Oscar Wilde notava provocatoriamente che la vita imita l’arte, e quale esempio migliore per suffragare il concetto di questo anno tremendo che sembra aver mutuato il suo corso dalle più inquietanti realtà distopiche della fiction. In effetti, il paragone naturale è stato per tutti con Black Mirror. Anzi, nel pieno dispiegarsi dei mesi, è parso che nel confronto con il 2020 l’opera di Charlie Brooker avesse peccato un po’ di ingenuità.

Il 2020, però, viene da lontano. Siamo tutti desiderosi di tornare alla “normalità”, ma non è che questa ormai mitologica normalità fosse poi all’insegna di equità e giustizia. La pandemia ha portato alle massime conseguenze quelli che sono i mali endemici della nostra società, e serviranno anni per processare e analizzare compiutamente tutto quello che è accaduto, come e perché, al di là delle risposte più ovvie e immediate.

Ma capisco che Charlie Brooker deve essersi sentito quasi in dovere di raccogliere un ideale e irriverente guanto di sfida. Se il 2020 è riuscito a far diventare obsolete le storie raccontate da Black Mirror, allora Brooker non poteva che satirizzare proprio sul 2020 per avere l’ultima parola e chiudere il cerchio. Nasce così l’idea di Death to 2020, un mokumentary alla cui realizzazione ha preso parte uno stuolo di celebrity da red carpet hollywoodiano.

Va detto che l’autore non è nuovo al format di satira sull’attualità, come dimostra il suo longevo Weekly Wipe su BBC2, ma indirizzare un intento dissacratorio efficace, verso una sfilata epocale di eventi storici, richiede un qualcosa in più che in Death to 2020 è mancato.

Gli eventi sono riproposti a favore del commento di varie personalità fittizie. Apre le danze il reporter interpretato da Samuel Jackson, e via via vengono invitati a offrire il loro punto di vista, tra gli altri, un tech-guru della Silicon Valley 8Kumail Nanjiani), una portavoce politica del partito conservatore (Lisa Kudrow), un influencer diventato milionario (Joe Keery). Ed è proprio l’avvicendamento degli attori a vivacizzare il mockumentary e a evitare che l’intero progetto naufraghi irrimediabilmente nel superfluo.

L’ironia caustica, ma sempre performante di Brooker, qui ha le frecce spuntate e non riesce a mettere a segno un centro degno di nota. Il SNL, John Oliver, Trevor Noah, sono già arrivati prima e meglio nel corso dell’anno. I fatti riproposti da Death to 2020 non sono stati presentati in una luce particolarmente originale, e la voce fuori campo di Laurence Fishburne spesso contribuisce a creare una sorta di Honest Trailer del 2020. L’intera operazione è dunque un excursus dei principali e tragici – a volte tragicomici – eventi succedutisi negli ultimi 12 mesi, quasi come fosse un elenco da spuntare, un promemoria da servire al pubblico insieme a qualche battuta che non offre nessuna particolare chiave di lettura, o spunto di riflessione ulteriore. Non c’è una frecciata, una stoccata, ma nemmeno un siparietto comico, che non sappia di già visto e sentito. 

I momenti migliori sono quelli in cui il commento satirico è affidato a Cristin Milioti e Hugh Grant. La prima interpreta il prototipo di tutte le Karen, e riesce a evocare con gustosa abilità tutta l’ipocrisia e il grottesco insito nella classica donna bianca, borghese, entitled e razzista. Hugh Grant si cimenta nei panni di uno storico inglese, bigotto e classista, che è anche insospettabilmente fluente nella cultura pop fino al punto da fraintendere episodi di Game of Thrones e di Star Wars per eventi storicamente accurati.

A voler fare della facile ironia, possiamo dire che, tra le brutture che ci ha riservato il 2020, possiamo annoverare anche un Brooker sottotono, incapace di un qualsiasi tipo di affondo.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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