“Don’t try to understand it, just feel it.”
Nolan, per bocca di un suo personaggio, ci dà subito l’imbeccata su come approcciarci al film, e non perché strada facendo le spiegazioni manchino, tutt’altro, ma sono del tipo da accettare senza ulteriori riflessioni, e fornite solo per il timore che un pubblico troppo disorientato e concentrato sul “eh??” non conceda tutta la sua attenzione a un film che forse non salverà il Cinema Come lo Conosciamo™, ma di sicuro è diretto da uno che il Cinema e la sua grandiosità ce l’ha scritto nel DNA.
Lo scambio che ci chiede Nolan – don’t understand, feel – per godersi appieno la pellicola è equo fino alla fine del primo tempo, momento in cui il regista dimostra di meritare e ripagare il tipo di attesa riservata ai grandi eventi che immancabilmente precedono l’uscita dei suoi film. I problemi sorgono nel secondo tempo, parimenti spettacolare rispetto al primo, ma che avrebbe dovuto puntare su storia e personaggi: mancando di fare questo, l’ultima ora di Tenet è spettacolarmente arida fino a sfiorare il ripetitivo. Il problema del film non è infatti capire il cosa, ma l’assenza di un perché emotivamente e narrativamente valido, mentre dal punto di vista umano spesso anche il “come” risulta problematico. Quindi tornate al cinema tutte le volte che desiderate per tentare di comporre il rompicapo affascinante e cervellotico che propone Nolan con Tenet, ma sappiate che i problemi sono altrove e non verranno risolti con enne numero di visioni.
Da qui in avanti SPOILER.
Il Protagonista (John David Washington) viene reclutato per scongiurare una terza guerra mondiale che porterebbe inevitabilmente alla fine del mondo. Le opposte fazioni sono l’umanità del futuro e quella del presente del film. In questo gioco che si dispiega su scala globale sono coinvolti i viaggi nel tempo, ma non come siamo abituati a intenderli: in Tenet si parla non di viaggio ma di inversione, come vi spiega Claudio qui, nella prima recensione a caldo.
Passato e futuro vanno in due direzioni vettoriali opposte, e tornare nel passato significa finire su un nastro che si sta riavvolgendo. Io me l’immagino così: è come avere una serie di eventi posizionati su una scala mobile che scende giù, e io voglio posizionarmi in un punto X di questa scala. Con il classico viaggio nel tempo mi ritroverei esattamente dove voglio essere, e da quel momento inizierei a seguire il normale flusso degli eventi. Con l’inversione, invece, potrei sì andare a ritroso nel tempo, ma salendo contromano fino al punto desiderato, mentre gli eventi mi scorrono incontro. Potrei aver utilizzato un esempio improprio, ma il punto è che non sarebbe un danno, perché i problemi sono altrove.
In un altro film il protagonista è investito della missione di salvare il mondo: Interstellar. Nel lungo prologo della space opera, senza spostarci di mezzo metro oltre la fattoria del protagonista, Nolan veicola in modo chiaro e potente il declino dell’umanità e dell’intero pianeta: è sufficiente osservare la famiglia del protagonista e la loro vita costellata di sacrifici e lutti, priva di un futuro a cui guardare con speranza, per avere un’idea precisa di cosa stia vivendo l’umanità nella sua interezza, e a quale sorte sia destinata se nessuno interverrà. Senza tutto questo il viaggio interstellare sarebbe una semplice avventura nello spazio priva di pathos, sentimento, e di quella nota lirica e malinconica che puntella lo spartito emotivo del film e che lo fa davvero decollare.
Ecco, Tenet è di nuovo a proposito della salvezza del mondo, ma senza che Nolan stavolta si disturbi a darci l’idea della portata umana della catastrofe che le generazioni future vogliono evitare a scapito di quelle passate ritenute responsabili. Il regista non si scomoda a mettere in scena legami affettivi che mostrino perché la nostra specie vada salvata, perché ai personaggi importi così tanto preservare il verso della loro timeline. Il “genere umano” è un’entità astratta, sono le persone a cui teniamo, e i rapporti che intrecciamo con loro, a costituire il microcosmo che ci lega al tutto, senza rendere in modo cinematografico tutto questo, evitare la terza guerra mondiale è un mero pretesto tirato a sorte per funzionare da innesco alla storia.
Il malvagio oligarca russo interpretato da Branagh parla di un generico e vago futuro in cui “I mari si sono alzati e i fiumi seccati”. La trafficante d’armi (Dimple Kapadia) racconta di una scienziata del futuro accostandola ad Oppenheimer, sia per la portata epocale della sua scoperta scientifica (l’inversione), sia per il dilemma morale che ne consegue, ma anche qui restiamo sul vago: una persona a distanza di generazioni di là da venire senza volto, senza nome, priva di contesto, con una storia riciclata, che tipo di interesse dovrebbe suscitare? Abbiamo delle sequenze potentissime – la prima all’Opera, il dirottamento dell’aereo, l’inseguimento in macchina – pensate e filmate avendo in mente l’espressione “tenere incollati gli spettatori alla poltrona”, ma dopo due ore ci si accorge che a questo sfoggio di adrenalinica grandeur manca l’appoggio narrativo, e il mondo da salvare non è un’urgenza, ma è solo una pezza a giustificare un Mission: Impossible d’autore, un pretesto per rendere il tempo di nuovo protagonista, anche se in modo originale.
