colpo arricchisce l’esperienza con un sapore inatteso. Come già detto i modi bizzarri per disfarsi dei nemici non mancano, e a quelli ambientali bisognerebbe aggiungere le abilità specifiche degli anti-eroi in nostro controllo come trappole per orsi e amenità varie, ma l’introduzione del sovrannaturale con il controllo mentale e altri poteri voodoo porta la varietà su nuovi livelli, sconosciuti persino ai predecessori.

Tutto sembra rispondere a questo imperativo, ovvero risultare il più vario possibile: dal gameplay che spazia tra stealth e strategia, passando per il puzzle e lo sparatutto, fino alle ambientazioni, forse non troppo originali, ma perfette nel catturare lo scenario della frontiera con i suoi luoghi tipici. I livelli di Desperados 3 sono diorami, parchi gioco in miniatura in cui si può fare tutto o quasi, basta avere a pazienza di salvare ad ogni piè sospinto perchè ci vuole nulla a rovinare un piano ben consegnato entrando nel cono visuale dell’uomo sbagliato al momento sbagliato. Ed è pazzesco, perchè in fondo anche Shadow Tactics funzionava benone e faceva grosso modo le stesse cose, ma come detto all’inizio, con un paio di jeans impolverati, degli stivali malmessi e un tramonto rosso fuoco tutto risulta indubbiamente più figo (tranne Wild Wild West, forse, scusa Will Smith).

 

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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