C’è qualcosa, una sorta di déjà-vu o una spinta impalpabile, che mi attrae verso il pianeta che si staglia di fronte allo schermo dalla mia navicella. Una forza indefinibile, capace di sovrastare sia l’istinto di sopravvivenza che mi urla di non catapultarmi nel cuore della tempesta che minacciosamente lo sovrasta, sia l’esplicito divieto di atterraggio che pulsa in rosso sul mio pannello di controllo. So, come se l’avessi già vissuto sulla mia pelle, che non sarà un passeggiata scendere sulla superfice e quando il motore destro esplode mi viene istintivo mantenere il controllo e prepararmi allo schianto. Ne esco viva, o quanto meno abbastanza integra da camminare verso quella macchia gialla che spicca sulla terra nera e zuppa di pioggia. Non sono sorpresa quando realizzo che si tratta di un corpo esanime all’interno di una tuta ASTRA. Lo sgomento arriva dopo, quando leggo il nome sul casco: Selene, il mio.
Bastano i primi cinque minuti di incipit di Returnal per capire come Housemarque abbia compiuto un netto salto di qualità rispetto alle sue pur ottime precedenti produzioni. Returnal trasmette fin da subito vibe da AAA, sensazioni di grandeur sconosciute a Nex Machina o Resogun. Il paragone è sensato soprattutto con quest’ultimo, visto il ruolo giocato nei primi giorni di PS4, ma la distanza è siderale come l’atmosfera di Atropos, il pianeta di Returnal. Siamo sempre in territorio arcade, ma se Resogun ne mutuava anche la forma, Returnal mantiene solo formula, applicandola a quello che a colpo d’occhio sembra un grosso action in terza persona, ma che in realtà accoglie dentro se un roguelite.
C’è di più, il roguelite non è nascosto, ma incastonato, non solo nel gameplay, ma anche e soprattutto nel comparto narrativo. L’inciampo nel proprio cadavere da parte di Selene è l’avvio di ogni nuova run, in una formula che riprende il giorno della marmotta di Bill Murray in Rincomicio da capo (o il matrimonio del recente e ottimo Palm Spings su Prime Video) e lo mette al servizio di un genere.
Arriviamo tardi di un paio di settimane rispetto alle recensione sotto embargo che hanno preceduto l’uscita di Returnal, perciò ha poco senso ora concentrarsi sulla maestosità grafica (è il primo gioco originale a far intuire le potenzialità di PS5) o sulle sensazioni inedite garantite dal controller aptico, capace di trasmettere persino l’intensità delle singole gocce di pioggia. Merita però comunque un plauso, e una doverosa celebrazione, l’intelligentissimo utilizzo del comparto narrativo come collante, capace di tenere insieme il ciclo di morte & rinascita che il gioco prevede, ma senza amai risultare prolisso o invadente, perchè gestito attraverso accenni dettagli, descrizioni e persino scorci. Il pianeta Atropos stesso non è solo un ambientazione, ma anche un ingranaggio narrativo con i suoi resti di civiltà che raccontano di un passato e di un tramonto, fondendo miti greci e sociologia moderna, Prometheus e Metroid Prime, fascino, terrore e mistero.
A questo punto, la domanda più difficile (che possiamo porci questa volta proprio grazie alla distanza rispetto alle prime recensioni) è perchè Returnal sia sceso così in fretta nelle classifiche di vendita. Difficile pensare sia colpa della qualità del gioco, altissima per tutti i commentatori, o dell’accoglienza critica, vista la media voto di 86 su Metacritic. Non può nemmeno essere colpa della difficoltà o della continua ripetizione, una formula su cui altri titoli hanno costruito successi stellari, e che in ogni caso Housemarque ha smussato, arricchito, giustificato.
Si posso dunque solo fare ipotesi esterne al gioco e in questo momento men ne vengono in mente solo due, entrambe poco rassicuranti. La prima è che Returnal e Housemarque non siano nomi abbastanza grossi per canalizzare l’hype dei giocatori senza imponenti campagne di marketing, soprattutto al prezzo a cui vengono venduti i giochi oggi. E in un’industria in cui i costi di sviluppo lievitano di anno in anno ciò significherebbe che solo pochi beniamini del pubblico (Naughty Dog o Rockstar per citarne due) potrebbero permessi il rischio di imbarcarsi in produzioni di una certa dimensione e ad alto budget nel futuro prossimo.
La seconda invece riguarda il peso degli scalper sul mercato next-gen attuale: forse Returnal ha venduto meno di quanto immaginabile semplicemente perchè una parte (piccola? grande’) di Playstation 5 in circolazione sono ancora in mano a chi le ha comprate per specularci e non nei salotti dei videogiocatori. E anche questa non è ipotesi rassicurante considerando che secondo diversi analisti le difficoltà produttive che affliggono il settore dell’elettronica faranno sentire i loro effetti almeno fino al 2022.
Qualunque sia il motivo, o la somma di motivi, il quadro che ne esce non è rassicurante. Ed è un vero peccato che a farne le spese, in questo momento sia Returnal, un gioco validissimo, divertente e stimolante, che si approccia a un genere inflazionato e lo rinverdisce attraverso l’iniezione di elementi narrativi, e Housemarque, una software house dagli alti standard qualitativi che tuttavia già in passato si era trovata in difficoltà per le sue produzioni non così vicini al mainstream. Questo, insomma, è il momento in cui nel doppio ruolo di videogiocatore e consumatore si può lanciare un messaggio all’industria, e francamente mi vengono in mente pochi giochi più meritevoli di successo di Returnal.
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