Il cuore emotivo dovrebbe essere rappresentato dalla storia personale di Kat (Elisabeth Debicki), ostaggio di un marito (Branagh) che la terrorizza, la picchia e la tiene legata a sé con la minaccia di separarla da suo figlio. La filmografia di Nolan – con qualche felice eccezione tra cui proprio Interstellar – è una galleria di personaggi femminili avvilenti, manipolati, privi di agenda personale, le cui morti sono a beneficio di trama e protagonista maschile, ma qui si è toccato il fondo. Quello di Kat è un personaggio privo di autonomia, l’epitome della damsel in distress, definita solo dall’essere madre. Ma anche in questo caso, Nolan non è minimamente interessato a mettere in scena il lato umano della vicenda, preferisce far enunciare alla donna innumerevoli volte quanto ami suo figlio, ma di questo rapporto cosa sceglie di farci vedere? In una scena la donna accompagna suo figlio a scuola, in un’altra lo va a riprendere: la maternità secondo Nolan è scaricare e recuperare i figli davanti a un edificio scolastico. E questo non è nemmeno il peggio che spetta al personaggio.
Dopo che Debicki è stata maltrattata, raggirata anche dal Protagonista, dopo aver preso calci e proiettili in pancia, per esigenze di copione viene sedata e il suo corpo privo di coscienza spostato di qua e di là dello schermo su una barella: il personaggio è ridotto a un inanimato oggetto di scena, al pari della valigetta che 15 minuti prima rimbalzava da una macchina all’altra. Sì, alla fine ha un sussulto di dignità, e agisce di propria iniziativa, ma questo accade a giochi praticamente fatti quando la sua decisione di uccidere il marito nel passato non influisce minimamente sugli eventi.
Per quanto la struttura narrativa di Tenet sia un divertente e spettacolare mindfuck, l’originalità che gli viene attribuita non è del tutto meritata. Chi di voi ha nel proprio curriculum seriale Dark, la sesta stagione di Doctor Who e The Night Manager, sarà entrato in sala con i muscoli dei neuroni già flessi e pronti all’impegno agonistico prospettato dal film. Dark ha esplorato per tre stagioni l’andirivieni su linee temporali diverse ad opera di personaggi impegnati ad assicurarsi un certo tipo di futuro utilizzando le informazioni del passato. La storia di Eleven e River Song è quella di due protagonisti che condividono una storia a linee temporali invertite, e quello che per uno è il primo incontro, per l’altra è l’ultimo, esattamente come avviene tra il Protagonista e Neil (uno stilosissimo Robert Pattinson). La storia umana centrale è pari pari quella raccontata in The Night Manager dove per altro c’è proprio Elisabeth Debicki nell’interpretare lo stesso identico personaggio di moglie trofeo, ostaggio sotto ricatto di un trafficante d’armi multimilionario alla cui corte si infiltra un agente che tenta di carpirne la fiducia.
L’attrazione tra il Protagonista e Kat è impalbabile – qui Nolan è su un altro terreno che non gli è proprio – e da quel punto di vista dà molta più soddisfazione il rapporto tra il Protagonista e Neil. Considerando che Washington e Pattinson formano una bella coppia action, è ancor più un peccato che la sceneggiatura non solo non li aiuti, ma spesso li ostacoli addirittura: la scrittura è talmente criptica o asciutta che i due hanno l’espressione di chi è costretto a recitare circondato da green screen senza rendersi bene conto del contesto in cui verrà inserita la performance. Di una delle prime recensioni pubblicate – una stroncatura per altro – mi aveva colpito il titolo: l’autore giudicava Tenet “humorless“, il che mi aveva sorpreso: non dovevamo arrivare alla decima pellicola per scoprire che Nolan non è un simpatico mattacchione, ma dopo aver visto il film ho capito esattamente cosa intendesse l’autore di Indiewire. I suoi film hanno un’atmosfera che tende al greve, ma la sceneggiatura è spesso alleggerita qui è là da varie battute, come avviene per esempio nella trilogia del Cavaliere Oscuro in gran parte degli scambi tra Bruce Wayne e Alfred, o in Interstellar per mezzo del robot di bordo, ma qui nulla: non una volta che la scrittura arrivi in soccorso più dei personaggi che degli spettatori.
Tenet passerà di certo alla Storia come il primo blockbuster post covid-19, e come l’ariete che ha funzionato (oppure no) da apripista a tutte le altre pellicole che erano in attesa di capire se nel loro futuro ci fosse una sala cinematografica o un salotto di casa*. Sicuramente Nolan è uno dei pochissimi registi con le spalle sufficientemente larghe – e con un’ammirevole e giustificata ostinazione a voler uscire nei cinema a tutti i costi – a potersi permettere di tracciare la rotta per questo brave new world segnato da una pandemia mondiale, ma è altrettanto sicuro che Tenet non è il suo miglior film, anche se presenta le sequenze più grandiosamente fini a loro stesse della sua filmografia.
Note
*Update: A livello di incassi Tenet è riuscito ad andare in pari, ma nulla più. Anche per questo motivo Warner ha deciso di distribuire l’intero catalogo cinematografico del 2021 anche via streaming, suscitando così una presa di posizione forte e contraria proprio da parte di Nolan. QUI i dettagli.
Questa volta non è Hans Zimmer, impegnato con Dune, a occuparsi della ost. Poco male: Ludwig Göransson è monumentale nell’accompagnamento musicale.
Il pubblico anglofono si sta lamentando veementemente del sonoro: a quanto pare è impossibile sentire nitidamente cosa dicono i personaggi in più punti del film.
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